Con il Digital Markets Act, la Ue fa un passo avanti nella regolamentazione delle piattaforme digitali. La fase di attuazione sarà cruciale per l’efficacia della disciplina, così come il coordinamento con le normative delle altre principali economie.

Il regolamento europeo dei mercati digitali

Il 1° novembre 2022 è entrato in vigore il regolamento europeo sui mercati digitali (Digital Markets Act o Dma), che disciplina l’attività delle principali piattaforme digitali nel mercato dell’Unione. Si applica ai cosiddetti gatekeeper che offrono servizi di intermediazione online (tra cui motori di ricerca, social network, messaggistica e condivisione di video) e superano determinate soglie in termini di fatturato e numero di utenti. Si tratta dunque di un limitato numero di operatori, che esercitano un impatto significativo e duraturo sul mercato interno dell’Unione europea, come ad esempio le Gafam (Alphabet-Google, Amazon, Meta-Facebook, Apple e Microsoft), ma secondo la Commissione europea potrebbero rientrarvi altre piattaforme digitali, quali Twitter, Booking, PayPal o eBay. La designazione ufficiale come gatekeeper sarà operata dalla Commissione considerando primariamente i “servizi di piattaforma di base” (core platform service o Cps), individuati dalle stesse imprese interessate.

L’intervento è motivato dalla volontà di far fronte al crescente potere economico detenuto da alcuni gestori di grandi piattaforme, al fine di garantire che i mercati digitali rimangano “equi e contendibili”. In sostanza, il regolamento è volto a evitare che le piattaforme più rilevanti limitino l’ingresso e l’emersione sul mercato di nuovi operatori a detrimento dell’innovazione e della concorrenza. Il Dma fissa nuove regole per il trattamento e la condivisione dei dati dell’utenza per evitare il loro uso esclusivo da parte dei gatekeeper.

A differenza del tradizionale diritto antitrust, il regolamento è caratterizzato da un approccio “ex ante” in base al quale sono imposti obblighi specifici e circoscritti a carico dei gestori delle piattaforme qualificate come gatekeeper. Il diritto della concorrenza si fonda invece su principi generali (come il divieto di abuso di posizione dominante) che trovano concreta applicazione soltanto “ex post”, ossia quando autorità antitrust e organi giurisdizionali hanno modo di valutare gli effetti anti-competitivi di una determinata condotta.

Nello specifico, il Dma impone ai gatekeeper diverse prescrizioni. Viene vietato l’utilizzo dei dati raccolti tramite terze parti per offrire servizi di pubblicità, così come è vietata la combinazione dei dati personali che l’utente ha fornito per usufruire di servizi diversi e l’iscrizione automatica dell’utente ad altri servizi del gatekeeper per incrociare i dati personali. Inoltre, il Dma vieta di pre-installare sui dispositivi determinate applicazioni e di imporre come unica possibilità di pagamento il proprio metodo o promuovere i propri prodotti o servizi a discapito di quelli di altri operatori.

Leggi anche:  Dieci voti per azione: perché potrebbe essere utile

L’applicazione delle nuove regole potrebbe scontrarsi con non poche difficoltà, dovute alle asimmetrie informative a vantaggio dei gatekeeper. Sono anche possibili sovrapposizioni con le normative nazionali in materia di antitrust e di tutela dei dati personali, rispetto alle quali sarà necessario assicurare un adeguato coordinamento.

Il contesto internazionale

Il Dma contribuisce in modo significativo alla disciplina del mercato unico digitale delineata dalla Commissione negli ultimi anni per garantire adeguati livelli di concorrenza e di innovazione e si inserisce in un articolato panorama di interventi che si sono registrati in materia a livello internazionale, come i progetti di regolamentazione avanzati nel Regno Unito, negli Stati Uniti e in Cina, basati però su approcci parzialmente diversi tra loro.

Nel Regno Unito la Competition and Markets Authority (Cma) ha proposto l’applicazione di specifici codici di condotta nei confronti delle imprese che ricoprono una posizione strategica nei mercati digitali (“strategic market status”), affidando la competenza in materia a un nuovo dipartimento istituito in seno alla Cma nell’aprile del 2021, la Digital Markets Unit. Ciò dovrebbe limitare i problemi di coordinamento tra regolamentazione delle piattaforme e disciplina antitrust. La proposta dovrebbe essere recepita in un nuovo testo legislativo, volto a garantire la concorrenza nei mercati digitali, che entrerà in vigore non prima della primavera di quest’anno.

Negli Stati Uniti il quadro è ancora in evoluzione: mentre il presidente Biden ha emanato, nel luglio del 2021, un ordine esecutivo che ha l’obiettivo di promuovere la concorrenza e stimolare gli interventi antitrust, in particolare per quanto riguarda le piattaforme digitali, tra il 2021 e il 2022 sono state presentate alla Camera dei rappresentanti cinque proposte legislative in materia, ancora in fase di discussione. Per il momento è difficile prevedere l’esito della discussione legislativa in corso negli Stati Uniti. Va tuttavia osservato come le proposte regolatorie con maggiore probabilità di approvazione siano complessivamente meno vincolanti per le BigTech rispetto al Dma: a differenza del regolamento europeo, le piattaforme potrebbero sottrarsi dall’applicazione delle nuove regole dimostrando l’oggettiva mancanza di effetti anti-competitivi. Se questa linea dovesse passare, i due ordinamenti si troverebbero su posizioni piuttosto distanti e tra loro difficilmente conciliabili.

Leggi anche:  Pizzo, il fisco iniquo della mafia

Nella Repubblica popolare cinese, dove sono presenti piattaforme (come Alibaba e Meituan) diverse rispetto a quelle diffuse a livello globale, a febbraio 2021 l’autorità per la regolazione del mercato ha emanato il primo atto di diritto della concorrenza specificamente dedicato alle grandi imprese tecnologiche. Rientra nella più ampia strategia volta ad aumentare il controllo pubblico sull’operato dei grandi gruppi privati, attraverso il divieto di numerosi comportamenti reputati in contrasto con la concorrenza, come l’ingiustificato diniego dell’accesso all’infrastruttura digitale a discapito dei concorrenti, l’imposizione di clausole di parità tariffaria, la discriminazione dell’utenza e manipolazione del mercato tramite tecniche di analisi dei big data.

L’affermarsi, nelle principali economie mondiali, di quadri giuridici difformi nel disciplinare la condotta delle grandi piattaforme digitali, oltre a porre rilevanti questioni di cooperazione internazionale, rischia di generare frizioni economiche e ostacoli all’innovazione, danneggiando inevitabilmente i consumatori finali e il commercio internazionale. Come spesso accade nel campo delle politiche di concorrenza, l’armonizzazione riguarda, al di là del contenuto degli obblighi, soprattutto le questioni di carattere procedurale. Il tema, non a caso, è già stato sollevato nell’ambito dei principali organismi di discussione internazionale (Unctad, Oecd, International Competition Network). L’efficacia delle misure adottate nell’Unione europea dipenderà quindi non solo dalla reazione dei gatekeeper e dei loro concorrenti, ma anche dal coordinamento applicativo che le diverse giurisdizioni riusciranno a raggiungere su scala globale.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  La legalità rende: imprese più produttive se rispettano le regole