Il piano di salvataggio della Grecia non dà i risultati sperati. La recessione è più grave del previsto e cresce il malcontento della popolazione per misure di austerità sempre più pesanti. Il limite del pacchetto di aiuti concordato più di un anno fa con Unione Europea, Bce e Fmi è quello di non dare sufficiente importanza alle riforme strutturali, che invece potrebbero togliere molti degli attuali ostacoli alla crescita, spesso a costo zero per il bilancio dello Stato. Oltretutto, riforme di questo tipo avrebbero il pieno sostegno dei greci.
Categoria: Conti Pubblici Pagina 62 di 102
Tre manovre in sei settimane. E cè da scommettere che non sarà lultima data lincapacità del governo di rimediare ai suoi errori. Aggiorniamo i numeri. La manovra è salita a 55 miliardi, 15 in più di quella di inizio luglio. A regime gli aumenti delle tasse contano per il 63 per cento dellaggiustamento. Se si aggiungono anche i tagli agli Enti locali compensati da aumenti delle addizionali Irpef, si raggiunge il 75 per cento. Queste tasse gravano in gran parte sul lavoro anziché sulle cose, indebolendo la sempre più fragile ripresa.
I cittadini italiani e i mercati internazionali si aspettavano una manovra che tagliasse la spesa pubblica ed in particolare i costi della politica. Si ritrovano con una classica manovra da governo balneare, fatta di nuovi balzelli che ricadono sulle spalle dei soliti noti, i lavoratori dipendenti. Era difficile fare peggio.
La Grecia è in bancarotta già da un anno e non ha altra soluzione che la svalutazione. Se tenterà di farlo rimanendo all’interno dell’Unione monetaria, ciò significherà molta miseria per i cittadini greci perché prezzi e salari dovranno essere drasticamente tagliati. Meglio per tutti se il paese uscisse temporaneamente dalleuro perché potrebbe così riacquistare la competitività perduta. Sarà comunque inevitabile una cancellazione parziale del debito greco e un intervento europeo a sostegno delle banche.
Una nuova regola costituzionale che preveda l’obbligo del bilancio in pareggio segnalerebbe ai mercati la ferma volontà di raggiungere e di mantenere la disciplina fiscale ben più di quanto è possibile fare con provvedimenti del governo pro tempore. Non mancano, però, controindicazioni. A cominciare dal fatto la tenuta di una regola riferita alla spesa totale prefigura un incubo procedurale.
Cè solo un modo con cui il nostro Governo può acquistare credibilità rispetto a chi ritiene alto il rischio di un ripudio del nostro debito pubblico: mostrandosi capace di contenere le spese e di raggiungere un bilancio in pareggio fin dal 2012. Non è introducendo nella Costituzione lobbligo del bilancio in pareggio che si esce dalla crisi.
Sono ben spesi i finanziamenti alle imprese per ricerca e sviluppo? I fondi per gli ammortizzatori sociali? Per la sperimentazione didattica? Il libro, di cui pubblichiamo brevi estratti dal primo e quarto capitolo (edito da Marsilio, 184 pagine, 16 euro), illustra le potenzialità della valutazione degli effetti di politiche basata sullanalisi “controfattuale”. Ne presenta gli utilizzi negli Usa, in Germania e Francia. Discute lo stato della valutazione in Italia e della sua arretratezza.
Lo spread tra Btp e Bund è alle stelle anche perché i mercati temono l’effetto valanga, ossia l’aumento della spesa per interessi e del debito causato dell’aumento dei tassi. L’effetto valanga non è inevitabile, però, e potrà essere bilanciato dal buon andamento del deficit 2011. Se lo spread dovesse rimanere alto anche in futuro, il sentiero del rigore fiscale necessario a rassicurare i mercati diventerà più stretto nel corso del tempo. Meglio agire prima di allora, anticipando al 2012 i tagli di spesa previsti dalla manovra per il 2013-14.
Il crescente indebitamento estero dellItalia è un fenomeno preoccupante ma noto, anche perché va avanti da tempo: il saldo delle partite correnti è in caduta libera dal 1997, quello commerciale dal 1996 (Fig. 1). Volevo sottolineare un fenomeno secondo me più preoccupante, ma meno noto: negli ultimi quattro anni una parte consistente della crescita dellindebitamento è dovuta allaumento del carico di interessi sul debito estero netto (saldo redditi da capitale di bilancia dei pagamenti), un debito contratto non solo dallo Stato, ma anche e soprattutto dal settore privato. Una situazione simile si era verificata solo prima della crisi del 1992.
PUBBLICO E PRIVATO
Nellintervento evitavo rigorosamente di buttarla in politica, per un motivo molto semplice: alle radici del problema mi pare si trovi lunica decisione politica sulla quale sinistra e destra sono graniticamente daccordo. Ritengo cioè sensata losservazione di Fabiani sullinsostenibilità della moneta unica per lItalia. La Fig. 1 è eloquente. Fabiani ricorda anche che cè chi sta peggio di noi. Mi pare però più utile riflettere sul fatto che paesi come lIrlanda, la Spagna e il Portogallo in termini di debito pubblico stavano molto meglio di noi. Limportanza del debito privato non può più essere sottovalutata, e appare chiaro che Maastricht sopravvalutava quella del debito pubblico.
PIOVE, GOVERNO LADRO!
In questo senso, confesso di non capire lintervento di Umberto: gli inviti allottimismo li ricordo bene, ma il deficit spending al quale invitavano era quello privato (leconomia gira con te), non quello pubblico à la Craxi. In Italia i conti pubblici hanno tenuto: dal 2008 al 2010 il debito pubblico italiano è aumentato di 13 punti in rapporto al Pil, quello tedesco di 14. E siccome nel triennio la crescita è stata di -5.2 in Italia e di -0.5 in Germania, i numeri dicono che la politica fiscale italiana è stata certamente più restrittiva di quella dei primi della classe.
BOLLETTA ENERGETICA
Trovo poco fondate le osservazioni di Fox. Intanto, la scelta del periodo di riferimento non va a favore della tesi sostenuta, perché dal 2006 a oggi leffetto energia è stato trascurabile: lindebitamento è aumentato di 2.3 punti di Pil, i pagamenti per interessi di 1.2 (spiegano cioè circa la metà dellaumento), ma la bolletta energetica solo di 0.2 (Fig. 1). La stessa situazione, del resto, si era prodotta prima della crisi del 1992: nel quinquennio 1988-92 lindebitamento era aumentato di 1.7 punti, di cui 0.9 dovuti agli interessi sul debito estero, e… zero alla bolletta energetica! Per inciso, notate che la svalutazione del 1992 ebbe un impatto nullo sulla bolletta energetica. Comunque, se anche la bolletta energetica fosse il problema, il nucleare non sarebbe la soluzione. La Fig. 2 riporta sullasse orizzontale la percentuale di energia elettrica prodotta da impianti nucleari (1), e su quello verticale il rapporto al Pil della bolletta energetica (saldo fra esportazioni e importazioni di prodotti energetici, media 1999-2007) (2). La percentuale di nucleare è massima in Francia, dove il nucleare assicura il 74% della produzione, e minima (0%) nei paesi privi di impianti attivi. Se largomento di Fox fosse corretto, dovremmo aspettarci una bolletta pesantemente negativa in questi ultimi, e meno pesante, o addirittura positiva, in Francia. I dati invece non svelano alcuna relazione di questo tipo: le due variabili sono totalmente incorrelate (per gli statistici: lR2 della regressione è 0.001). Osservate che lunico paese non in rosso è il Regno Unito (estrae petrolio), che lItalia ha la bolletta meno salata fra quelle dei paesi privi di impianti nucleari, e meno salata anche di quella francese, nonostante la Francia abbia 58 impianti attivi e ci venda energia. Evidentemente il problema è più complesso, e altrettanto evidentemente i mercati sono preoccupati da altro.
(1) Power Reactor Information System (PRIS), http://www.iaea.org/programmes/a2/.
(2) Database CHELEM, vers. 11.0 (2009).
Il percorso di attuazione del federalismo fiscale sbatte contro il muro del centralismo, vale a dire dei modi in cui è stata decisa la manovra di aggiustamento dei conti pubblici varata dal Governo. Nessun coinvolgimento delle Regioni e degli enti locali. E, invece, unimposizione di tagli di spesa che costringe le autonomie a una stretta finanziaria molto penosa.