Tommaso Padoa-Schioppa è stato ministro dell’Economia e delle finanze solo per un biennio, vivendo la breve parabola del secondo Governo Prodi. Egli lascia però un’eredità politica ed etica di grande spessore. Il titolo del suo ultimo libro, “La veduta corta”, riassume bene la sua diagnosi sui mali del paese. Da circa 12 anni l’Italia cresce poco e comunque molto meno dei paesi occidentali con cui ci si confronta.
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La legge di stabilità mette la parola fine al fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione. E nello stesso tempo la bozza di decreto legislativo sulla fiscalità municipale introduce la cedolare secca sugli affitti con un’aliquota del 20 per cento. Che determinerà una consistente perdita di gettito senza benefici tangibili per le famiglie in difficoltà a pagare un canone di mercato. Non sarebbe meglio allora utilizzare una somma pari al guadagno che deriva ai proprietari dal nuovo sistema di tassazione per rifinanziare il fondo?
Dopo quindici anni, i risultati del programma per la riduzione del debito dei paesi poveri sono deludenti. In particolare, non sembra aver prodotto alcun effetto positivo sul tasso di crescita del Pil, né un boom degli investimenti. Semplicemente perché spesso il debito estero non è la causa della povertà, che va ricercata invece nella fragilità delle istituzioni. E intanto cresce l’importanza del debito domestico. Meglio sarebbe se istituzioni internazionali e paesi donatori aiutassero i paesi debitori nello sviluppo di una prudente gestione macroeconomica, soprattutto fiscale.
Ci sono insegnamenti da trarre dalle recenti vicende dell’Irlanda. Intanto, non basta considerare quanto un paese cresce, occorre anche considerare perché cresce, poiché da questo dipende la sua capacità di onorare i suoi impegni finanziari. La crescita finanziata prevalentemente dal capitale estero si rivela intrinsecamente fragile. E certo, gli Ide sono meno facili da smobilitare, ma proprio per questo la necessità di remunerarli può essere una zavorra per un sistema economico per parecchio tempo.
La proposta Tremonti-Juncker di istituire una nuova agenzia europea con il compito di creare un debito europeo che sostituisca gradualmente i debiti pubblici nazionali è una buona idea per realizzare infrastrutture e aumentare la liquidità dei mercati. Per essere politicamente realizzabile, richiede però la rinuncia alla sovranità fiscale. Il punto dolente è che diverrebbe operativa dopo il 2013: rischierebbe così di accelerare il default di tutti i paesi a rischio. Non è dunque una soluzione per la crisi di debito dell’Europa.
Due anni e mezzo all’insegna della decisione di non decidere. Questa, in sintesi, la politica economica del Governo Berlusconi, confermato dai due rami del Parlamento ma appeso a una maggioranza risicata di tre voti alla Camera. La scelta di non fare nulla ha portato a una caduta complessiva del reddito nazionale del 6,5 per cento e del reddito pro-capite di più del 7 per cento. Ma ha anche evitato un ulteriore deterioramento del deficit pubblico. Soprattutto, però, il governo non ha realizzato nessuna riforma strutturale benché disponesse di una larga maggioranza in Parlamento. E così l’Italia ha perso altri trenta mesi senza il varo di provvedimenti indispensabili per riprendere a crescere.
Il caso irlandese mette in luce che il costo dei salvataggi bancari può diventare determinante nel valutare la tenuta dei conti pubblici di un paese. Bisogna quindi saperlo misurare e tenerne conto nel rapporto debito/Pil, anche ai fini del nuovo Patto di stabilità in Europa. Una misurazione a valori di mercato ci mostra che l’Irlanda è il paese europeo nel quale l’onere, implicito nella garanzia di bail out del sistema bancario, è di gran lunga maggiore. L’Italia è quello che sta meglio tra i “periferici”. Ma la Germania è il paese più solido in Europa.
L’accordo tra i ministri dell’Economia e delle Finanze dei paesi dell’area euro sulla riforma del Patto di stabilità e crescita ribadisce che sarà rafforzato non solo il vincolo sul deficit ma anche quello sul debito. Che però sono legati fra loro. E dunque una adeguata diminuzione del primo è condizione sufficiente per ridurre il secondo. Mentre un irrigidimento del vincolo sul debito potrebbe avere diversi effetti negativi e non serve neanche a rassicurare i mercati.
L’Open Budget Index classifica i paesi sulla base della quantità e qualità delle informazioni rese pubbliche su vari aspetti dei conti pubblici e del bilancio dello Stato. L’Italia vi compare per la prima volta e ottiene un punteggio non esaltante. Sono soprattutto i ritardi nella pubblicazione dei documenti a limitare la capacità della società civile, dei mezzi di comunicazione e talvolta del Parlamento stesso di influenzare e controllare l’operato del governo nella gestione delle finanze pubbliche. I miglioramenti già previsti.
Punire i debitori, lasciandoli fallire, per ridurre le aspettative di salvataggi futuri può rivelarsi un’illusione. Anzi rischia di sortire l’effetto opposto. Chi credeva che condannando i banchieri di Lehman Brothers si sarebbe imposta maggiore disciplina sugli altri è rimasto deluso, perché la promessa implicita di salvataggio è aumentata. Al contrario, il salvataggio della Bear Stearns non ha portato a un aumento delle aspettative di bail-out. Bisogna tenere conto di questo quando si discute di Irlanda e altri paesi ad alto debito.