Il Prof. Marco Ponti sintetizza in maniera intelligente ed efficace la posizione di quanti sono favorevoli alla gestione privata del servizio idrico.
Mi convince la sua critica ad un approccio astrattamente ideologico al problema dell’acqua. Proprio per questo non riesco a convincermi che la soluzione privatistica sia la migliore.
Anzi mi sembra che molti sostenitori del modello privato cadano nell’identico errore, dando per scontato che la gestione privata del servizio idrico sia a priori più efficiente di quella pubblica.
Mi colpisce, soprattutto, che i critici della gestione pubblica del servizio idrico richiamino spesso la necessità dell’intervento finanziario dei privati, entrando però raramente nel dettaglio delle cifre. Nel modello di società mista (ed ancor di più in quello a totale gestione privata) il pubblico dovrebbe garantire il controllo, mentre al privato farebbero carico l’efficienza gestionale ed i finanziamenti per gli investimenti.
LE CIFRE DELL’ACQUA
Proprio qui si manifesta la debolezza congenita dell’idea privatistica. Il deficit degli investimenti, di cui già oggi ci lamentiamo, non è dovuto solo al naturale riflesso del socio privato di limitare al minimo gli esborsi di capitale, ma soprattutto all’enorme divario tra necessità e possibilità.
Proverò a dare alcune cifre, limitate all’essenziale, per comprendere meglio le reali dimensioni del problema.
Una fonte sicuramente attendibile e prudenziale come il Blu Book 2010 stima in oltre 62 miliardi di Euro gli investimenti necessari per il nostro disastrato servizio idrico.
Per dare un’idea più concreta la spesa annua (ovviamente senza considerare l’inflazione) dovrebbe passare da 1,37 a 9,48 per ogni metro cubo erogato.
Ciascuno di noi può facilmente calcolare le conseguenze sulla propria tariffa: anche se spalmati in trenta anni, servirebbero investimenti per almeno 2,13 miliardi di Euro ogni anno!
In venti anni, come probabilmente sarebbe necessario per la vetustà degli impianti attuali, occorrerebbero più di tre miliardi di euro ogni anno.
Dove si trova il privato che ha la possibilità di investire cifre di questa entità?
Basti pensare, che le quattro società più importanti del settore dei servizi pubblici quotate in borsa (Acea, Hera, Iren, A2a) hanno investito nel settore idrico nell’anno 2009 nemmeno 450 milioni di Euro e, pur operando anche in settori ben più redditizi di quello dell’acqua, al 31.12.2009 avevano debiti complessivi per circa 10 miliardi e 700 milioni di Euro, superiori di oltre un miliardo e duecento milioni al loro patrimonio netto.
Anche se si trovasse un socio privato ben disposto, ovviamente questi interverrebbe per ottenere un rendimento adeguato al proprio investimento. Ciò può avvenire solo con la tariffa, come del resto prevede la legge esistente.
Saranno perciò le bollette a finanziare la maggior parte dell’enorme mole di investimenti necessaria nei prossimi anni.
IL MONOPOLIO NATURALE
In situazioni di monopolio naturale come l’acqua una logica privatistica produce più facilmente effetti distorsivi che maggiore efficienza. Basti pensare al pericolo, tutt’altro che teorico, che il privato per migliorare il risultato economico tagli le spese di manutenzione degli impianti: il monopolio naturale in cui opera il gestore (con l’impossibilità per gli utenti di cambiare fornitore) rende economicamente improduttivo per il privato qualunque serio intervento di tutela dei singoli utenti. Né le gare periodiche per l’assegnazione del servizio mi sembra possano risolvere il problema.
Anche qui l’unione tra gara pubblica e gestione privata sembra favorire più la somma dei vizi del pubblico e del privato che quella dei pregi.
Nella pratica la lunga durata, legata necessariamente ad ogni ipotesi di affidamento del servizio idrico, ridurrebbe di molto, se non del tutto, lo stimolo ad una maggiore efficienza di sistema del gestore privato a favore della naturale tendenza del monopolista di utilizzare la posizione di rendita per aumentare il proprio guadagno. Nemmeno la gara, poi, risolve il problema di fondo: chi paga gli investimenti? Proprio la natura di monopolio naturale del servizio idrico, perciò, fa sì che solo una gestione pubblica possa assicurarne al meglio trasparenza ed efficienza. Dove invece il Prof. Ponti ha ragione da vendere è nel lamentare la grave mancanza di un’autorità di regolazione indipendente per il settore.
E evidente che il totale controllo pubblico delle aziende erogatrici non garantisce di per sé né efficienza né tutela dei cittadini. Gli esempi di distorsioni burocratiche delle strutture pubbliche sono fin troppo noti perché ci sia bisogno di parlarne diffusamente, Non possiamo, perciò, accontentarci della sola proprietà pubblica.
L’impegno per l’acqua pubblica deve essere legato indissolubilmente, pena un tragico insuccesso, ad un altrettanto deciso impegno per l’efficienza industriale del servizio,senza riserve mentali, rimpianti del bel tempo che fu od opposizioni di campanile ai necessari processi di ristrutturazione industriale del settore. Oltre all’Authority come le abbiamo conosciute, sono necessarie anche forme di tutela degli utenti più originali ed incisive. Troppo spesso dimentichiamo che la gestione dell’acqua, come tutti i servizi pubblici, oltre all’impatto generale sul sistema, tocca anche i singoli utenti, che troppo spesso i processi di concentrazione già realizzati hanno abbandonato ai soli numeri verdi dei call center. Occorre, quindi, da un lato prevedere tavoli istituzionali di confronto a livello macro sulla politica degli investimenti e quella tariffaria che permettano agli interessi sociali organizzati (dalle associazioni sindacali ed imprenditoriali, a quelle dei consumatori, alle Camere di Commercio, etc..) di confrontarsi direttamente con i gestori.
UN GARANTE DEGLI UTENTI
Vedrei inoltre necessaria anche una figura di vero e proprio Garante degli Utenti, che possa favorire la conciliazione delle controversie, con poteri effettivi di indagine e di intervento per la risoluzione dei problemi del singolo utente.
Occorre, cioè, affiancare alle forme di controllo istituzionale di sistema un luogo ed un’autorità pubblica a cui ogni singolo cittadino possa rivolgersi in via pre-contenziosa per denunciare abusi e chiedere tutela.
Non sottovalutiamo, perciò, l’importanza di creare in un settore così delicato come quello dei servizi pubblici, una struttura amica che possa efficacemente intervenire in difesa dei diritti del semplice utente.
In questo modo ne guadagnerà anche l’efficienza generale del sistema.
Anche per questo appare preferibile la gestione pubblica del servizio, sicuramente più reattiva del privato a forme di controllo in cui un’opinione pubblica consapevole si affianchi in maniera decisa agli strumenti istituzionali.
* Responsabile Comunicazione Cambia l’Italia Toscana