I risultati fin qui ottenuti dal Reddito di cittadinanza indicano quali sono i punti critici su cui intervenire. A partire dagli istituti responsabili dell’attivazione al lavoro, che vanno resi più efficienti ed efficaci. Non servono due misure distinte.
Autore: Chiara Saraceno Pagina 1 di 7
Già docente di sociologia della famiglia presso l'università di Torino e successivamente professoressa di ricerca presso il Wissenshaftszentrum Berlin fuer Sozialforschung, attualmente è emerita presso quest'ultimo e honorary fellow al Collegio Carlo Alberto di Torino. Si occupa di famiglia, politiche sociali, povertà, diritti dell'infanzia e adolescenza. È co-coordinatrice dell'Alleanza per l'infanzia.
Il Reddito di cittadinanza si è dimostrato uno strumento fondamentale nel contenere la povertà, ma ha ampi margini di miglioramento. Le modifiche, però, dovrebbero basarsi su dati empirici e non su valutazioni politiche.
L’approccio alla disabilità è spesso ancora quello di proteggere e assistere le persone che hanno una limitazione, invece di valorizzarle nelle loro capacità. Ai progetti legati al Pnrr si deve chiedere di rispettare i criteri per l’inclusività.
Esiste uno squilibrio territoriale tra i beneficiari del reddito di cittadinanza. Ma il rimedio non è alzare la soglia di accesso per chi vive al Centro-Nord, perché non considera la diversa disponibilità di beni pubblici. La risposta è semmai un’altra.
Il comitato scientifico di valutazione ha indicato dieci proposte per modificare il reddito di cittadinanza. Il governo ha scelto un’altra strada, ostacolando i beneficiari. Ma il problema dell’avvio al lavoro è l’assenza di politiche attive.
L’assegno unico per le famiglie è stato salutato come una riforma epocale. Ora il “decreto ponte” rischia di ridimensionarne la portata e di farne una replica dell’esistente. Ma c’è tempo per correggere le criticità nel disegno della misura a regime.
La misura appena approvata dal Senato si pone obiettivi ambiziosi e mobilita risorse importanti: saranno quasi otto milioni le famiglie interessate. Un provvedimento storico, non privo però di criticità. C’è tempo fino a luglio per porvi rimedio.
Il Family act è un buon punto di partenza per cominciare a disegnare un insieme organico di interventi a favore delle famiglie con figli. Perché sia efficace, equo e sostenibile serve però un chiaro sistema di priorità. E la soluzione di alcune ambiguità.
La pandemia è un vero stress test anche per il sistema scolastico e la sua capacità di essere davvero inclusivo. Un test che sta mostrando le debolezze di una società che non è capace di investire nei più piccoli e nelle nuove generazioni. E di una scuola impreparata.
Il decreto del governo cerca di garantire un ombrello protettivo del reddito a un grande numero di lavoratori e di favorire la conciliazione famiglia-lavoro. Alcune categorie però restano escluse. Forse si dovrebbe ascoltare di più il terzo settore.