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SE I DEBITI SI RIPAGANO IN DRACME

Se la Grecia uscisse dall’euro e adottasse una nuova valuta nazionale, cosa accadrebbe ai contratti? Quelli soggetti alle legge greca, si ridenominerebbero semplicemente nella dracma, al tasso di cambio fissato dal governo greco. In tutti gli altri casi, la situazione si rivelerebbe assai complicata. Per esempio, se il debitore fosse greco e il creditore straniero è facile prevedere che ne nascerebbe un contenzioso, con ricorso a un giudice o a un arbitro per decidere in quale moneta debba essere ripagato il debito. In tutta Europa, sorriderebbero solo gli avvocati delle parti.

UNIONE BANCARIA: LONTANI DALLA META

La Commissione UE ha presentato il primo tassello dell’unione bancaria europea: nuove regole per gestire le crisi bancarie. Ogni paese dovrebbe perciò dotarsi di un fondo per la risoluzione delle crisi  pre-finanziato dalle stesse banche. In dieci anni, dovrebbe raggiungere una capacità di intervento pari all’1 per cento dei depositi garantiti. Prevista anche la collaborazione tra autorità di supervisione nazionale. È un buon inizio, ma il traguardo è ancora molto lontano. Con i tempi di decisione dell’Europa, rischiamo di arrivarci quando l’euro non ci sarà più.

UNA RC-CASA CONTRO LE CALAMITÀ

Da tempo si parla di una riforma delle polizze sui disastri naturali, con annessa introduzione di una copertura assicurativa dei fabbricati. Per superare l’attuale sistema assistenzialista, con risarcimenti solo dello Stato, pressoché illimitati e finanziati da una tassazione straordinaria. Ma non è il decreto varato appena prima del terremoto in Emilia a risolvere la questione. Prevede polizze volontarie, assai poco diffuse in Italia. E non coinvolge le compagnie di assicurazione, che avrebbero competenze specifiche nella previsione del rischio e valutazione dei danni. 

Chi paga l’uscita della Grecia dall’Euro

Un’uscita dall’Eurozona non comporta necessariamente il default della Grecia. Il ritorno alla dracma, seppure pesantemente svalutata, farebbe crescere le esportazioni e in una decina di anni il Pil greco tornerebbe ai valori attuali, rendendo così possibile la restituzione del debito estero. Soprattutto se questo fosse ricontrattato su scadenze più lunghe e a un tasso dell’1,5 per cento. La Germania alla fine non registrerebbe alcuna perdita. Mentre i paesi più deboli dell’area subirebbero il doppio colpo dell’effetto contagio e dei più alti costi di rifinanziamento.

 

Il CREDITO SCOMPARSO

La stretta creditizia in Italia è confermata dai dati più recenti della Banca d’Italia. A marzo, i prestiti alle imprese non finanziarie sono rimasti fermi, in rallentamento quelli alle famiglie. Una situazione condivisa con altri paesi in difficoltà, mentre aziende e famiglie del Nord Europa non subiscono le stesse restrizioni. Il sistema bancario italiano dovrebbe prestare una maggiore attenzione all’economia reale. Per interrompere quel circolo vizioso che porta aziende solide, ma illiquide, al fallimento, con conseguente peggioramento delle sofferenze. 

UN CAMBIO DI ROTTA PER LA BCE

Se la Grecia dovesse abbandonare l’euro, la Bce dovrebbe essere il pilastro del meccanismo di assicurazione sui depositi necessario perché l’uscita avvenga in modo ordinato. La Banca centrale dovrebbe anche cambiare impostazione di politica monetaria. Un esplicito impegno a mantenere eccezionalmente bassi i tassi per lungo tempo avrebbe un duplice effetto: orientare al meglio le aspettative e, senza il costo di dichiararlo esplicitamente, indurre un deprezzamento dell’euro. Favorendo così il processo di aggiustamento di cui l’Europa ha disperatamente bisogno.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Molti tra i commenti lasciati dai lettori di lavoce.info all’articolo “Le sofferenze delle banche. E quelle delle imprese” hanno un filo comune quindi preferisco rispondere cumulativamente piuttosto che singolarmente. Alcuni lettori hanno evidenziato come il comportamento delle banche sia ragionevole, o comunque giustificabile dal contesto economico. Altri hanno invece posto in evidenza come nella fase più recente alcuni banchieri abbiano di fatto trascurato il loro importante ruolo di selezione degli imprenditori, e delle imprese, degni di finanziamento.
I dati a disposizione sulle sofferenze, e quelli sull’andamento dei finanziamenti che saranno presentati in un prossimo mio articolo in via di pubblicazione su lavoce.info, evidenziano, a mio avviso, come la seconda tesi sia la più plausibile. La crescita dell’incidenza del rapporto tra sofferenze su impieghi è infatti dovuta più alla flessione del denominatore, piuttosto che a quella del numeratore. Le indagini campionarie condotte presso le imprese, soprattutto di minore dimensione, pongono inoltre in evidenza come sempre più imprese si vedano rifiutare del tutto o in parte le richieste di finanziamento. Gli ultimi dati indicano che più della metà delle PMI italiane ha subito un razionamento del credito. Ciò indica che alle tensioni sul rischio di credito le banche hanno reagito restringendo i finanziamenti. E’ questo un comportamento stupido o masochista privo di qualsiasi logica? In realtà, purtroppo, la logica c’è ed è, come spesso accade in ambito finanziario, esclusivamente di breve periodo. Per rimettere in sesto i conti economici molti istituti di credito, infatti, stanno preferendo la strada della finanza piuttosto che quella del credito. E’ paradossale che dopo essere stato posto in evidenza, da molteplici commentatori, che il nostro sistema bancario è uscito “incolume” dal crollo della finanza internazionale, dopo il default Lehman, grazie al fatto di aver “giocato” poco con i titoli finanziari, adesso invece la strategia dei banchieri nostrani sia proprio quella di speculare sui titoli di Stato italiani. La liquidità offerta dalla Bce, ad un tasso dell’1%, è servita soprattutto per acquistare titoli di Stato che offrono rendimenti ben più alti (si veda Dove va la liquidità delle banche italiane? e Quando i titoli zavorrano le banche). Quindi piuttosto che finanziare le imprese, correndo il rischio di selezionare quelle destinate inesorabilmente al fallimento, i banchieri preferiscono non correre alcun pericolo nel breve termine e investire nei titoli di Stato. Ovviamente questa strategia è miope e nel medio-lungo termine può portare a risultati disastrosi, soprattutto se a seguito del razionamento del credito imprese solide, nel senso che possiedono alte capacità imprenditoriali e produttive e forti potenziali di crescita, siano eliminate dal mercato solo perché in questa fase di crisi della liquidità non sono riuscite a trovare sufficienti fonti di finanziamento.

L’ERRORE DI AVER DIMENTICATO HUME

La crisi della zona euro mette in evidenza tutti limiti della costruzione europea. L’errore principale è stato non chiudere definitivamente le banche centrali nazionali. Permettendo così agli interessi nazionali di interferire con il normale funzionamento del sistema finanziario e del meccanismo di Hume. La sottovalutazione di questi problemi, assieme all’incapacità di istituire una Autorità bancaria europea veramente forte, ha lasciato scoperto uno squarcio nell’integrazione monetaria e finanziaria dell’Unione Europea che ci perseguiterà nei mesi e anni a venire.

LE SOFFERENZE DELLE BANCHE. E QUELLE DELLE IMPRESE

I dati segnalano una continua crescita dei crediti bancari in sofferenza. Le banche rispondono, da una parte, con politiche di accantonamento meno rigorose rispetto al passato; dall’altra, con restrizioni del credito. Imprese solide, ma illiquide, vengono così portate al fallimento in un circolo vizioso che, alla fine, incrementa ancora le sofferenze bancarie. Fondamentale che i banchieri  tornino a selezionare con giudizio chi è meritevole di essere finanziato, perché ha un progetto imprenditoriale valido, e chi, invece, non ha più possibilità di competere sul mercato.

LO SPREAD DEL PRESIDENTE CONSOB

Nella sua relazione annuale, il presidente Consob ha dato molte informazioni. Per esempio, ha confermato che nel nostro paese la Borsa è un canale sempre meno efficace per convogliare il risparmio delle famiglie verso le imprese. Eppure, l’attenzione di tutti si è concentrata sulla parte dedicata allo spread. Ma la democrazia non c’entra, l’indicatore riflette i timori degli investitori. E per l’Italia i rischi sono legati al livello eccessivo di debito pubblico: oggi paghiamo il conto di scelte passate. Perché il vincolo di bilancio non si può eludere.

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