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Autore: Marco Leonardi Pagina 4 di 5

leonardi È professore ordinario di Economia dell'Università degli studi di Milano. Phd. in economia alla London School of Economics, è stato visiting scholar presso il Massachussetts Institute of Technology di Boston e l'Università di Berkeley. I suoi principali interessi scientifici riguardano l'economia del lavoro e in particolare temi legati a disoccupazione, disuguaglianza e redistribuzione. È stato, durante il governo guidato da Paolo Gentiloni, consigliere economico del presidente del Consiglio.

LA VERSIONE DI HAMILTON

Alexander Hamilton, primo segretario al Tesoro Usa, stabilì che il governo nazionale si sarebbe assunto i debiti contratti dai singoli stati durante la guerra di indipendenza. Perché il nuovo Stato non sarebbe stato credibile senza il pieno controllo dei suoi debiti e senza poterne garantire la restituzione. Moneta comune e Fed arrivarono dopo. L’Europa ha scelto il percorso inverso. Pensando che l’unione monetaria avrebbe indotto una convergenza economica e creato le basi per una solida unione. Forse, per la soluzione di lungo periodo della crisi dell’euro servirebbe un Hamilton europeo.

ALL’UNIVERSITÀ COL PRESTITO D’ONORE? NO, GRAZIE

 Le tasse universitarie italiane sono troppo basse. E il problema è particolarmente impellente in un contesto di costante riduzione del Fondo di finanziamento ordinario. Ma un innalzamento significativo finanziato tramite indebitamento è da evitare. Soprattutto perché rischia di vanificare il frutto migliore della riforma del 3+2: l’accesso generalizzato all’università. Meglio allora decidere un moderato e generalizzato aumento delle tasse. Dovrebbe essere ben accolto anche dagli studenti di famiglie più povere perché serve a far contribuire di più chi più ha.

SAN PAOLO, DOVE L’IVA NON SI EVADE

La lotta all’evasione fiscale è tornata di attualità. Ma il modo migliore per incentivare il buon comportamento fiscale non è tanto il controllo e la punizione quanto la compartecipazione ai profitti. Anche per la tassa più evasa, l’Iva. Come dimostra il programma Nota Fiscal adottato a San Paolo del Brasile: un sistema semplice, automatico e che fa leva sulla tecnologia. Mentre in Italia l’impianto delle detrazioni dall’imponibile Irpef è complesso e oneroso per il contribuente.

IL DEBITO DELLE FAMIGLIE AGGRAVA LA CRISI *

L’impatto della recessione del 2009 sui consumi delle famiglie è stato più forte nel Regno Unito rispetto all’Italia. Le cause non sono solo nella diversa entità delle crisi bancarie, ma anche nella diversa esposizione debitoria delle famiglie. Il loro indebitamento complessivo è cresciuto negli ultimi dieci anni in tutti i paesi. Ma poco prima della crisi, nel nostro paese era al 68,8 per cento del reddito disponibile e nel Regno Unito a più del doppio. Soprattutto, sono le famiglie britanniche con redditi bassi a essere più indebitate di quelle italiane. L’incidenza dei mutui.

SE LA CRISI NASCE DALLA DISUGUAGLIANZA

La crisi economico-finanziaria non nasce solo dagli squilibri internazionali. Ha come causa anche una crescente disuguaglianza nella distribuzione del reddito negli Stati Uniti. I salari dei lavoratori con basso tasso di istruzione sono infatti fermi da trent’anni, mentre l’economia americana è cresciuta del 100 per cento. Per adeguare i consumi a quel livello di crescita economica, la metà della popolazione ha fatto ricorso al debito, alla fine diventato insostenibile. La soluzione della crisi passa per politiche redistributive politicamente difficili da accettare.

TUTELIAMO IL REDDITO, NON IL POSTO FISSO

I vincoli ai licenziamenti previsti dalle normativa italiana hanno lo scopo di assicurare il lavoratore contro le possibili fluttuazioni del mercato del lavoro e trasferirne il peso sull’impresa che può neutralizzarle con maggiore facilità. Ma ai vantaggi di una maggiore stabilità dell’impiego corrispondono i costi di una più lunga durata della disoccupazione e di minori salari. Senza contare i diversi modi per aggirare la legislazione, un problema che la crisi ha reso ancora più evidente. Meglio allora ripensare l’intero modello.

LA GIUSTIZIA RAPIDA E’ ANCHE DI QUALITÀ

Il Senato ha approvato una serie di norme di modifica del codice di procedura civile per ridurre la durata dei processi. Ma risultati più incisivi sul piano della efficienza possono venire solo da interventi sull’ordinamento giudiziario e sulla organizzazione del sistema in grado di rendere maggiormente responsabili i singoli operatori, compresa la magistratura. Lo mostra il divario nei risultati registrati nei diversi tribunali del paese, governati tutti da uguali norme. E una maggiore rapidità non sembra andare a scapito della qualità delle decisioni.

QUEL CAPITALE CHE MANCA AL SUD ITALIA

Perché la Spagna ha ridotto nel tempo le ampie differenze regionali che la caratterizzavano, mentre in Italia non ci siamo riusciti? Se invece che al Pil procapite, guardiamo alla nozione di capitale sociale, scopriamo che il Sud e il Nord della Spagna sono sempre stati più omogenei. Ed è proprio la maggiore omogeneità che ha probabilmente consentito il recupero. Ha creato le condizioni perché potessero dispiegare i loro effetti gli altri fattori di convergenza: istruzione, investimenti in infrastrutture e tasso di criminalità.

L’ANDAMENTO LENTO DELLA GIUSTIZIA CIVILE

E’ possibile confrontare l’efficienza dei vari tribunali? Sì, basandosi su due fattori: le spese e la durata dei procedimenti civili. Con risultati a volte sorprendenti: non è sempre vero che chi spende di più ha una giustizia più rapida. Ma in media, a parità di spesa, si potrebbe ridurre del 30 per cento la durata dei processi. Eppure, tutte le riforme della giustizia proposte finora riguardano più il penale che il civile. E nessuna affronta i problemi che interessano davvero i cittadini che usufruiscono del servizio giustizia.

Aliquote rosa

Tassazione differenziata in base al sesso, tassazione con quoziente familiare e imposta negativa: sono tre proposte di riforma per il sistema fiscale italiano. Cambiare le aliquote fiscali è sempre un’operazione controversa che richiede la creazione di un vasto consenso su come distribuire i guadagni e le perdite tra i contribuenti. Ma al di là delle soluzioni tecniche, l’auspicio è che il dibattito sul fisco ci serva a capire due problemi centrali dell’economia italiana: la bassa partecipazione femminile alla forza lavoro e la bassa natalità.

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