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Da dove partire nella riforma del fisco

Il governo intende presentare presto un disegno di legge di riforma del fisco. È fondamentale che non si limiti a un riordino del numero delle aliquote legali o degli scaglioni. Deve invece indicare una idea chiara e coerente del modello di imposizione.

Serve una prospettiva chiara

Il governo ha annunciato di voler presentare entro marzo un nuovo disegno di legge di riforma del fisco. Si tratta dell’ennesimo tentativo di riformare il nostro sistema fiscale e fa seguito a quello non riuscito nella scorsa legislatura, nonché ad altri progetti solo annunciati o realizzati solo in parte negli anni precedenti. Non sono ancora noti i contenuti e non è il caso di dare particolare peso alle indiscrezioni giornalistiche. Ciò che è importante chiarire è che un progetto di riforma deve avere alcune caratteristiche per definirsi tale.

Per quel che riguarda la politica fiscale, sarebbe importante che il disegno di riforma adottasse una prospettiva chiara e facesse riferimento a modelli di imposizione che hanno un radicamento nella letteratura economica e nell’esperienza internazionale. Per fare un esempio, il disegno di legge di riforma del fisco approvato dal governo Draghi nell’autunno del 2021, ma non votato dal Parlamento, aveva stabilito alcuni principi che qualche osservatore distratto o poco informato aveva ritenuto vaghi e generici e che, invece, si basavano su riferimenti precisi.

Per quanto riguarda le imposte sui redditi personali, il Ddl di riforma Draghi prevedeva, su esplicita indicazione delle competenti commissioni parlamentari, di completare l’adozione del modello duale con la contestuale riduzione delle aliquote medie e marginali effettive finalizzata a incentivare l’offerta di lavoro e la partecipazione al mercato del lavoro. Guardando all’esperienza dei paesi nordici, quindi, il disegno di legge, coerentemente, prevedeva una graduale transizione verso l’applicazione di una medesima aliquota proporzionale per tutti i redditi derivanti dall’impiego del capitale e di un’imposizione progressiva su quelli restanti. Il principio avrebbe consentito un trattamento uniforme di tutti gli impieghi di capitale, inclusi quelli relativi alle attività di lavoro autonomo e di impresa individuale, e il riassorbimento graduale di tutti i regimi agevolativi (dalla cedolare secca sugli affitti alla flat tax). Il livello di aliquota non veniva determinato perché secondario rispetto all’obiettivo di un’imposta duale, che è quello di garantire la neutralità nel trattamento degli impieghi di capitale. Tuttavia, il riordino che sarebbe derivato dall’applicazione del principio duale avrebbe con ogni probabilità consentito un incremento di gettito che sarebbe servito per ridurre le aliquote effettive sui redditi non da capitale, ovvero in primo luogo da lavoro. Il riferimento alla riduzione delle aliquote effettive, cioè calcolate tenendo conto non solo delle aliquote formali e degli scaglioni, ma anche delle deduzioni e delle detrazioni, era spiegabile alla luce della volontà di aumentare l’offerta di lavoro. La letteratura internazionale, infatti, dimostra che la reattività alle variazioni di imposizione cambia al cambiare del livello di reddito nonché a seconda del genere.

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Sono ovviamente possibili altre impostazioni, ma è fondamentale che il prossimo disegno di legge non si limiti a un superficiale riordino del numero delle aliquote legali o degli scaglioni e che indichi una chiara e coerente ipotesi di riforma dell’Irpef nel suo insieme, a cominciare dalla definizione della base imponibile. In particolare, il disegno di riforma dovrebbe prevedere un criterio di razionalizzazione della miriade di regimi agevolativi che hanno trasformato l’odierna Irpef in un’imposta à la carte, priva di qualsiasi razionalità e universalità. Se la razionalizzazione non ci fosse, la riduzione del numero delle aliquote sarebbe puramente cosmetica.

Le imposte al consumo

Anche per quanto riguarda l’Iva e le imposte sul consumo, andrebbe prima di tutto specificata la direzione di marcia. Nel disegno di legge Draghi si prevedeva che il riordino delle aliquote e delle basi imponibili avvenisse con l’obiettivo di ridurre l’erosione e l’evasione e di aumentare l’efficienza. Pure in questo caso, ai principi generali era sotteso il riferimento alla letteratura sulla misura dell’inefficienza dell’Iva, e in particolare al policy gap – che misura la perdita di gettito rispetto all’ipotesi in cui tutti i consumi sono tassati con la stessa aliquota e quindi non vi è erosione – e al compliance gap – che misura la perdita di gettito rispetto all’ipotesi in cui non ci sia evasione. Questi riferimenti indicavano la necessità di muovere verso un tendenziale accorpamento delle aliquote Iva, che serve a ridurre entrambi i divari, attualmente molto elevati per il nostro paese.

Oltre all’Irpef e all’Iva, la riforma del nostro sistema fiscale richiederebbe di rivedere alcuni aspetti dell’Ires non più in linea con le migliori pratiche, nonché di disegnare le accise tenendo conto di quanto accade a livello internazionale, con particolare riferimento agli obiettivi ambientali.

Vedremo quali di questi temi saranno affrontati nel prossimo disegno di legge di riforma e, soprattutto, come ciò accadrà.

**L’autore è stato consigliere del Ministro all’Economia Daniele Franco.

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14 commenti

  1. marco mazzetti

    Tante sarebbero le idee di riforma fiscale, però a mio avviso due sono i punti imprescindibili e su cui si dovrebbe discutere seriamente per attuarli:

    – ridurre la tassazione sul lavoro dipendente (ma so che essendo una delle principali entrate è inattuabile),
    – incentivare le famiglie con il quoziente familiare, come in Francia, al posto di detrazioni ecc.. ma purtroppo se ne parla dal 1982 quando Formica era ministro delle finanze…e ogni governo lo ritira fuori in sede di prospettate riforma

    • Alessandro Santoro

      Il quoziente familiare mina l’equità verticale e disincentiva il lavoro femminile. Nom per caso esiste solo in un paese in tutto il mondo (la Francia). Se ci sono risorse disponibili allora è meglio rinforzare l’assegno unico e universale.

  2. pietro brogi

    Ritorno ancora una volta sul concetto di base che l’imposizione fiscale, per quanto riguarda il lavoro, si dovrebbe limitare ai redditi e quindi l’IVA andrebbe sterilizzata dai costi del lavoro stesso. Si può raggiungere questo obiettivo in molti modi, ma non c’è, da parte mia alcun dubbio sui numerosi vantaggi di questa scelta.

    • Alessandro Santoro

      Non capisco: Iva è commisurata al valore aggiunto ma è pagata dal consumatore finale. Per quale ragione bisognerebbe togliere il costo del lavoro dal valore aggiunto? Non succede in nessuno degli oltre 170 paesi al mondo che adottano l’Iva, che io sappia

      • Pietro Brogi

        I motivi sono molto semplicia: il lavoro diviene in questo modo un fattore importante, positivo, di competitività, cioè l’azienda che a parità di costi retribuisce meglio o dà più lavoro diviene più competitiva; in molte situazioni, in particolare dove il costo del lavoro è significativo sul costo finale, come artigiani e professionisti farà emergere molto lavoro nero, con una opportuna campagna di sensibilizzazione i consumatori potrebbero privilegiare nella scelta i maggiori fornitori di lavoro; in alcuni casi si tenderà a scegliere il lavoro esterno rispetto a fare in proprio una attività.

        • pietro brogi

          Vorrei solo aggiungere che mi piacerebbe un commento sui punti di vantaggio dhe ho elencato, per il momento è stato indicato come ostacolo che sarebbe la prima nazione a fare una cosa del genere… che non mi pare una buona motivazione, caso mai si dovrebbe verificare se ci sono dei regolamenti europei che non lo consentano e nel caso richiedere modifica.

  3. Grazie per la efficace sintesi. A mio modesto avviso occorre affrontare contemporaneamente il tema delle imposte indirette a carattere patrimoniale (registro per esempio ma non solo) e le imposte indirette “inutili” come il bollo che ha puro sapore medievale e forse (ricerche di anni fa) costa più di quanto renda. Le patrimoniali o patrimonialine sono distorsive in punto imposizione diretta sul reddito. A mio avviso andrebbero abolite tout cour. Il registro ha anche effetti impeditivi (si pensi all’imposta di registro sulle sentenze ) oltre che non più consoni al servizio che originariamente (forse) volevano dare (registro su atti immobiliari per esempio – oggi tutto elettronico!).

    • Alessandro Santoro

      Sicuramente esiste il tema del riordino delle imposte patrimoniale. Andrebbe affrontato senza tabù, e cominciando necessariamente dalla riforma del catasto.

  4. Maurizio Cortesi

    Più che guardare alla letteratura economica e ai suoi vari gap, basterebbe avere chiari i principi politici di trasparenza, equità, efficienza ed interdipendenza che sono tipici di un ordinamento repubblicano, né populista né progressista, per eliminare tutte le distorsioni clientelari che rendono il sistema fiscale una specie di grattaevinci. Ampliare le basi imponibili e abbassare le aliquote mantenendo la progressività del sistema complessivo, visto che certe imposte importanti sono tendenzialmente regressive, sono i criteri di fondo da adottare, senza dimenticare che struttura del costo del lavoro, previdenza sociale e struttura istituzionale (regioni, enti locali) non sono variabili indipendenti nella definizione di un modello fiscale generalmente efficace ed efficiente, invece che rincorrere best practices sempre parziali e specialistiche. Servono riforme promosse e congegnate dall’intero governo non da un singolo ministro, perché sono riforme politiche e non meramente pragmatiste quelle che davvero servono per uscire dal fosso del debito pubblico, altrimenti come dice il populista “il filo è a filo, il piombo è a piombo ma il muro è storto!”.

  5. luciano scalzo

    Che ne direbbe di una riforma che costruisca un ” diritto tributario” con al centro la legge e non la prassi dell’Agenzia delle Entrate?
    Un diritto tributario :
    1) con finalità costituzionalmente garantite che superi il “fiscalismo” avente come unico riferimento il gettito . A Roma, mi sia permessa la battuta , si usa l’espressione ndo cojo coio:
    2) da opporre alla discrezionalità (tecnica) di cui dispone in fase di accertamento l’Agenzia delle entrate.
    3) che abbia al centro il contribuente o un fatto specifico e non l’evasione quale “fenomeno sociale/economico” . Quando il contribuente è visto non in sé , ma come espressione di un sistema che tende unicamente ad evadere tutte le garanzie scompaiono. Non a caso lo “Statuto del Contribuente ” è di fatto inapplicato;
    Un saluto
    Luciano Scalzo

  6. Alessandro

    Articolo molto interessante, entrando nello specifico e cercando di essere breve, in ottica di una riforma totale del sistema fiscale ( con tassa unica su tutti i tipi di income), patrimoniale sulla ricchezza che sostituisca tutte le varie patrimoniali mascherate tra imu,bolli,registro ecec, ed una aliquota iva unica al 15% comprese donazioni e successioni, e sostituendo tutte le varie tax expenditures (banalmente deduzioni,detrazioni, sussidi ambientali e categoriali in genere), in sinergia con una riforma delle gestioni gias e giap dell’ inps, si potrebbe arrivare ad un sistema flat tax con progressività spostata sul patrimonio ed un reddito di base universale (magari sotto forma di spesa fiscale tipo imposta negativa) ?

    Inoltre vi ringrazio perchè insieme ad altri siti specializzati fornite ad un comune cittadino come me appassionato della cosa pubblica della nostra amata nazione, informazioni tecniche su molti temi di vitale importanza per tutti.

  7. Marcello

    Noto che non si cita mai fra le imposte patrimoniali il metodo di calcolo dell’ISEE che dà un ruolo preponderante al patrimonio del “nucleo familiare”, concetto sempre più discutibile nella attuale situazione sociale e sbrigativamente identificato nell’anagrafe comunale. L’ISEE viene sempre più utilizzato per limitare l’accesso a agevolazioni, riduzioni di tariffe di servizi pubblici, tasse scolastiche, bonus vari “elargiti” dallo Stato ecc. ecc. Forse è difficile quantificare il peso economico sulle famiglie di questi vincoli, in gran parte stabiliti dalla fiscalità locale. Quanto poi alla percentuale di evasione di questa “imposta” ci sarebbe tanto da scoprire.

  8. f.Mario

    Il maggior impatto di una riforma fiscale sarebbe, a mio giudizio, la graduale abolizione del contante circolante con l’obbligo per molti adempimenti contabili della loro tracciabilità.L’abolizione del contante ha parecchi vantaggi, riduzione dei costi di gestione per le banche, riduzione delle rapine ,riduzione dei costi istituzionali(forze dell’ordine, magistratura, carceri) e soprattutto maggiore sicurezza per i cittadini.Infine detraibilità delle spese di assistenza per gli anziani al 50% sia in casa sia nelle rsa,detrazione delle spese di manutenzione della casa al 50%.

  9. f.Mario

    Una imposta che dovrebbe essere introdotta a mio avviso è l’IMU sulla prima casa con una franchigia e nella dichiarazione dei redditi per ogni immobile a disposizione dovrebbero essere inseriti i consumi elettrici e di gas, per stroncare il fenomeno degli affitti in nero.(studenti, affitti brevi, località turistiche)

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