Non mancano le norme per prevenire casi di megalomania imprenditoriale o di beneficio privato del controllo. Ma nella vicenda Parmalat, nessuna di queste è stata sufficiente. Forse perché gli organismi di controllo, come collegi sindacali, consigli di amministrazione e società di revisione, sono segnati da un conflitto di interesse che ne pregiudica lazione. Ecco quattro misure che possono limitarlo. E insieme a un inasprimento delle pene per i reati societari, possono contribuire a ridare credibilità ai bilanci delle società.
Categoria: Giustizia
Con il decreto pre-natalizio è stata introdotta una variante accelerata alla normativa sullamministrazione straordinaria delle grandi imprese. I pochi cambiamenti sono per lo più concentrati nella fase di avvio della procedura. Non convincono il rafforzamento dei poteri del ministro né la limitazione dellapplicazione alle grandissime aziende, ma il decreto non è di per sé un salvataggio né un aiuto di Stato. È invece il frutto della mancanza di una riforma generale e unoccasione perduta per ampliare la gamma degli strumenti di soluzione delle crisi.
La tradizionale suddivisione delle competenze di vigilanza per soggetti è poco funzionale nei mercati finanziari sviluppati. In molti paesi, la scelta è stata dunque tra il regolatore unico e la divisione dei poteri di controllo tra due distinte autorità. LItalia ha mantenuto finora un apparato ibrido e la necessaria riforma può arrivare sullonda della crisi Parmalat. Il modello a due autorità sembra il più adatto al nostro paese, ma non è sufficiente per tutelare i risparmiatori. Serve un ampliamento dei poteri di intervento e sanzionatori, cui deve però corrispondere una più forte trasparenza dei processi decisionali.
Un intervento di riordino del sistema di vigilanza e controllo sui mercati finanziari non è più rinviabile. Un nuovo modello di regolamentazione coerente con il nostro ordinamento e praticabile senza eccessive discontinuità istituzionali, è quello per finalità. Deve essere garantita lindipendenza delle diverse autorità, ma queste risponderanno al Parlamento della realizzazione degli obiettivi fissati. Passi ulteriori verso il regolatore unico non sembrano praticabili né auspicabili.
Il caso Cirio dimostra che il socio di controllo di un importante gruppo quotato è stato in grado nel pieno rispetto delle regole sulla gestione delle società di dirottare alla holding di controllo un’ingente somma di denaro, sottratta così a azionisti di minoranza e creditori. Né la situazione è destinata a migliorare con la riforma del diritto societario, perché non si introducono i deterrenti più efficaci.
La risposta al bisogno di sicurezza dei cittadini continua a privilegiare la quantità sulla qualità. Numero di agenti e spesa in questo settore sono più che adeguati alle necessità italiane. Quello che manca, invece, è la volontà di affrontare i nodi che impediscono un loro utilizzo efficace ed efficiente. A cominciare da una chiara divisione di compiti tra le varie forze dellordine. E da stipendi che tengano conto della diversità dei compiti svolti.
Un nuovo studio porta acqua a favore della separazione tra attività di vigilanza e politica monetaria. La congiunzione di queste due attività nella medesima istituzione, la banca centrale, limita anche la disciplina cui è sottoposta la banca centrale, poiché trasferisce sui contribuenti, in modo assolutamente non trasparente, il costo di eventuali errori che la banca centrale commetta nello svolgere lattività di vigilanza.
Forte riduzione del numero dei reati, prometteva il contratto con gli italiani. Eppure la microcriminalità continua a godere di sostanziale impunità. Perché il poliziotto di quartiere non basta ad assicurare unopera di prevenzione moderna. Il controllo del territorio deve essere integrato da una rielaborazione investigativa dei dati disponibili. La semplice informatizzazione delle denunce sarebbe già un buon inizio.
La normativa sulla crisi di impresa fa sì che i costi dell’accesso al credito e il livello del premio di rischio siano più alti in Italia rispetto agli altri Paesi Ue e agli Stati Uniti. Sul primo pesa la lunghezza dei tempi delle procedure e la percentuale minima di recupero dei crediti. Sul secondo, regole molto restrittive che non danno all’imprenditore strumenti per il rilancio dell’azienda, ma solo la possibilità di rinegoziare le scadenze. E una responsabilità patrimoniale che sopravvive al fallimento.
La riforma della legge fallimentare non può più essere rimandata. Di fronte all’impasse della commissione Trevisanato, serve quindi una chiara direttiva politica sulle priorità e gli obiettivi da perseguire. Che devono riguardare in particolare la prevenzione della crisi, il ruolo del mercato e del giudice, la revocatoria e le insolvenze dei privati. E forse qualche suggerimento può arrivare dalle soluzioni prospettate nella passata legislatura.