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Categoria: Infrastrutture e trasporti Pagina 52 di 58

Il buon investimento si vede dall’analisi

L’analisi di un investimento pubblico può dare risultati diversi a seconda del metodo utilizzato. L’approccio valore aggiunto tende a essere molto più favorevole ai progetti di spesa. Quello costi-benefici è più “severo” e permette di considerare i costi ambientali e gli aspetti distributivi. Entrambi incorrono però in un problema di trasparenza e efficacia politica: le alternative da valutare. Se si confrontano più possibilità, anche l’analisi valore aggiunto può divenire meno ottimistica, mentre per quella costi-benefici si riducono i rischi di manipolazione.

L’insostenibile inefficienza delle tariffe

L’attuale sistema delle tariffe autostradali, difeso con tanta passione da Gian Maria Gros Pietro, risponde a qualche criterio di efficienza allocativa o potrebbe essere utilmente riformato al fine di migliorare il sistema dei trasporti italiani nel suo complesso? Due sono i principali aspetti problematici: l’assenza di una qualsivoglia relazione tra l’attuale sistema tariffario e la politica dei trasporti e la dubbia efficienza di un sistema di tariffe che riguarda solamente una parte della rete stradale, sebbene la più qualificata.

Il doppio ruolo dei pedaggi autostradali

Le autostrade rappresentano oggi il sistema più strategico del paese per la mobilità di lunga distanza, ma non solo per quella. (1) Viceversa, l’attuale assetto tariffario è esclusivamente dominato dall’esigenza di remunerazione dei gestori e di finanziamento degli investimenti. Problemi di ripartizione modale, o di tipo ambientale, o di ottimizzazione complessiva dell’uso della rete non sono nemmeno considerati.
Eppure, il tuttora vigente Piano generale dei trasporti e della logistica, seguendo le linee indicate dalla Commissione europea, prevedeva esplicitamente che il principale compito delle tariffe autostradali dovesse essere quello di promuovere l’efficiente allocazione del traffico, cioè di ridurre la congestione e accrescere la sicurezza, separando il più possibile il traffico pesante da quello delle auto, ma anche di accrescere la sostenibilità ambientale del sistema di trasporto. (2)
Nel Pgtl si manifestava scetticismo circa la concreta possibilità di procedere a un’ottimizzazione generalizzata del sistema delle tariffe. Si riteneva, invece, possibile procedere in modo graduale per muovere il sistema nella direzione auspicata.
A tale fine si suggeriva di “separare” il livello e la dinamica delle tariffe percepite dai gestori, che hanno il compito di garantire l’equilibrio finanziario degli stessi (compreso di un ragionevole rendimento sugli asset impiegati), dal livello e dalla dinamica dei pedaggi pagati dall’utenza.
Per definire gli introiti percepiti dai gestori, su cui poi applicare il price cap, il traffico previsto dai concessionari doveva essere perciò reso certo, trasformandolo in “traffico virtuale“, sulla base del quale calcolare i corrispettivi di cui i concessionari debbano godere. In questo modo, i gestori verrebbero isolati dal rischio determinato dalle scelte allocative della pubblica autorità, mentre il rischio di impresa sarebbe dovuto permanere pieno sui parametri di efficienza produttiva e qualitativa propri del price cap.
Tra l’altro, al di là delle scelte allocative, il traffico autostradale non dipende certo dall’efficienza del concessionario, ma dall’andamento dell’economia, dal prezzo della benzina, dalle alternative stradali o di altri modi di trasporto e così via: tutte variabili al di fuori del controllo del concessionario. (3) Che i concessionari si siano a lungo opposti al metodo proposto nel Pgtl e abbiano voluto mantenere su di sé un rischio sostanzialmente fuori dal loro controllo può essere legittimamente interpretato come un forte indizio che l’attuale impianto regolatorio offre abbondanti garanzie sui ricavi.

Una tariffazione generalizzata

Il secondo problema è quello dell’inefficienza intrinseca di imporre tariffe solo su parte della rete stradale, quando esistono estesi collegamenti con caratteristiche molto simili (svincoli, numero di corsie, eccetera). Anche in questo caso, le raccomandazioni europee (e il buon senso) non lasciano dubbi: occorre muoversi verso “tariffe efficienti” per l’intera mobilità su gomma. La tecnologia è già sperimentata: si tratta di sistemi satellitari che azionano “tassametri di bordo” in tempo reale, e inducono gli utenti a scelte “razionali” (almeno in relazione alla situazione presente) di orari e percorsi su tutte la rete. Occorre cioè che le tariffe rispecchino la politica complessiva dei trasporti. Ma anche la più semplice tecnologia delle “targhe elettroniche”, cioè di trasponder resi obbligatori (il costo di tali dispositivi e dei relativi “lettori” è oggi irrisorio) può estendere gradatamente il sistema di pedaggi all’intera rete stradale.
In questa direzione si muove con decisione il “Patto per la logistica“, sottoscritto l’11 luglio 2005 anche dall’associazione dei gestori autostradali (Aiscat), oltre che da Anas e da Confindustria (di cui fa parte Federtrasporto, presieduta da Gros Pietro). Tra gli interventi prioritari per l’autotrasporto, il Patto prevede proprio l’avvio di un road pricing “da estendere a interi corridoi e alle aree dei grandi centri urbani, con una differenziazione in base alla qualità delle infrastrutture” e “uno schema di pedaggi articolato in modo tale da separare il traffico passeggeri da quello merci e quindi da incoraggiare il traffico pesante nelle ore notturne”.

Un’occasione da non perdere

Dunque, l’unico vero documento di politica dei trasporti messo a punto nel corso della legislatura che sta per finire si riallaccia, sulla questione delle tariffe (auto)stradali, al Piano messo a punto nella legislatura precedente, esprimendo una continuità di indirizzi che supera la diversità delle maggioranze politiche. C’è da augurarsi che tale continuità prosegua nella prossima legislatura e che si passi finalmente dai buoni propositi all’attuazione delle misure necessarie. Certo, molto dipenderà dall’atteggiamento più o meno collaborativo dei concessionari autostradali, tra i quali va assumendo forza il nuovo capitalismo delle province, attirato dai copiosi cash flow garantiti dall’attuale meccanismo di regolazione delle tariffe. Così come dipenderà dal se e dal come verranno concretamente attuate le disposizioni della Legge finanziaria 2005 in materia di nuove strade a pedaggio e dal se e dal come verranno attuate le disposizioni della legge 203 del 2 dicembre 2005 (articolo 6 ter) in materia di subconcessioni da parte dell’Anas di tratte stradali e autostradali. Se questo complesso insieme di disposizioni non verrà semplicemente lasciato cadere o non verrà utilizzato soltanto come strumento per aggirare i vincoli europei in materia di finanza pubblica, o per costituire una nuova concessionaria pubblica da collocare sul mercato in un prossimo futuro, potrebbe presentarsi l’occasione di un cambiamento significativo e nella giusta direzione del sistema di tariffazione della rete stradale e autostradale. Sarebbe bene non perderla.

(1) Secondo alcune stime, il 78 per cento del traffico pesante sulla rete gestita da Aspi ha origine e destinazione nella stessa Regione.

(2) Si vedano, in particolare, il libro bianco Fair Payment for Infrastructure Use del 1998, e il libro verde Towards Fair and Efficient Pricing in Transport del 1996.

(3) In aggregato, il traffico autostradale cresce grosso modo a un tasso pari a quello di crescita del Pil, moltiplicato per 1,5.

Investimenti sregolati

Gran parte dei flussi economici che caratterizzano le concessioni autostradali, sia come spese che come ricavi da tariffa, sono commisurati agli investimenti (nuove tratte, ampliamenti e così via). Proprio la regolazione degli investimenti, però, presenta anomalie significative. Il price cap infatti dovrebbe agire anche su questi, in modo da indurre il gestore a effettuare tutti e soli quelli remunerativi, riuscendo così a lucrare extraprofitti, anche se temporanei.

Verso il piè di lista

In realtà, gli investimenti autostradali formalmente sono al di fuori di tale tipo di regolazione, e sono “richiesti” dal concedente (Anas) al concessionario, e poi remunerati in tariffa a un prezzo concordato ex-ante. Al concessionario, di fatto, rimane il solo rischio industriale, come per qualsiasi appalto pubblico: se spunterà costi minori di quelli concordati lucrerà extraprofitti, altrimenti incorrerà in perdite. Il sistema di remunerazione sta però evolvendo verso un “piè di lista”, con conseguente eliminazione anche del rischio industriale: in tariffa sono riconosciute al concessionario solo le spese realmente sostenute e documentate, anche per evitare gli inconvenienti di ricavi elevati in assenza di investimenti corrispondenti, fenomeno accaduto in modo clamoroso negli anni passati.
Anas formalmente esegue analisi del tipo costi-benefici per le singole opere, ne determina priorità, tempistica, e coerenza con la pianificazione generale. Sembrerebbe il “dominus” del processo, e il concessionario solo un docile esecutore di volontà politiche. Sarebbe dunque una struttura di “command and control” molto tradizionale, in antitesi rispetto a meccanismi di regolazione incentivante. E una struttura che non prevede nemmeno meccanismi di estrazione di “rendite informative”, che richiederebbero la combinazione strategica di remunerazioni “fixed price” e “cost plus“.

Qualche interrogativo

Il contesto nel quale vengono effettuati gli investimenti autostradali non è affatto quello di normali appalti in gara di opere pubbliche: siamo all’interno di un assetto con due soli attori, predefiniti e reciprocamente vincolati, senza alcuna autorità “terza” di regolazione, e quindi estremamente proclive a fenomeni di “cattura”. Come sono decisi i prezzi unitari o gli standard? Come sono raccordate le scelte di investimento autostradali con quelle, per esempio, ferroviarie? Quale è la possibilità di soggetti terzi di analizzare e contestare costi e analisi di fattibilità?
Un caso interessante, sotto questo profilo, è quello dell’autostrada tirrenica Livorno-Civitavecchia. Per rendere fattibile un investimento altrimenti ingiustificabile, il voluminosissimo studio di fattibilità effettuato, assumeva vincoli futuri di velocità sulla strada esistente di 30-40 km all’ora. Questa assurda quanto cruciale assunzione – la strada statale Aurelia consente oggi velocità autostradali per gran parte del tracciato – era descritta in non più di tre righe di testo. (1)
L’attuale piano di investimenti di Autostrade per l’Italia spa per 4,5 miliardi di euro, di fatto, è stato presentato dal concessionario: si fa un po’ fatica a credere che le decisioni siano state interamente prese da Anas, e che il concessionario ne sia un semplice esecutore. Certo, potrebbe trattarsi di un fortunato caso di “fruttuosa collaborazione” tra regolatore/concedente e regolato/concessionario. Ma se si parte dalla consolidata ipotesi della teoria economica per cui i soggetti (pubblici o privati che siano) sono mossi da obiettivi “egoisti”, le “fruttuose collaborazioni” sembrano più facilmente interpretabili come “cattura” (senza alcuno stigma morale). Anche altri piani di investimento sembrano formulati direttamente dai concessionari per ottenere il prolungamento senza gara della concessione, come ad esempio nel caso recente della Brescia-Padova. Sembra davvero impossibile non vedere qui in atto fenomeni difficilmente riconducibili all’interesse pubblico.
Ma anche in termini teorici, remunerare gli investimenti per via tariffaria apre rilevanti problemi di efficienza: vi sono aspetti legati alle perdite di benessere collettivo connesse al fatto che le autostrade sono un monopolio naturale. (2)
E anche l’eventuale quota di intervento pubblico a fondo perduto dovrebbe rispondere a criteri di efficienza, collegati alle politiche di trasporto complessive, al costo-opportunità marginale dei fondi pubblici, e così via [link Boitani]. Infine, se fossero considerazioni ambientali a indurre una politica di finanziamento degli investimenti autostradali basata sulle tariffe più di quanto accada, per esempio, nel settore ferroviario, ciò dovrebbe avvenire esplicitando i costi ambientali relativi caso per caso, tenendo conto dell’elasticità della domanda e di altri fattori.

Altre anomalie regolatorie

Ma vi è un’altra anomalia rilevante, dovuta all’arbitrarietà delle dimensioni dei concessionari. Un investimento effettuato da un concessionario che ha una rete estesa viene recuperato in tariffa “distribuendo” l’aumento tariffario sull’intera sua rete. Un investimento di pari entità effettuato da un concessionario piccolo, invece, deve essere recuperato con incrementi unitari di tariffa molto maggiori, o addirittura essere pagato in parte dall’erario, per evitare shock tariffari o cali drastici di domanda per effetti di elasticità. Si possono immaginare le implicazioni distributive e di efficienza allocativa di questo aspetto delle tariffe, legato solo a un fattore “storico” quale le dimensioni delle concessioni.
Si pongono quindi, come riflessione “storica”, ma forse non inutile, significativi problemi di “dimensione minima efficiente”. Passando da una struttura concessoria pubblica a una privata, quali analisi sono state fatte per definire le dimensioni efficienti delle concessioni? Perché mai scegliere quelle “storiche”, e non dimensioni più elevate, o inferiori? (3) Non sarebbe stata best practice frazionare molto le reti – fare uno “spezzatino”, secondo un termine corrente -, lasciando poi al mercato determinare aggregazioni, cioè eventuali economie di scala? O di nuovo ha prevalso il discutibile obiettivo del “campione nazionale”, che è emerso anche nelle recenti vicende del sistema bancario italiano, e che sembra essere l’”ultima spiaggia” prediletta dai difensori del monopolio? (4)
In conclusione, sembra difficile trovare argomentazioni sia di efficienza economica (assenza di incentivi regolatori), che di efficienza allocativa (assenza di strategie di massimizzazione del surplus sociale) nell’attuale struttura del finanziamento degli investimenti autostradali. La sensazione è che si tratti sostanzialmente di un dispositivo di prelievo di risorse più “indolore” di altri, nella misura in cui fino ad oggi gli utenti e i contribuenti non hanno manifestato resistenze particolari, se non forse in relazione ad alcuni recenti disservizi. Ma sarà sempre così?

(1) In realtà, fenomeni di “gold plating”, o “effetti Averch-Johnson” sono del tutto verosimili in un meccanismo così “chiuso”.
(2) “Deadweight losses”, che postulerebbero almeno una riflessione su di un meccanismo di tariffazione del tipo Ramsey-Boiteaux.
(3) Si veda anche la ricaduta di questo problema sulla remunerazione degli investimenti.
(4) Per rimanere nel settore dei trasporti, si pensi anche al caso di Alitalia o di Fs.

Autostrade per il benessere degli italiani

Nelle settimane passate lavoce.info ha ospitato uno scambio di opinioni alquanto interessante sulla privatizzazione e sulla performance generale del sistema autostradale tra tre noti economisti, di cui uno è il presidente del consiglio di amministrazione della maggiore concessionaria autostradale.

La scarsità delle informazioni

In primo luogo, colpisce la dovizia di dati con i quali il presidente di Autostrade ha risposto alla tesi di Andrea Boitani e Marco Ponti. Perché sia possibile un dibattito sui costi e sui benefici del sistema autostradale, è necessario che l’informazione sul settore sia pubblica. Invece, la reperibilità di dati oggettivi, compresi gli incrementi tariffari, risulta spesso problematica, se non per via privata. Questo discorso vale in maniera più pregnante per le convenzioni tra le società concessionarie e l’Anas. La natura dei contratti stessi, in quanto concessioni di una infrastruttura di interesse pubblico, rende necessaria la trasparenza e pubblica “dibattibilità” delle loro caratteristiche. Tuttavia, la trasformazione dell’Anas in spa, ha reso possibile, secondo alcuni giuristi, la “privatizzazione” anche del rapporto concessorio, e la tradizionale “riservatezza” della pubblica amministrazione italiana, qui intesa in senso lato, ha trovato una modalità ulteriore di esprimersi.
La premessa è utile per chiarire che, allo stato, il dibattito pubblico non può che essere falsato. Un regolatore o un economista che voglia sostenere che, ad esempio, la “x” del price cap sia stata fissata in maniera impropria o che il sistema di regolazione della qualità è straordinariamente generoso, si trova di fronte alla oggettiva difficoltà di documentare le proprie affermazioni, come invece ha potuto fare, con puntiglio e correttezza, Gian Maria Gros-Pietro.

Un sistema tariffario generoso?

Per quanto riguarda il merito, un punto centrale appare la spiegazione della sorprendente performance del titolo Autostrade (poi Autostrade per l’Italia). Cosa giustifica, in soli quattro anni e mezzo, per tre dei quali peraltro l’indice Mibtel crollava, il (più che) triplicarsi del valore di una impresa in un settore tradizionale e con tariffe regolate? Molte ragioni indubbiamente, tra le quali anche una maggiore efficienza nei business non regolati, la proiezione internazionale dell’impresa, il cambiamento nella sua struttura e i bassi tassi di interesse. Ma difficilmente, data la dimensione del rialzo, si può escludere una certa generosità del sistema tariffario. La privatizzazione si è quindi risolta in un significativo trasferimento di ricchezza.
Gros-Pietro ammette che, se il sistema tariffario fosse stato più “semplice”, il prezzo di privatizzazione avrebbe potuto essere più elevato. Con ciò implicitamente, a mio parere, ammette che anche la lettera del sistema regolatorio italiano definito nel 1997 era aperta a una serie di possibili interpretazioni, in particolare in merito alle modalità della revisione tariffaria quinquennale, a fronte delle quali il prezzo di privatizzazione ha scontato anche l’eventualità che la revisione avvenisse attraverso l’applicazione del cosiddetto claw back.
A questo proposito giova ricordare che non esistono varie possibilità, tutte corrette, di applicare il price cap, come sembra suggerire Gros-Pietro. La “fissazione” del prezzo per un periodo (regolatorio) temporaneo, che consente legittimamente alle imprese regolate profitti supernormali nel breve-medio periodo, non può che essere compensata da aggiustamenti della tariffa a scadenza del periodo. (1) E questo perché nel lungo periodo i guadagni di efficienza realizzati attraverso la formula di incentivo devono essere trasferiti all’utenza. Come in un settore competitivo una posizione di vantaggio temporaneo di una impresa viene gradualmente erosa dalla concorrenza, nei monopoli regolati il margine di sovraprofitto sui costi deve essere messo in questione, a scadenza, dal regolatore.

I confronti internazionali e intertemporali

Gian Maria Gros-Pietro, per sostenere la sua tesi, fa riferimento a confronti internazionali. I dati che riporta appaiono indubitabili. Andrebbe però precisato che sulle tariffe di alcuni paesi pesano in maniera consistente le remunerazioni per investimenti fatti di recente (il caso più clamoroso è ovviamente la M6 inglese, interamente di nuova costruzione). La rete di Aspi, invece, è stata realizzata svariati decenni fa, il suo costo è interamente recuperato e solo recentemente è stato avviato un programma di investimenti di cui, infatti, gli utenti italiani iniziano ad accorgersi per gli effetti non trascurabili sulla tariffa.
Inoltre, nel valutare gli effetti della privatizzazione sul sistema economico, Gros-Pietro assume che la dinamica delle tariffe, qualora la società fosse rimasta pubblica, sarebbe stata analoga a quella precedente al 1999. E trascura il fatto che le entrate da tariffa sarebbero rimaste, di fatto, nella pertinenza della collettività.
La prima congettura non è sufficientemente provata. Il price cap prevedeva una applicazione di incrementi sulla base di una dinamica predeterminata, anche se variabile in funzione di parametri da verificare anno per anno. Ovviamente, la verifica di questi parametri altera il rapporto tra dinamica tariffaria e inflazione, ma non è legata alla proprietà pubblica/privata dell’impresa. Inoltre, ai fini di una valutazione più completa, sarebbe utile avere una idea di quello che la revisione tariffaria del 2003-4 ha comportato per il presente e comporterà per il futuro. La serie degli incrementi tariffari confrontati con l’inflazione dovrebbe perciò essere “allungata” al 2005 e 2006. (2)
Quanto alla seconda congettura, va detto che il calcolo dei guadagni per la collettività ha un carattere molto più complesso di quello che scaturisce dal semplice confronto tra due tassi di incremento delle tariffe. Bisognerebbe costruire un controfattuale credibile su una serie di variabili del tipo effettuato in interessanti esercizi sul Regno Unito. (3)
I dati sulla dinamica delle tariffe potrebbero indurre il lettore poco informato a concludere che la Aspi abbia in effetti realizzato guadagni di efficienza miracolosi nel corso del quinquennio analizzato. A fronte di tariffe reali in calo, il valore del titolo esplode. L’ipotesi non è però pienamente supportata dai dati sui costi operativi nei bilanci. D’altronde, come spiega Gros-Pietro, Aspi ha effettuato più interventi di manutenzione rispetto al passato.
A chi voglia capire cosa è successo davvero si consiglia la lettura del documento presentato da Vito Gamberale, amministratore delegato della società, alla Ubm IX Italian Conference e pubblicato sul sito di Aspi. (4) Vi si enfatizza una crescita del traffico al ritmo di circa il 3 per cento all’anno e, di conseguenza, delle entrate di circa l’8 per cento (slide 6). Ciò spiega quale sia la principale fonte della crescita miracolosa di questi anni. Ai lettori e utenti lascio il giudizio su chi debbano essere i beneficiari ultimi, a scadenza di periodo regolatorio, delle maggiori entrate dovute a un aumento consistente del traffico.

E la qualità?

Un giudizio sulla adeguatezza dell’applicazione del sistema tariffario, come si è configurato nella prima revisione tariffaria anche attraverso le modifiche introdotte dalla legge 47/04, non può essere espresso senza discutere le caratteristiche e i parametri della regolazione, contenuti purtroppo solo nelle convenzioni. In particolare, bisognerebbe poter discutere, oltre che della correttezza di effettuare o meno la revisione tariffaria, almeno della “x”, della remunerazione della qualità e delle previsioni di traffico. È a questi parametri e al modo in cui sono stati calcolati che Gros-Pietro dovrebbe far riferimento per dimostrare il guadagno della collettività. Potrebbe altresì essere utile ricordare che tra le tante norme vantaggiose per le concessionarie, tra cui Aspi, la legge 47/04 stabiliva anche, come contrappeso, la necessità di rivedere il sistema della remunerazione della qualità “entro sei mesi” (da febbraio 2004), forse perché giudicato troppo generoso o basato su indici solo indirettamente legati alla qualità del servizio. Sarebbe quindi utile sapere quale sia a oggi il sistema di regolazione della qualità di Aspi, se ha subito variazioni a seguito del disposto di legge, e in che misura gli incrementi tariffari di questi anni siano dovuti a miglioramenti della “qualità”.

(1) In misura da definire a seconda del peso relativo che si attribuisce ad obiettivi di incentivo e di efficienza allocativa.
(2) A questo proposito, sarebbe utile sapere direttamente dal presidente l’entità dell’incremento tariffario applicato, date le differenze riscontrate dai mezzi di informazione su tratte diverse, difficilmente attribuibili agli arrotondamenti. (3) Per tutti si veda il recente Florio, M. ‘The Great Divestiture’, The MIT Press
(4) Confrontare i documenti che le società presentano per la business community con quelli che esse presentano alla opinione pubblica o ai regolatori è un esercizio sempre fruttuoso.

I benefici della Tav

Le polemiche sul collegamento transalpino Torino-Lione non tengono conto degli aspetti chiave di analisi economica e ambientale. Vi è stato infatti un difetto di comunicazione che ha impedito di illustrare adeguatamente gli obiettivi ambientali e ha trascurato gli effetti di opzione, di difficile quantificazione all’interno delle analisi tradizionali. Due lavori basati sull’analisi costi-benefici estesa dimostrano che non sono trascurabili i valori di opzione che il progetto è in grado di generare. E confermano il ruolo strategico del collegamento.

Sulla Torino-Lione una pausa di riflessione produttiva

La sospensione dei lavori permette una riflessione seria sul progetto di linea ferroviaria Torino-Lione. Si potrebbe rimodularlo in funzione della sola domanda merci e della sua realizzazione graduale nel tempo. Rinunciando all’alta velocità, i costi sarebbero molto ridotti, così come i rischi di una domanda insufficiente. In ogni caso, l’esame deve essere pubblico, condiviso nella metodologia e affidato a soggetti indipendenti. E considerato nell’ambito dell’insieme degli altri grandi progetti infrastrutturali inseriti nelle reti europee.

Dalla gomma alla ferrovia: la velocità non è tutto

Se riuscisse a liberare le valli piemontesi dalla presenza dei Tir, la Torino-Lione potrebbe essere definita un’opera infrastrutturale “strategica”. Ma quali sono le sue potenzialità di redistribuzione modale? In questi giorni girano le cifre più disparate. Per discutere seriamente della questione, invece, occorre precisare per quali relazioni, per che tipo di beni e quali sono le aziende che accetteranno di passare alla ferrovia per il trasporto dei loro prodotti. E il regolatore pubblico deve indicare se e quali politiche di promozione intende adottare.

Come migliorare la linea storica

Invece di costruire il tunnel per l’alta velocità Torino-Lione, si può intervenire sulla linea ferroviaria attuale. E’ un progetto altrettanto efficace per soddisfare la domanda di traffico merci, ma assai meno costoso. Fa leva su un programma di interventi mirati a incrementare radicalmente la capacità della linea storica, agendo anche sull’offerta di servizi di trasporto e non solo sull’infrastruttura, secondo standard internazionali consentiti dalla moderna tecnologia. Secondo calcoli prudenti si potrebbero così trasportare 48 milioni di tonnellate di merci all’anno.

Alitalia, una sopravvivenza politicamente garantita

La “privatizzazione” di Alitalia via aumento di capitale è un’operazione molto costosa per lo Stato. Ma tutta l’annosa vicenda è emblematica dei tarli che indeboliscono l’economia italiana. La débacle della compagnia non è dovuta a carenze tecnologiche né a insufficienza di capitali, ma a protezioni clientelari, a una sindacalizzazione corporativa, a scelte d’investimento sbagliate. Il danno per il paese è stato enorme. Non solo per le risorse bruciate, ma anche per la perdita di posti di lavoro qualificati e per i costi imposti al turismo dai prezzi del servizio.

Autostrade, galline dalle uova d’oro e polli da spennare

Perché alcune infrastrutture, e le autostrade in particolare, sono così redditizie da scatenare
“guerre commerciali” tra soggetti pubblici e privati e conflitti tra amministrazioni locali? Si tratta spesso di rendite di monopolio, generate dalle tariffe consentite da un regolatore debole, e quindi facilmente “catturabile”. Sostanzialmente, una tassa impropria, che potrebbe rivelarsi efficiente se fosse tarata per il controllo della congestione. Quanto alla Serravalle, un privato ha lucrato enormi plusvalenze da un monopolio mal regolato.

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