Il patrimonio immobiliare degli enti locali costituisce un insieme di beni identificati, omogenei, e alienabili senza effetti negativi sul saldo primario. L’operazione di dismissione dovrebbe affiancare le riforme strutturali, ma stime prudenziali indicano che sarebbe sufficiente a riportare il rapporto debito/Pil vicino al 100 per cento. Lo Stato dovrebbe garantire agli enti territoriali alcuni incentivi, come la revisione del Patto di stabilità interno e l’introduzione di meccanismi di compartecipazione competitiva alla crescita.
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I giudizi europei rimangono severi sui programmi di rientro dei paesi con deficit eccessivo. Soprattutto per l’Italia. La Commissione calcola che nei prossimi tre anni dovremo varare misure aggiuntive permanenti di riduzione del deficit pari almeno all’1,5 per cento del Pil. Senza contare le correzioni all’Irap e l’aumento degli oneri finanziari dovuto alla risalita dei tassi di interesse. Ma proprio il Patto di stabilità potrebbe aiutarci a vincere le resistenze all’aggiustamento di gruppi politici e di pressione, come sta cercando di fare la Germania.
Il trend dei conti pubblici italiani non è sostenibile. E i mercati, per quanto in apparenza quiescenti, ci hanno messo sotto osservazione. Illusorio pensare a un eventuale intervento della Bce per evitare la bancarotta dell’Italia. O all’aiuto di altri paesi europei, per evitare il rischio contagio. Per il momento, gli investitori istituzionali continuano per inerzia, ma con crescente nervosismo, a tenere in portafoglio i titoli italiani, mentre i fondi speculativi aspettano i risultati delle elezioni. Il prossimo Governo dovrà dare segnali rassicuranti in tempi brevi.
Magari nel 2000 fossimo davvero arrivati a un rapporto indebitamento netto/Pil dello 0,8%! (è questo, e non 0,4%, il dato che si desume dalla nuova serie Istat pubblicata il 1° marzo). In realtà in quellÂ’anno c’è stato lÂ’incasso straordinario della vendita delle licenze Umts (13,8 miliardi di euro). Escludendo – come è corretto fare – tale voce, il rapporto nel 2000 è pari al 2%. LÂ’anno successivo, nel 2001, è salito al 3,1%. Si tratta sempre un bellÂ’incremento in un solo anno (1,1 punti), ma è molto inferiore a quello che si ricava dallÂ’esame dei dati non corretti.
La serie completa è nella tabella.
Piuttosto, per giudicare le performance della politica di bilancio, è più utile concentrarsi sul saldo primario (che esclude la spesa per interessi, che non dipende dalle scelte del governo in carica e che come si vede dalla tabella è molto diminuita nell’ultimo decennio, grazie alla diminuzione dei tassi internazionali e all’euro). Il saldo primario è anche la variabile cruciale (insieme con il tasso di interesse e il tasso di crescita del Pil) per determinare la dinamica del rapporto tra stock del debito e Pil.
Tabella- Indicatori di finanza pubblica – Nuova serie Istat
 | 1994 | 1995 | 1996 | 1997 | 1998 | 1999 | 2000 | 2001 | 2002 | 2003 | 2004 | 2005 |
Indebitamento netto | -9,1 | -7,4 | -7,0 | -2,7 | -2,8 | -1,7 | -2,0 | -3,1 | -2,9 | -3,4 | -3,4 | -4,1 |
Interessi | 11,4 | 11,6 | 11,5 | 9,3 | 7,9 | 6,6 | 6,3 | 6,3 | 5,5 | 5,1 | 4,7 | 4,6 |
Avanzo primario | 2,3 | 4,2 | 4,6 | 6,6 | 5,1 | 4,9 | 4,3 | 3,2 | 2,7 | 1,7 | 1,3 | 0,5 |
Il saldo primario nella seconda metà degli anni ’90 è sempre oscillato tra il 4 e il 5 per cento del Pil (con la punta eccezionale del 1997, l’anno dell’eurotassa, quando ha toccato un massimo al 6,6 per cento). Nel 2000 era ancora al 4,3 per cento. A partire dal 2001 l’avanzo ha iniziato a contrarsi, a un ritmo compreso tra mezzo punto e un punto di Pil l’anno, che ne ha prodotto il sostanziale azzeramento nel 2005. Insomma, nel 2001 è iniziato il deterioramento dell’avanzo primario, ma negli anni successivi le cose sono andate sempre peggio.
A cosa è dovuto il peggioramento dell’avanzo primario? All’andamento della spesa corrente primaria (al netto degli interessi) e della pressione fiscale. (Non sono importanti la spesa in conto capitale e le entrate non fiscali, che in tutto il periodo oscillano entrambe tra il 3,5 e il 4,5 per cento del Pil, senza mostrare alcun trend significativo). Per entrambe il 2005 è un anno record: fa segnare per il periodo 1994-2005 il livello più elevato della spesa corrente e quello più basso delle entrate fiscali.
La spesa è ritornata nell’arco di un decennio allo stesso livello del 1993 (39,9 per cento nel 2005, 39,8 per cento nel 1993). La crescita si è concentrata nel periodo 2001-2005: rispetto al 2000 la quota della spesa corrente primaria è oggi più alta di 2,6 punti di Pil.
Il deterioramento delle entrate, trascurando il picco del 1997, è concentrato in tre anni, tra il 1999 e il 2002, quando la pressione fiscale è diminuita di 1,5 punti, fino al 40,8%. Gli anni successivi, con l’eccezione del 2003 contrassegnato da entrate straordinarie, hanno visto soltanto una stabilizzazione della tendenza, fino al 40,6% registrato nel 2005.
Tabella – Spesa pubblica e pressione fiscale (Nuova serie Istat)
 | 1994 | 1995 | 1996 | 1997 | 1998 | 1999 | 2000 | 2001 | 2002 | 2003 | 2004 | 2005 |
Spesa corrente | 38,9 | 36,7 | 37,4 | 37,7 | 37,3 | 37,6 | 37,3 | 37,6 | 38,3 | 39,1 | 39,3 | 39,9 |
Pressione fiscale | 40,8 | 41,2 | 41,6 | 43,7 | 42,3 | 42,4 | 41,6 | 41,3 | 40,8 | 41,4 | 40,7 | 40,6 |
Morale della favola? Senza avanzo primario il rapporto tra debito pubblico e Pil riprende a crescere. E infatti, dopo essere sceso tra il 1994 e il 2004 di 17,7 punti (da 121,5 a 103,8) il debito nel 2005 è, per la prima volta dopo dieci anni tornato a salire, con un aumento di 2,6 punti di Pil, toccando il valore di 106,4.
I dati diffusi dall’Istat sull’andamento dell’economia nel 2005 spengono ancora una volta i facili ottimismi. A evitare una caduta del Pil contribuiscono le voci meno virtuose: i consumi collettivi e l’accumulazione di scorte. Gettando un’ombra sulle prospettive per il 2006. Per i conti pubblici, rispetto alle previsioni di settembre, peggiora l’avanzo primario. Il miglioramento dell’indebitamento netto è dovuto a una diminuzione imprevista della spesa per interessi, agevolata da operazioni di finanza straordinaria. E aspettiamo la Trimestrale di cassa.
La regolamentazione del finanziamento dei partiti presenta diverse criticità . Per esempio, nel 2005 i rimborsi per le elezioni regionali, nazionali, europee hanno riguardato ottantuno formazioni politiche, per un totale di 196 milioni di euro. Una possibile revisione della normativa passa per una maggiore coerenza tra soglie di sbarramento della legge elettorale e diritto al rimborso; criteri più rigorosi di trasparenza; maggiore concorso di “piccole contribuzioni” di privati; terzietà dei controlli anche sulla fissazione dei limiti di spesa.
Se si vuol discutere seriamente di crescita, dobbiamo parlare di istituzioni e di regole, non di politica industriale. Dobbiamo intervenire incisivamente per separare la politica dall’economia. Un decalogo dei buoni rapporti fra politica e affari: servono legalità e buona giustizia, rapida e prevedibile negli esiti; chiare e semplici regole per l’avvio e l’esercizio dell’attività economica; tutela della concorrenza. Ma i primi a dover cambiare i loro comportamenti sono proprio i membri delle assemblee elettive e i pubblici amministratori.
Se la crescita è bassa in tutta l’area euro, esistono però notevoli differenze tra un paese e l’altro. Alcuni hanno intrapreso la strada delle riforme e ottengono risultati confortanti. Invece, senza le necessarie riforme, il circolo vizioso della stagdeflazione imporrà all’Italia l’uscita dall’Unione monetaria, con il ritorno alla lira e il ripudio del debito denominato in euro. Così come ha fatto il paese Sudamericano di fronte a una crisi non dissimile dalla nostra. Ovviamente gravi le ripercussioni, fino a un probabile collasso della stessa Unione monetaria.
La manovra di finanza pubblica è ora molto diversa da quella presentata a settembre. Si è scongiurato il pericolo di una Finanziaria elettorale. Ma le previsioni di tagli alle spese e maggiori imposte per quasi 28 miliardi si realizzeranno? E saranno permanenti? L’impressione è che nei tagli vi sia ben poco di strutturale. Sulle entrate pesa il punto interrogativo del gettito della lotta all’evasione. L’eredità per la prossima legislatura resta pesante. Soprattutto, c’è bisogno di eliminare l’opacità e la frammentarietà dell’informazione sulle attività pubbliche.
La manovra di finanza pubblica, dopo le modifiche subite, è certamente più solida dal lato delle entrate, anche se appare ancora insufficiente a raggiungere lÂ’obiettivo sul disavanzo. Permane un pesante deficit di trasparenza che genera incertezza sui conti pubblici e, quindi, sulle caratteristiche delle politiche fiscali future. Rimuovere questa incertezza sarebbe più vantaggioso per le prospettive di crescita dell’economia di quanto non siano le varie misure “per la famiglia e lo sviluppo” presenti nella Finanziaria.