Un terzo della manovra del governo si fonda sull’imposizione immobiliare, attraverso l’introduzione dell’Imu. Il provvedimento ha diversi pregi: torna la tassazione sulla prima casa, aumenta il gettito con una tassa che non incide sulla crescita e ridà ai comuni una potente leva di fiscalità . Più discutibili la compartecipazione dello Stato a un tributo locale, l’inasprimento sulle locazioni e la mancata soluzione delle iniquità del sistema delle rendite catastali. E in generale, si va forse verso un nuovo modello di federalismo fiscale con più autonomia e meno solidarietà ?
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 Quella che è stata vista come la spaccatura dell’Unione Europea, potrebbe in realtà essere l’unico vero risultato del vertice di ieri: sancire una integrazione a due velocità tra paesi all’interno e all’esterno della zona euro. Ma siamo ancora lontani da una vera unione fiscale nell’area, perché manca un percorso definito che dia legittimità democratica alle istituzioni che dovrebbero guidarla. Deludente anche la Bce, in cui prevale la rigidità della Bundesbank.
Nell’Italia di Monti si aggira come uno spettro la minaccia che la manovra anti deficit finisca per generare una recessione tale da far calare il Pil più di quanto faccia calare il deficit. Senza la possibilità di svalutare, l’unico rimedio consiste nella riduzione dell’Irap oggi e dei contributi sociali domani, quando la riforma delle pensioni sarà entrata a regime. È l’unica svalutazione oggi alla portata di mano dell’Italia: la riduzione del costo del lavoro.
 Rigore, equità e crescita sono i tre principi che Mario Monti ha indicato quali pilastri per le scelte di politica economica. Nella manovra varata dal suo governo c’è molto rigore, forse troppo. Poca equità . E soprattutto pochissima crescita. Il tempo a disposizione era limitato. Ma proprio perché siamo in condizioni di emergenza si poteva e si doveva fare di più. C’è comunque un miglioramento rispetto alle manovre estive, in particolare in materia previdenziale, deindicizzazione a parte, e nello spostare la tassazione dal lavoro ai patrimoni. Davvero molto, però, resta ancora da fare.
Che cosa succederebbe se l’Italia non riuscisse a portare avanti le riforme strutturali e a consolidare i conti senza l’intervento di istituzioni europee, come la Bce? I costi cui andremmo incontro non sono quantificabili. Il nostro sistema economico entrerebbe in un perverso meccanismo che può dividersi in tre fasi: crisi di liquidità e insolvenza; pressioni deflazionistiche; pressioni inflazionistiche e instabilità politica ed economica.
Se si guardano gli spread dei Cds giornalieri, la rischiosità percepita a breve termine sul debito italiano è quadruplicata, salendo molto di più nel breve che nel lungo periodo. E da ottobre il profilo temporale del rischio ha assunto la forma a “gobba”. I mercati incorporano nei prezzi dei Cds una probabilità di default che aumenta per le scadenze tra uno e due anni, ma poi declina progressivamente. Insomma, i mercati finanziari ci dicono che ci vorranno almeno un paio di anni perché le riforme previste dal governo Monti dispieghino appieno i loro effetti. Il Pdl li ascolterà ?
Le giornate del debito comune sono un esempio di patriottismo economico. E consentiranno alle banche di scaricare i loro bilanci di un po’ di titoli dal valore incerto. Ma i singoli risparmiatori devono anche chiedersi se acquistare in questo frangente titoli di stato italiani sia conveniente. La risposta, come dicono gli esperti del risparmio, varia da individuo a individuo. E le alternative non sono molte. Nemmeno il tradizionale materasso visto che è anche salita l’inflazione.
La maggior parte dei commenti ricevuti dai lettori sono sintetizzabili in tre filoni: maggior ricorso alla tracciabilità , detrazione dell’IVA e rafforzamento delle misure repressive.
Il maggior ricorso alla tracciabilità è certamente una risorsa, ma, anche per le ragioni già ricordate da Thomas Tassani, la tassazione del contante non è una buona idea. Un lettore ricorda il pericolo di un “aumento dei soldi sotto il materasso”, il che si potrebbe estendere come pericolo di un incremento del ricorso ai canali alternativi di gestione del contante. Rimane poi il problema (su cui poi tornerò) che i dati tracciati devono essere utilizzati in modo corretto.
L’Italia sta fronteggiando una seria crisi di fiducia dei mercati, causata dai timori che le riforme per far ripartire la crescita continuino ad essere rinviate e che l’economia alla fine soccomba sotto il peso del debito pubblico accumulato. È necessario un aggiustamento di bilancio. Che andrebbe perseguito prima tagliando le spese e poi, solo se necessario, aumentando poi l’imposizione fiscale, esattamente l’opposto di quanto appena approvato in Parlamento. Il nuovo Governo ha un’opportunità unica per segnare un punto di svolta.
La priorità per l’Italia dovrebbe essere il recupero di competitività esterna per svincolarsi dalla necessità di finanziarsi all’estero. E per convincere i mercati che, alla lunga, il paese riuscirà a restare nell’euro perché ha allineato i costi a quelli della concorrenza internazionale. Si può fare attraverso una svalutazione fiscale, con un aumento dellÂ’Iva abbinato a una riduzione della tassazione del lavoro. Rendendo così più competitive le imprese esportatrici. In Germania un provvedimento simile ha dato ottimi risultati.