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Categoria: Infrastrutture e trasporti Pagina 36 di 58

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Grazie a tutte le lettrici ed a tutti i lettori. Compresi quelli che mi hanno scritto personalmente di persona.
Sulla Torino-Lione cito qualche numero. Alla fine degli anni Settanta la tratta Bussoleno-Salbertrand della attuale linea era a binario unico: 23 km con pendenze dal 27 al 30 per mille, che per i treni è tantissimo. I merci andavano su spesso in tripla trazione (due locomotive in testa e una in coda, senza radio né telefono, solo coi fischi). E passavano 10 Milioni di tonnellate di merci all’anno, adesso con la linea a due binari e pendenze più agevoli (26 per mille) siamo sugli 8 milioni. Sul Gottardo, quando si è deciso di progettare ( e poi di sottoporre a ben due referendum) la Galleria di base, passavano 26 milioni di tonnellate all’anno (di cui circa 4 milioni di traffico interno). Adesso sono poco meno. Sul Brennero siamo sui 6 milioni. Un recente studio commissionato da "Iniziativa da las Alps" alla società Metron di Brugg ha messo comunque in luce che senza provvedimenti di accompagnamento di tipo economico-normativo, solo il 5% o poco più dell’attuale traffico stradale attraverso il Tunnel del Gottardo passerà sui treni. Infatti il guadagno di tempo è stimato in circa 1 ora, che rispetto alle 6-12 ore che un carro tradizionale passa in uno scalo di smistamento è irrilevante. Le diminuzioni di costo di esercizio per le imprese ferroviarie saranno sensibili solo con il completamento del tunnel sotto il Monte Ceneri (Lugano-Bellinzona) e del Tunnel dello Zimmerberg (Zug-Thalwil) perché renderanno superfluo l’uso della doppia trazione oppure, in alternativa, circoleranno treni molto più pesanti con due locomotive.
Sugli investimenti infrastrutturali per le merci cito Union Pacific (quotata in borsa). Nei primi anni Ottanta, per cercare di contrastare il declino del traffico merci per ferrovia, UP studiò due progetti alternativi: portare la velocità massima dei treni merci da 60 miglia/ora (96 km/h) a 100 miglia/ora (161 km/h) su alcune direttrici transcontinentali oppure "alzare la bassa velocità" (15-30 miglia/ora) nei nodi e nei grandi scali, dove i treni impiegavano molte decine di minuti per entrare/uscire o semplicemente per transitare, con in più alcuni interventi mirati di tratti a doppio e triplo binario. Sembrerà strano a molti, ma il costo dell’intervento sulla bassa velocità era di un fattore 10 inferiore a quello sull’alta, dava risultati in meno tempo e, soprattutto, aumentava la velocità del sistema di un fattore molto più alto rispetto alle 100 miglia/ora. Così si è fatto, e UP è una delle "7 sorelle ferroviarie" che svolgono il traffico merci in Nordamerica, dopo avere assorbito MP, MKT, CNW, SP. La taglia media di un treno merci nel Nordamerica è di 8.000 tonnellate (da noi 800) ed è lungo almeno un miglio (1600 metri, da noi 400).
Sugli incentivi per i raccordi. Non so quante segherie in Molise vogliano il raccordo. Però non mi risulta che ANAS paghi le strade per le fabbriche. Se un imprenditore vuole il binario in fabbrica è giusto che lo paghi fino a raggiungere la ferrovia più vicina, eventualmente anche lo scambio. Ma è delirante pretendere che debba pagare tutti i segnali e le modifiche (anche cervellotiche) che RFI vuole per i propri impianti, compresi km e km di nuovo binario in affiancamento alla linea o la soppressione di Passaggi a Livello. Se poi il traffico del raccordato raggiunge livelli insostenibili per un raccordo tradizionale, RFI deve anticipare i costi dei miglioramenti dell’allacciamento e farli scontare in un congruo numero di anni (almeno 20) con il pedaggio per accedere alla fabbrica. Nel frattempo siamo in attesa che il Consiglio di Stato si pronunci sulla legittimità del DPCM 7/7/2009 "Direttive a RFI sul trasferimento di Impianti merci a Trenitalia" MAI PUBBLICATO IN GU ed impugnato da Fercargo, l’associazione degli operatori privati, che ha fatto avviare anche una procedura di pre-infrazione della Commissione.
Sugli stipendi dei ferrovieri (FS e non, anche se ho alcuni numeri) preferirei non pronunciarmi, ma segnalo che i dipendenti di Omnitel NON avevano il contratto dei telefonici, ma quello dei metalmeccanici. Forse a qualcuno fa schifo che i costi telefonici in 10 anni siano calati del 65%? E sono certo che i nuovi operatori "elettrici" non applicano quello di ENEL, e nemmeno quello Federgasacqua. Non mi sembra che i relativi dipendenti stiano morendo di fame. I concessionari privati delle "Autolinee Ministeriali" applicano il contratto degli autoferrotranvieri e non lavorano certo in perdita, anzi.
Sul Ponte sullo Stretto osservo un particolare. Il pericolo più grave per una costruzione del gener (ferroviariamente sarebbe un unicum, non esistono ponti ferroviari sospesi così lunghi, credo al massimo arrivino ad un quarto della lunghezza) è la stabilità aeroelastica, non quella sismica. Orbene le simulazioni le ha fatte un noto professore del Politecnico di Milano, che fu anche perito del PM nel disastro di Piacenza del 12 gennaio 1997. Dato che in quel procedimento ero perito di parte lesa, ricordo benissimo che il suddetto prof. fornì al PM una simulazione alcalcolatore del ribaltamento del Pendolino che faceva alcune semplificazioni più che discutibili. Chiesi al pm tramite l’avvocato di avere copia del programma di simulazione, ma il prof. si rifiutò di consegnarla adducendo motivi di "segreto professionale e copyright". Da quella volta evito accuratamente la prima carrozza dei Pendolini.
Sugli incidenti stradali ricordo che la maggior parte avviene su strade ordinarie extraurbane, al secondo posto le strade urbane. Avere introdotto a tappeto il cd "Tutor" in autostrada ha fatto calare verticalmente il numero di incidenti e di morti su quelle infrastrutture. Il preconsuntivo dei morti del 2010 mi risulta sui 4000 per tutta Italia, erano 4237 nel 2009, di cui 667 pedoni e circa 600 ciclisti.
Sull’a.d. del gruppo FS ricordo che è anche sindaco di un Comune del Reatino, evidentemente cercava uno svago per il fine-settimana. Lo conobbi nella seconda metà degli anni Ottanta quando era Segretario Regionale della Filt-CGIL dell’Emilia-Romagna. Mi fece una strana impressione: in un ufficio pieno di carte e volumi, anche sulla scrivania, era tirato a lucido in doppiopetto blu scuro e cravatta di marca. Molto strano come sindacalista, pensai, soprattutto di ferrovieri. E non mi sembrò molto preparato sulla storia delle ferrovie e sulle condizioni operative dell’esercizio.
Sui macchinisti di NTV (auguro un successo clamoroso a entrambi) ricordo che questa impresa ha alle spalle ingenti capitali e che ha potuto usufruire per la formazione dei propri dipendenti di istruttori accreditati e di locomotive di Nordcargo (gruppo LeNord) nonché di un congruo numero di istruttori e di macchinisti pensionati del gruppo FS o congedati dal Genio Ferrovieri. Come d’altronde fatto da quasi tutte le nuove imprese. Non credo che sia necessario istruire un macchinista per 18 mesi. Il regolamento segnali è molto più semplice del codice della strada e se in tre mesi fate la patente E e potete guidare un Tir di 44 ton o un autobus snodato con 150 persone nel traffico urbano, onestamente non vedo perché ci sia questa discriminazione. Inoltre la patente E vale in tutta Europa, la patente F (ferroviaria) ancora no, anche se la UE lo vuole almeno per le linee a standard ETCS. Ovviamente RFI ha attrezzato solo le linee AV con l’ETCS, sulle tradizionali niente, nemmeno lungo i corridoi (Assi) della rete Transeuropea. Sospetto che anche su questo corriamo senza freni verso una procedura di infrazione. Una più una meno ormai…
Sulle stazioni con capostazione segnalo che io parlavo di scali che fanno da 600.000 a 1 Milione di tonnellate all’anno. In una stazione che faceva tre carri al giorno ci sono "nato", ricordo che nei primi anni Ottanta c’erano 4 ferrovieri: capostazione, deviatore, assistente e capo gestione; a volte i carri erano anche 5 o 6, non si faceva marketing, si curavano le aiuole. Non rimpiango questa ferrovia. Ma oggi lo scalo è un parcheggio, la stazione è telecomandata da 200 km di distanza, la biglietteria è aperta 6 ore al giorno nei feriali. Se volete spedire o ricevere per ferrovia ( fabbriche ce ne sono molte, anche una di fama internazionale, la LEITNER) dovete andare a 70 km di distanza. Se fate traffico intermodale dovete andare a 120 km. Ma negli anni Sessanta andavano via da lì treni interi di trattori. E di legname da costruzione.
Sul Certificato di Sicurezza non so come spiegarlo in maniera elementare: all’estero è UNICO per tutta la rete di un Gestore, dato che il Regolamento Segnali è UNICO per tutta la rete così come il Regolamento Circolazione Treni e tutti gli altri. In Italia no, e la sicurezza non c’entra niente. ANSF ha ereditato da RFI una serie zeppe ridicole quando non farsesche che una qualsiasi autorità Antitrust seria avrebbe sottoposto a sanzioni draconiane, un’autorità seria appunto. Sulla sicurezza dopo Viareggio segnalo che nessun proprietario di carri in Europa ha adottato provvedimenti come quello citato. Il problema della rottura degli assi è vecchio come la ferrovia, e comunque ancora non sappiamo COSA ha bucato la cisterna (ne sono sviate 9, 5 si sono ribaltate ed una sola si è bucata). Da tempo esistono apparecchiature "portatili" per il controllo non distruttivo degli assili (a ultrasuoni), ma spesso sono buttate in un angolo, e poi faceva acqua il controllo di qualità in acciaieria. Il problema però non sono i treni, è il GPL. Nel 1974 in Spagna una camion con rimorchio carico di GPL si ribaltò su una strada costiera vicino ad un campeggio, ci furono se non ricordo male quasi 200 morti. Ma il GPL ha continuato a girare impunemente ovunque.
Infine credo che il trasporto di merci, sia esso su camion, aereo, nave, carretto o treno sia un fenomeno economico ed in quanto tale debba rispettare determinate regole a garanzia della salute pubblica e della concorrenza, dopodiché vinca il migliore. Non possiamo tornare ai tempi della DDR o della Romania di Ceaucescu (io le ho viste) dove tutto andava per ferrovia, anche per 20 km. Non poteva durare.
Non mi scandalizzo se qualcuno vuole fare i soldi con le merci per ferrovia. Però sono indignato che qualcun altro distrugga un patrimonio costruito dai nostri bisnonni, nonni e padri pur di non metterlo a disposizione dei concorrenti. Non solo perché si spaccia di sinistra e perché certi ambienti della sinistra continuano a coprirlo.

IL TRENO MERCI SUL BINARIO MORTO

Per i treni merci italiani la crisi è cominciata da anni. Dovuta a scarsa produttività del personale, organizzazione del servizio ottocentesca, impianti obsoleti, locomotive vecchie e poco affidabili, marketing inesistente, treni lenti e spesso in ritardo. Ora si aggiungono le barriere all’ingresso di imprese diverse da quelle che fanno capo a Fs. E una serie di vessazioni per le aziende che volessero utilizzare la ferrovia per spedire la propria merce. Forse perché le aree degli scali possono essere vendute a peso d’oro. Ma è tutto il contrario di quello che accade negli altri paesi.

L’AEROPORTO HA UN PIANO

In arrivo un piano nazionale per gli aeroporti italiani, dove si definisce il ruolo di ciascuno, la chiusura di alcuni e il ridimensionamento di altri all’interno di una strategia globale e centralizzata. L’obiettivo sembra dunque quello di limitare la concorrenza, coordinando e predeterminando le funzioni degli aeroporti. Servirebbe invece l’esatto contrario, difendendo finalmente gli interessi degli utenti con una efficace regolazione indipendente. Un approccio che alla fine gioverebbe alla crescita dell’intero settore.

Grandi opere, un pezzo per volta

Ventisette opere prioritarie nell’ultimo Allegato infrastrutture alla Finanziaria 2011. Ovviamente, mancano le risorse per realizzarle. Dunque si procederà per lotti costruttivi. Meglio sarebbe progettare ogni grande opera per fasi successive, correlate al crescere reale della domanda e alla disponibilità finanziaria garantita per ogni lotto di cui si avviano i cantieri. Altrimenti avremo continui “stop and go” determinati dalle risorse disponibili ogni anno, con opere mai utilizzabili fino all’inaugurazione finale, quando forse saranno tecnologicamente obsolete.

 

Il mercato non prende il treno

La prima azienda privata di trasporto locale di passeggeri debutta sulla linea ferroviaria Milano-Torino. Peccato che l’Ufficio per la regolazione dei servizi ferroviari le abbia vietato le fermate nelle stazioni intermedie. Ma l’ingresso di nuovi protagonisti conferma che le tratte più frequentate possono essere gestite senza alcun sussidio. Anche la Regione Piemonte dovrebbe lasciar fare al mercato, integrando a valle l’offerta con servizi ritenuti socialmente desiderabili. Su molti collegamenti poi sarebbe opportuno valutare l’alternativa del servizio su gomma.

 

Wi – fi tra sicurezza e libertà

Richiesta a gran voce, si avvicina l’abolizione del decreto Pisanu che dal 2005 ha messo fuori legge le reti wi-fi ad accesso anonimo. Non per questo avremo in Italia una diffusione più capillare del wi-fi. Perché in altri paesi il successo della tecnologia senza fili è passato per le reti aperte non anonime, che da noi sono invece bloccate da ostacoli che nulla hanno a che fare con i vincoli della legge. Utile dunque snellire le procedure di accesso, ma meglio ancora agire sulle barriere nascoste.

 

Un commento di Massimo Matteoli*

Il Prof. Marco Ponti sintetizza in maniera intelligente ed efficace la posizione di quanti sono favorevoli alla gestione privata del servizio idrico.
Mi convince la sua critica ad un approccio astrattamente ideologico al problema dell’’acqua. Proprio per questo non riesco a  convincermi che la soluzione “privatistica” sia la migliore.
Anzi mi sembra che molti sostenitori del “modello privato” cadano nell’’identico errore, dando per scontato che la gestione privata del servizio idrico sia a priori più efficiente di quella pubblica.
Mi colpisce, soprattutto, che i critici della gestione pubblica del servizio idrico richiamino spesso la necessità dell’’intervento finanziario dei privati, entrando però raramente nel dettaglio delle cifre. Nel modello di società mista (ed ancor di più in quello a totale gestione privata) il pubblico dovrebbe garantire il controllo, mentre al privato farebbero carico l’’efficienza gestionale ed i finanziamenti per gli investimenti.

LE CIFRE DELL’ACQUA

Proprio qui si  manifesta la debolezza congenita dell’’idea privatistica. Il deficit degli investimenti, di cui già oggi ci lamentiamo, non è dovuto solo al naturale riflesso del socio privato di limitare al minimo gli esborsi di capitale, ma soprattutto all’’enorme divario tra necessità e possibilità.
Proverò a dare alcune cifre, limitate all’’essenziale, per comprendere meglio le reali dimensioni del problema.
Una fonte sicuramente attendibile e prudenziale come il Blu Book 2010 stima in oltre 62 miliardi di Euro gli investimenti necessari per il nostro disastrato servizio idrico.
Per dare un’’idea più concreta la spesa annua (ovviamente senza considerare l’’inflazione) dovrebbe passare da 1,37 a €9,48 per ogni metro cubo erogato.
Ciascuno di noi può facilmente calcolare le conseguenze sulla propria tariffa: anche se spalmati in trenta anni, servirebbero investimenti per almeno 2,13 miliardi di Euro ogni anno!
In venti anni, come probabilmente sarebbe necessario per la vetustà degli impianti attuali, occorrerebbero più di tre miliardi di euro ogni anno.
Dove si trova il privato che ha la possibilità di investire cifre di questa entità?
Basti pensare, che le quattro società più importanti del settore dei servizi pubblici quotate in borsa (Acea, Hera, Iren, A2a) hanno investito nel settore idrico nell’’anno 2009 nemmeno 450 milioni di Euro e, pur operando anche in settori ben più redditizi di quello dell’’acqua, al 31.12.2009 avevano debiti complessivi per circa 10 miliardi e 700 milioni di Euro, superiori di oltre un miliardo e duecento milioni al loro patrimonio netto.
Anche se si trovasse un socio privato ben disposto, ovviamente questi interverrebbe per ottenere un rendimento adeguato al proprio investimento. Ciò può avvenire solo con la tariffa, come del resto prevede la legge esistente.
Saranno perciò le bollette a finanziare la maggior parte dell’’enorme mole di investimenti necessaria nei prossimi anni.

IL MONOPOLIO NATURALE

In situazioni di monopolio naturale come l’acqua una logica privatistica produce più facilmente effetti distorsivi che maggiore efficienza. Basti pensare al pericolo, tutt’’altro che teorico, che il privato per migliorare il risultato economico tagli le spese di manutenzione degli impianti: il monopolio naturale in cui opera il gestore (con l’’impossibilità per gli utenti di cambiare fornitore) rende economicamente improduttivo per il privato qualunque serio intervento di tutela dei singoli utenti. Né le gare periodiche per l’’assegnazione del servizio mi sembra possano risolvere il problema.
Anche qui l’’unione tra gara pubblica e gestione privata sembra favorire più la somma dei vizi del pubblico e del privato che quella dei pregi.
Nella pratica la lunga durata, legata necessariamente ad ogni ipotesi di affidamento del servizio idrico, ridurrebbe di molto, se non del tutto, lo stimolo ad una maggiore efficienza di sistema del gestore privato a favore della naturale tendenza del monopolista di utilizzare la posizione di rendita per aumentare il proprio guadagno. Nemmeno la gara, poi, risolve il problema di fondo: chi paga gli investimenti? Proprio la natura di “monopolio naturale” del servizio idrico, perciò, fa sì che solo una gestione pubblica possa assicurarne al meglio trasparenza ed efficienza. Dove invece il Prof. Ponti ha ragione da vendere è nel lamentare la grave mancanza di un’’autorità di regolazione indipendente per il settore.
E’ evidente che il totale controllo pubblico delle aziende erogatrici non garantisce di per sé né efficienza né tutela dei cittadini. Gli esempi di distorsioni burocratiche delle strutture pubbliche sono fin troppo noti perché ci sia bisogno di parlarne diffusamente, Non possiamo, perciò, accontentarci della sola proprietà pubblica.
L’’impegno per l’‘acqua pubblica deve essere legato indissolubilmente, pena un tragico insuccesso, ad un altrettanto deciso impegno per l’’efficienza industriale del servizio,senza riserve mentali, rimpianti del bel tempo che fu od opposizioni di campanile ai necessari processi di ristrutturazione industriale del settore. Oltre all’’Authority come le abbiamo conosciute, sono necessarie anche forme di tutela degli utenti più originali ed incisive. Troppo spesso dimentichiamo che la gestione dell’’acqua, come tutti i servizi pubblici, oltre all’’impatto generale sul sistema, tocca anche i singoli utenti, che troppo spesso i processi di concentrazione già realizzati hanno abbandonato ai soli “numeri verdi” dei call center. Occorre, quindi, da un lato prevedere tavoli istituzionali di confronto a livello “macro” sulla politica degli investimenti e quella tariffaria che permettano agli interessi sociali organizzati (dalle associazioni sindacali ed  imprenditoriali, a quelle dei consumatori, alle Camere di Commercio, etc..)  di confrontarsi direttamente con i gestori.

UN GARANTE DEGLI UTENTI

Vedrei inoltre necessaria anche una figura di vero e proprio “Garante degli Utenti”, che possa  favorire  la conciliazione delle controversie, con poteri effettivi di indagine e di intervento per la risoluzione dei problemi del singolo utente.
Occorre, cioè, affiancare alle forme di controllo istituzionale di sistema un luogo ed un’’autorità pubblica a cui ogni singolo cittadino possa rivolgersi in via pre-contenziosa per denunciare abusi e chiedere tutela.
Non sottovalutiamo, perciò, l’’importanza di creare in un settore così delicato come quello dei servizi pubblici, una struttura “amica” che possa efficacemente intervenire in difesa dei diritti del semplice utente.
In questo modo ne guadagnerà anche l’’efficienza generale del sistema.
Anche per questo appare preferibile la gestione pubblica del servizio, sicuramente più reattiva del privato a forme di controllo in cui un’opinione pubblica consapevole si affianchi in maniera decisa agli strumenti istituzionali.

* Responsabile Comunicazione Cambia l’’Italia Toscana

Quegli equivoci sull’acqua

La socialità di un servizio pubblico non ha molto a che vedere con la sua produzione. Ma a parità di risorse e di tariffe, meno la produzione è efficiente, meno servizi si possono fornire ai cittadini. Il referendum per l’acqua è un esempio della confusione tra i due concetti. La produzione in condizioni di monopolio, pubblico o privato, tende a essere inefficiente, mentre le gare periodiche di affidamento sono perfettamente compatibili con il massimo di socialità e favoriscono l’efficienza. Quello che davvero manca nella riforma è una Authority indipendente per il settore.

Infrastrutture, costi alti, tempi lunghi, utilità incerta

In allegato la presentazione tenutasi, il 15 settembre 2010, al convegno a porte chiuse per i sostenitori de lavoce.info

Patente di successo

Funzionerà il nuovo Codice della strada? Per capirlo, guardiamo cosa è accaduto con la patente a punti. I numeri della polizia e dell’Istat dicono che dopo la sua introduzione incidenti stradali e vittime sono notevolmente diminuiti. Un risultato confermato dall’analisi econometrica, che permette di escludere l’influenza di altri fattori. E dai dati emerge anche una significativa riduzione nel numero di infrazioni accertate. Cali più consistenti quanto più forte è stato l’inasprimento delle sanzioni.

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