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Categoria: Fisco Pagina 60 di 83

VOODOO ECONOMICS E TREMONTI

Tremonti fa bene a puntare i piedi quando ricorda che l’Europa ci chiede di avere conti pubblici in ordine. L’oggetto del contendere all’interno del governo è l’abolizione dell’Irap e, più in generale, la riduzione della pressione fiscale. Per compensare la perdita di introiti Irap, si parla di possibili riduzioni di spesa, ma di tagli ai cosiddetti consumi intermedi sono lastricate le strade di molte Finanziarie. E l’llusione più pericolosa è quella secondo cui i tagli fiscali non avrebbero conseguenze sul debito o addirittura potrebbero migliorare i conti pubblici.

LE RAGIONI DELL’IRAP

L’Irap è stata introdotta come strumento di razionalizzazione e semplificazione di un sistema tributario deformato e distorto. Non è un’imposta sul reddito delle imprese, ma un’imposta su tutti i redditi riscossa dalle imprese per conto dello Stato. E’ anche a prova di elusione. La riduzione delle imposte è un obiettivo condivisibile, bisogna però chiedersi se esistono altre forme di prelievo più efficienti e meno distorsive. Cercando di ragionare con serietà, senza fare danni e soprattutto senza dimenticare gli insegnamenti della teoria economica.

COME ELIMINARE QUELLA TASSA ANTIPATICA

L’Irap non è un’imposta assurda, ma non ha una buona reputazione. Genera tuttavia un gettito rilevante e quindi non può essere semplicemente abolita. Occorre un progetto per ricondurla nell’ambito del sistema impositivo più tradizionale. Poiché finanzia essenzialmente un servizio universale, la sanità, deve essere percepita su tutti i redditi. Per esempio, attraverso una sovraimposta a favore delle Regioni sull’Irpef e sull’Ires. Oltretutto, il sistema fiscale italiano tornerebbe così a essere comprensibile e comparabile con quello degli altri paesi.

PERCHÉ ABOLIRE L’IRAP?

Se la Francia abolisce la sua Irap, perché non farlo anche noi? Per la verità, Oltralpe non stanno pensando di eliminarla, bensì di introdurla per sostituire la taxe professionelle. Comunque, prima di intervenire sull’imposta regionale sulle attività produttive bisognerebbe chiarire con quali obiettivi. Perché in molti casi potrebbero rivelarsi più utili interventi diversi. Resta il fatto che l’abolizione dell’Irap non porrebbe solo un problema di copertura, ma anche quello di garantire alle Regioni un prelievo che le doti di un adeguato margine di autonomia.

LO SCUDO INCOMPATIBILE CON LE NORME EUROPEE

Prevedere la sospensione dell’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette, come fa il cosiddetto scudo fiscale nella sua ultima versione, è una violazione della direttiva europea anti-riciclaggio. E secondo la giurisprudenza costante della Corte di giustizia, non solo qualsiasi giudice, ma anche qualsiasi autorità pubblica, è tenuta a disapplicare una norma interna, anche di rango primario, contraria alla disposizione di una direttiva, applicando invece quest’ultima. In questo caso, ciò vale in particolare per la Banca d’Italia e l’Uif.

IL COMMENTO DI GUZZETTA SULLO SCUDO FISCALE

Sul merito dello scudo fiscale si è detto molto e lavoce.info ha fornito, come sempre, utilissimi elementi di conoscenza.
Ma il merito, ahimé, è solo una parte, molto grave, certo, del problema. Altrettanto, se non più grave, è la narrazione che lo accompagna.
Porcherie in Italia se ne sono fatte tante. Sia con le azioni che con le omissioni. Sia da governi di centro-destra (soprattutto azioni) sia da governi di centro-sinistra (soprattutto omissioni). E mi interessa poco, in questo momento, fare graduazioni di responsabilità. Non perché non siano importanti, ma perché penso che ognuno le possa fare per sé, da cittadino. E molti le abbiano già fatte.
Né mi interessa applicarmi ad una riflessione sullo spirito degli italiani (Vittime? Complici? Ignavi? Furbetti?  Semplicemente “adattivi” alle condizioni date?). Lo spirito italiano è piuttosto complesso per interpretazioni monocausali e unidirezionali (come dimostra, tra gli altri, il saggio di Guido Crainz, Autobiografia di una repubblica).
La logica di una lettura semplicemente partigiana (da destra o da sinistra) di quanto accade, ci consegna solo un fiume di recriminazioni reciproche. Buone per la polemica politica quotidiana e per quando si andrà a votare.
Ma c’è qualcosa che trascende le pur importantissime posizioni partigiane. C’è qualcosa che ci coinvolge, come si dice, in modo bi-partisan. Che riguarda ben più del rosicchiamento di qualche voto di qua o di là, della casacca che portiamo.
Che attiene al tono della nostra convivenza civile.
Ciò che mi interessa adesso è parlare del futuro e di cosa, qui e ora, la “politica dello scudo” consegna al nostro futuro.
Qualunque cosa si pensi, oggi, ci sono degli sconfitti certi dello scudo. Sconfitti che stanno, tanto per essere chiari, sia a destra che a sinistra.
E gli sconfitti sono i cittadini-contribuenti leali al fisco. Siano essi lavoratori dipendenti (che non possono evadere) o lavoratori autonomi (che possono e non lo fanno, e ce ne sono tantissimi, come quel gommista di Messina di cui conservo gelosamente la ricevuta di 5, dico 5, euro).
La sconfitta è innanzitutto culturale. Perché oggi, in Italia, si chiede a questi contribuenti qualcosa di più della semplice lealtà fiscale. Si chiede qualcosa di più della semplice responsabilità di essere cittadini responsabili, di temperamento civile.
Oggi si chiede loro di sopportare una duplice umiliazione.
La prima umiliazione è quella di sentirsi degli utili idioti, irrisi dal cinismo di frasi come “tanto tutti lo fanno”, “tanto tutti hanno il proprio scheletro nell’armadio” (e quand’anche fosse? Non ci sarà anche una questione di misura, di scala?), “se non lo fanno, non è perché siano particolarmente virtuosi, ma, semplicemente, perché non se lo possono permettere”. “Sono fondamentalmente dei fessi, perché si sono scelti un lavoro che riduce il margine per comportamenti da furbi, perché hanno sbagliato commercialista o, la cosa più grave, perché continuano a raccontarsi che esistono virtù normali, come pagare le tasse”. Insomma chi è causa del suo mal pianga se stesso.
La seconda umiliazione riguarda la narrazione che accompagna l’adozione dello scudo. Coerentemente col menzionato cinismo, l’argomento più o meno è: “non siamo stati in grado di pizzicarli prima, almeno cerchiamo di racimolare quanto si può”. E poco importa se non si è fatto abbastanza, se nulla lascia preludere che si farà di più nel futuro, se quello che si fa oggi non ha nulla a che vedere (sul piano del rigore) con quanto altri paesi (Stati Uniti e Regno Unito) fanno e se alcuni profili del provvedimento  oltre che discutibili nel merito, sono anche dubbi in punto di legittimità. Quel che importa è che si salvi il salvabile (sic!).
Ora queste argomentazioni sono umilianti perché narrano di un paese disperato, sull’orlo del fallimento, costretto a rivolgersi ai peggiori cittadini per chiedere loro aiuto. Come un imprenditore costretto a ricorrere agli strozzini per pagare i propri debiti.
E l’umiliazione sta proprio in questo: che i cittadini leali col fisco sono, per il tramite dello Stato che li rappresenta, costretti a rivolgersi a chi leale non è stato, a chi manca di qualsiasi responsabilità sociale, a chi ha concorso palesemente (sottraendo risorse al fisco e alla collettività o, peggio, riciclando proventi criminali) a determinare la situazione che ci costringe a chiedere disperatamente, proprio a lui, un aiuto estremo.
Oltre il danno, insomma, la beffa.
Ora, nel paese sgangherato in cui siamo, tutto può trovare una giustificazione. Persino lo scudo fiscale. Evviva la Realpolitik.
Ma una cosa non è tollerabile. Non è tollerabile che la narrazione di questa porcheria consegni alla coscienza nazionale, all’etica pubblica, al futuro di questo paese, l’idea che tutto ciò sia normale. E che da domani, i contribuenti leali, dovranno per giunta ritenersi soddisfatti che i propri rappresentanti hanno salvato il salvabile.
Faccio una proposta che non ha nulla di provocatorio o ironico. Ma che, nelle condizioni date, è un atto di onestà intellettuale e civile verso il paese.
Vorrei che qualcuno di coloro collocati ai vertici istituzionali del mio paese avesse il coraggio di presentarsi ai suoi concittadini, magari, stavolta sì, a reti unificate, e facesse questo semplice e drammatico discorso:

“Scusateci, siamo disperati, l’Italia è alla frutta. Per non portare i libri in tribunale, siamo ridotti a blandire i peggiori cittadini (evasori, criminali, opportunisti) chiedendo il 5 % per le loro malefatte e per la loro impunità. Ci vergogniamo, ma non possiamo fare altrimenti. Non è il mondo alla rovescia. No, siamo noi italiani ad essere in una condizione disperata. Grazie, cari contribuenti, di non averci ancora mandati al diavolo!”.

UN’AMNISTIA DI FATTO DIETRO LO SCUDO FISCALE

Non necessariamente lo scudo fiscale servirà a fare tornare i capitali in Italia, perché il rimpatrio è obbligatorio solo se le somme sono presso paradisi fiscali. In ogni caso, il gettito raccolto è una tantum e non potrà finanziare interventi permanenti. Ma il timore è che i capitali rientrati grazie allo scudo non appartengano a piccoli evasori intenzionati a rifinanziare la propria impresa in difficoltà. Potrebbero invece essere di grandi organizzazioni mafiose che ottengono così denaro pulito per le loro attività economiche, compresa l’acquisizione di imprese in difficoltà.

LA MESTA PARABOLA DELLA ROBIN TAX

La maggiorazione dell’aliquota Ires, meglio nota con la suggestiva formula di Robin tax, è stata concepita quando i prezzi di petrolio e carburanti sembravano inarrestabili e i petrolieri, Eni in testa, avevano una reputazione peggiore dello sceriffo di Nottingham. L’obiettivo era duplice: fermare la speculazione e sostenere i redditi bassi. La prima si è sgonfiata da sola, causa crisi e il sostegno ai secondi è rimasto in buona parte nelle casse statali. Restano gli ulteriori oneri per il sistema amministrativo. E spunta anche un finanziamento ai giornali di partito.

PERCHé IL PREMIO DI PRODUTTIVITÀ È SBAGLIATO

Il dibattito sulle proposte di partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese può anche essere confuso, c’è però un elemento comune a tutte, che sembra indispensabile per farle decollare: l’incentivo fiscale o contributivo. Prima ancora di sapere perché e cosa si vuole incentivare. Si conferma la tendenza a ritenere che il sistema fiscale (o contributivo) possa essere manipolato con interventi estemporanei per le finalità più diverse, senza che la struttura intera del prelievo, nelle sue caratteristiche di coerenza, e quindi di equità ed efficienza, ne risenta.

QUANDO IL RAZIONAMENTO SI FA IN UN CLICK DAY

Come le code fuori dai negozi ai tempi dell’Urss, anche il click day è una forma di razionamento. Si suppone che l’obiettivo di quello appena rinviato per i rimborsi forfettari Irap fosse assegnare i fondi in via prioritaria alle imprese che più risentono delle restrizioni creditizie e hanno dunque forti esigenze di liquidità a breve termine. Oltre naturalmente a cercare di ridurre il costo dei rimborsi per il Tesoro. Ma se è così, si è scelto lo strumento sbagliato. Molto meglio i beauty contest o i meccanismi basati sul prezzo.

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