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Categoria: Investimenti e innovazione Pagina 24 di 31

Meno tasse per gli inventori

L’intenzione di diminuire i costi della brevettazione è certamente lodevole. Ma l’abolizione delle tasse di deposito e mantenimento non è la strada da intraprendere. Il provvedimento non incentiverà l’innovazione delle Pmi. Anzi rafforzerà la posizione delle grandi imprese straniere. Si dovrebbe invece puntare alla armonizzazione delle norme internazionali e impegnarsi per una rapida realizzazione del tanto atteso “brevetto comunitario”. Il precedente Governo non ha brillato per la sua iniziativa in questo campo. Speriamo che il nuovo sappia fare di meglio.

Un brevetto made in Europe

E’ certamente opportuna una riforma dell’European Patent Convention che porti a regole uniformi per rilascio e tutela del brevetto. Può contribuire a rilanciare l’economia europea. Ma non necessariamente deve seguire l’esempio americano. Tre le linee guida: assicurare ampio accesso alle invenzioni di base, ancora lontane dall’applicazione industriale, ma che possono essere fondamentali per il progresso della ricerca; promuovere la qualità dei brevetti e far sì che gli uffici brevettuali migliorino la gestione delle nuove aree tecnologiche.

Innovare si può

Un Governo intenzionato a ridurre il gap di innovazione dovrebbe puntare sulla crescita di nuove imprese in settori ad alto contenuto tecnologico. Un obiettivo non irraggiungibile: l’Italia ha elevati tassi di formazione di nuove imprese, storie imprenditoriali di successo nel low e medium tech e incoraggianti segnali per le giovani aziende ad alta tecnologia. Come incoraggiarne la nascita? E come finanziarle senza incorrere in effetti indesiderati? Creando un ecosistema favorevole, che coinvolga imprese, università e istituzioni finanziarie.

Quanto è difficile l’e-government

Leggi e regolamenti hanno rimodellato i più minuti aspetti organizzativi e tecnologici del back office. Lo sforzo compiuto dal legislatore per conservare un aspetto familiare alle rappresentazioni informatiche degli atti amministrativi è ammirevole, ma rischia di essere vano. Ha ancora senso cercare di adattare il diritto amministrativo all’informatica? Forse, prima di parlare di politiche di settore bisogna concordare su una visione: a quale trasformazione della pubblica amministrazione deve servire l’e-government?

Il treno dell’innovazione non è ancora perso

Non è più sufficiente innovare i processi, dobbiamo innovare i prodotti. E dunque dobbiamo recuperare e valorizzare le competenze tecnologiche e di settore. Ma si deve anche rafforzare la voglia di rischiare e investire del mondo imprenditoriale, magari attraverso un riequilibrio tra la tassazione delle rendite finanziarie e quelle di impresa. Quanto al ruolo dello Stato, è necessario passare a politiche che puntino a sviluppare l’offerta delle imprese. Servono risorse, ma soprattutto chiarezza di idee e coraggio di rompere con gli stereotipi del passato.

Non è tutto oro quello che luccica

I primi risultati del processo di valutazione della ricerca universitaria da parte del Civr e il paventato uso che se ne potrebbe fare ai fini dell’assegnazione delle risorse, impone una riflessione attenta. Associare una valutazione a una premiazione significa creare un sistema incentivante che influenza scelte, azioni, comportamenti e, inevitabilmente, risultati.

Risorse scarse e finanziamenti “eccellenti”

Attraverso la valutazione di un campione ristretto di prodotti di ricerca scelti dalle università, il sistema Civr perviene a una classifica di “eccellenza” degli atenei.
La prima domanda che occorre porsi è se risorse scarse vadano allocate alle università secondo un concetto più o meno assoluto e immutabile di eccellenza oppure secondo una più articolata serie di criteri strategici, variabili nel tempo e nello spazio. Ovvero, un’università è eccellente perché i suoi risultati sono conformi a un concetto dogmatico di eccellenza oppure perché raggiunge determinati obiettivi strategici?
Indipendentemente dal significato di eccellenza, l’allocazione di risorse scarse alle università dovrebbe essere effettuata in funzione dei rispettivi programmi di azione necessari per realizzarne la strategia. Il ruolo del Governo si estrinseca nel definire con chiarezza gli indirizzi politici nei settori di attività degli atenei; nel richiedere piani strategici alle singole sedi per verificarne l’allineamento con gli indirizzi politici e realizzare l’integrazione sinergica complessiva; nell’assegnare coerentemente le risorse necessarie; e nel controllare che gli obiettivi strategici siano effettivamente raggiunti.
Sul primo punto, il Consiglio europeo di Lisbona 2000 è un esempio eclatante cui riferirsi: non solo fissa gli indirizzi politici dell’Unione sulla ricerca, ma formula una missione, quantitativamente misurabile in un arco temporale definito. Sugli altri, un esempio è fornito dal “libero mercato” americano. Il Government Performance and Results Act del 1993 richiede a tutti i laboratori di ricerca pubblici una particolare attenzione all’impatto socio-economico delle attività intraprese per assolvere alle rispettive missioni istituzionali e di produrre tre documenti distinti: un piano strategico relativo a un periodo di cinque anni; un piano e un rapporto annuale di performance. Questo tipo di controllo (detto behavior control) è molto più stringente, e appropriato, dell’opposto modello fondato sul controllo dei risultati (outcome control), cui il sistema Civr può approssimativamente essere ricondotto.
La prospettiva strategica nell’allocazione delle risorse, a differenza del sistema di valutazione Civr, presuppone che le università possano avere obiettivi strategici diversi e, quindi, essere valutate in maniera non necessariamente uniforme. Inoltre, altrettanto importante è riconoscere che le università presentano una peculiarità organizzativa più unica che rara: i suoi membri operano contemporaneamente in due settori di attività, la formazione e la ricerca; addirittura in tre, con l’assistenza sanitaria, negli atenei attivi nelle scienze mediche. A seconda delle competenze distintive di ciascuna università, e dei bisogni contestuali derivanti dalla localizzazione e da altri fattori, potrebbe perciò rivelarsi opportuno differenziare l’enfasi sulle diverse attività o, in ciascuna di queste, perseguire obiettivi diversi o in diversa misura. All’interno della medesima attività, quale la ricerca, si potrebbe poi, privilegiare un’area disciplinare rispetto a un’altra, indipendentemente dal livello di conoscenza nell’area stessa; e potrebbe essere così in un’area geografica del paese e l’opposto in un’altra.
Una modalità di allocazione delle risorse fondata su sistemi rigidi di valutazione come quello proposto dal Civr, non solo non permette di rispondere alle molteplici e diverse esigenze che la complessità di un sistema-paese presenta, ma potrebbe rivelarsi addirittura disfunzionale.

Pubblicazioni contro brevetti

Proviamo a prefigurare l’efficacia di un sistema incentivante basato sulla valutazione Civr. Verosimilmente la reazione di ogni ateneo sarebbe quella di privilegiare nell’allocazione interna delle risorse i suoi champion, per mantenere o migliorare la propria posizione nella classifica nazionale. Ciò è sicuramente un bene, a meno che il champion non svolga ricerca in settori disciplinari non strategici o in cui non esistano imprese italiane in grado di coglierne le ricadute (una recente indagine ha mostrato che accade nel 28 per cento dei casi). Il personale di ricerca tutto, poi, aspirerebbe a diventare champion all’interno della propria università. E ciascun ricercatore tenderà perciò a codificare le nuove conoscenze generate in prodotti “certificati” a livello internazionale, quali gli articoli scientifici nelle riviste con impact factor più alto.
Siamo certi che sia di questo che il nostro paese ha bisogno? Negli anni 1995-2000, nelle università americane, a fronte di spese in ricerca aumentate del 22 per cento, le pubblicazioni scientifiche sono diminuite del 10 per cento; in Canada del 9 per cento, in Olanda del 5 per cento e nel Regno Unito dell’1 per cento. Viceversa, il numero dei brevetti depositati e concessi in licenza dalle università americane e canadesi è cresciuto nello stesso periodo, rispettivamente, del 220 e del 160 per cento.
Nel medesimo arco di tempo, l’Italia ha fatto registrare il più alto tasso di crescita annuale di pubblicazioni tra i paesi del G7, portandoci ai livelli di produttività scientifica di Stati Uniti (e di gran lunga superiore agli altri membri del G7). Si è però ampliato il gap nella produzione brevettuale e nel licensing. Nel 2002, in Italia, i brevetti di titolarità universitaria erano quattro ogni mille ricercatori, nel Regno Unito ventidue, mentre negli Stati Uniti già nel 1999 avevano superato la soglia di quaranta. Le università americane e canadesi concedono in licenza in media il 60 per cento dei brevetti depositati; quelle italiane il 13 per cento.
È stato empiricamente dimostrato che sono per lo più le grandi imprese, e non le piccole, a utilizzare le pubblicazioni scientifiche quali fonte di informazione per l’attività innovativa: con la struttura del nostro settore industriale, si può prevedere che a usufruire “dell’eccellenza” di risultati di ricerca così codificati sarà molto probabilmente la concorrenza straniera più che il sistema produttivo nazionale.
I criteri di valutazione Civr inducono, come è avvenuto negli altri paesi, un cambiamento nella codifica delle nuove conoscenze o, piuttosto, alimentano la tendenza attuale? Qual è il senso di rafforzare un incentivo che è già intrinseco nella comunità scientifica mondiale (ottenere il riconoscimento internazionale dei propri pari) e i cui esiti eccessivi (in concomitanza di una scarsa produzione brevettale) si rivelano controproducenti per l’impatto competitivo e lo sviluppo economico del nostro paese? Cosa accadrà, poi, a quel tipo di ricerca, già di per sé esigua, più finalizzata a soddisfare i bisogni specifici del nostro sistema paese che non a brillare nel firmamento della scienza internazionale?
Un’ultima riflessione meritano le implicazioni indirette di un sistema incentivante. I fondi attuali (di cui non si prevede un incremento) assicurano a malapena la sopravvivenza operativa, ridurli sotto una certa soglia per alcune università potrebbe implicare un ritorno complessivo netto negativo. Non è un motivo per non procedere, ma le cautele devono essere senz’altro maggiori, soprattutto se si considerano i beneficiari finali dell’attività di ricerca di un’università, quali le imprese che gravitano sul territorio, gli studenti e i pazienti. Un esercizio di valutazione, inoltre, non dovrebbe essere finalizzato solo a premiare i migliori, ma anche a capire perché alcune strutture sono meno efficienti di altre ed eventualmente intervenire con misure correttive, il che non si traduce sempre e necessariamente in un’allocazione di minori risorse.

Lo strumento di valutazione

In merito all’efficienza dello strumento di valutazione proposto mi limiterò solo ad alcune osservazioni di carattere generale.

· Le risorse finanziarie appaiono nei criteri di valutazione solo come output e non come input (la produttività del lavoro non viene normalizzata rispetto al capitale).

· Il processo di valutazione, sofisticato a valle, lo è molto meno a monte. Mentre gli esperti esterni valutano comparativamente prodotti afferenti al medesimo settore, la selezione interna avviene tra prodotti afferenti ad aree disciplinari diverse, il che non è affatto semplice. In più, la selezione interna potrebbe essere condizionata da fattori estrinseci alla qualità del prodotto, la posizione o il potere degli autori all’interno dell’organizzazione.

· È possibile che in un’area disciplinare, a parità di ricercatori, un’università che presenti n prodotti valutati eccellenti risulti migliore di un’altra con n prodotti eccellenti e i buoni.

· La dimensione di riferimento, nei quattro raggruppamenti delle classifiche di area, non è relativa agli addetti, bensì al numero di prodotti, scelti arbitrariamente da ciascuna università per area disciplinare. Pur volendo considerare la ripartizione dimensionale delle università per addetto, essa andrebbe legittimata dimostrando la presenza di rendimenti di scala costanti del lavoro all’interno di ciascuna classe, ma diversi per classe. A questo punto sarebbe anche lecito chiedersi, però, se esistano vantaggi di diversificazione (numerosità delle aree disciplinari nella singola università).

Il modello proposto dal Civr, con gli opportuni miglioramenti e integrato con misurazioni più o meno automatizzate di produttività a più ampio spettro, potrebbe rivelarsi uno strumento utile, seppur molto costoso, ai fini di un benchmarking tra istituzioni. Utilizzarlo, invece, quale strumento discriminante per l’allocazione delle risorse potrebbe essere, a mio avviso, iniquo, inappropriato e, forse, anche controproducente per il sistema-paese.

Un Iit impegnativo

Per fare il punto sull’attività e gli obiettivi dell’Istituto Italiano di Tecnologia, lo scorso 28 aprile abbiamo sottoposto ai vertici dell’Istituto una scheda di sintesi degli impegni presi nel corso degli ultimi due anni. Ospitiamo oggi l’intervento di replica del Presidente
dell’IIT Vittorio Grilli; altre notizie sono disponibili sul sito www.iit.it  nei due comunicati stampa del 3 e del 9 maggio

Un giudizio sul Civr

Il Civr è stato un successo, riuscendo a valutare in breve tempo un gran numero di prodotti e contribuendo a mettere in moto un processo salutare all’interno dell’università italiana. Tanto che si suggerisce di renderlo annuale. Cosicché le strutture possano aggiustare politiche e incentivi con maggiore gradualità e vedere rapidamente l’esito del lavoro svolto. Non mancano però opinioni che invitano a inserire la valutazione Civr in un sistema di indicatori capaci di intercettare le diverse dimensioni della qualità di un dipartimento e la loro evoluzione nel tempo. Nuovi interventi di Franco Peracchi, Giovanni Abramo e Roberto Tamborini.

Tutto previsto

Questa nota sollecitata da lavoce.info ci consente di fare chiarezza sul reale stato di avanzamento del programma scientifico dell’Iit, anche alla luce dei recenti comunicati del 3 maggio e del 9 maggio 2006 sugli sviluppi delle attività della Fondazione Iit. (1)

Reclutamento degli scienziati: punti 1, 9, 10 de lavoce.info

L’annuncio pubblicato su Nature e Science da Iit (maggio 2005) per l’assunzione dei direttori di ricerca si è rivelato un successo di proporzioni inattese. Sono pervenute 155 application, di cui circa il 70 per cento da ricercatori stranieri o italiani operanti all’estero. È stato pertanto necessario costituire tre panel di scienziati internazionali di chiara fama per la valutazione dei curricula con una procedura completamente informatizzata basata su un sito web personale per ciascun valutatore. (2) Come indicato nel comunicato del 9 maggio 2006, i professori Benfenati, Caldwell, Fontaine e Sandini hanno concluso le trattative di assunzione con Iit nella prima settimana di maggio 2006. Per altri due ricercatori residenti negli Usa, le trattative dovrebbero completarsi entro la fine di maggio 2006. Con gli ultimi due ricercatori sono in corso di valutazione aspetti finali del loro rapporto con Iit.

Definizione laboratori: punti 1, 4, 8 de lavoce.info

Tra ottobre 2005 e febbraio 2006 sono state effettuate numerose riunioni tecniche con i ricercatori selezionati atte a definire in maniera quantitativa le strutture dei gruppi, dei laboratori e dei programmi di lavoro quinquennali, allo scopo di presentare: (a) il lay-out generale dei laboratori, (b) la pianta organica pluriennale dei diversi gruppi, (c) il budget quinquennale di previsione. Si noti che nonostante l’elevatissimo numero di candidati, tra l’altro di qualità eccezionalmente elevata, è stato già approntato un budget presentato in forma previsionale al consiglio di Iit del 4 aprile 2006.

Network tecnologico multidisciplinare: punti 1, 7 de lavoce.info

Iit ha lanciato nel 2004 il programma di dottorato di ricerca presso sei sedi: Università di Genova, Politecnico di Milano, Consorzio Ifom-Ieo di Milano, Ospedale San Raffaele, Scuola Normale Superiore di Pisa, Sant’Anna di Pisa e ha continuato nella sua strategia di collaborazione con primarie istituzioni di ricerca italiane iniziando a settembre 2005 la prima serie di incontri scientifici per la costituzione del Network tecnologico multidisciplinare della Fondazione Iit. Fra settembre 2005 e marzo 2006 sono state elaborate con i partner le convenzioni quadro per la costituzione di unità di ricerca Iit che svilupperanno parti del programma Iit presso le sedi di: Scuola Superiore Sissa di Trieste, Politecnico di Milano, Consorzio Ifom-Ieo di Milano, San Raffaele di Milano, Scuola Normale Superiore di Pisa, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Istituto Ebri Roma, Università Federico II Napoli, Laboratorio nazionale nanotecnologia Cnr di Lecce. La riunione di avvio ufficiale della rete si è tenuta il 3 maggio 2006. (3)

Accordi con istituti esteri: punti 1, 2 de lavoce.info

È in fase di costruzione il programma bilaterale con Mit-Usa (prof. E. Bizzi, prof. E. Spector, prof. R. Cingolani) mentre l’accordo con Waseda, già siglato nel 2005, verrà avviato ufficialmente nei prossimi mesi dai direttori di ricerca della piattaforma robotica e dal polo Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. È in programma inoltre un incontro dei rappresentanti della rete multidisciplinare tecnologica di Iit con rappresentanti della rete Fraunhofer nei prossimi mesi.

Sede per i laboratori: punti 1, 8 de lavoce.info

Contestualmente alle attività per la selezione degli scienziati e la costruzione della rete, fra la fine del 2005 e il 2006, con l’aiuto efficacissimo della Regione Liguria, è stata identificata una nuova sede per i laboratori centrali di Genova molto più adeguata alle necessità dei laboratori high-tech rispetto alla sede precedentemente individuata a Genova Quarto (ex-ospedale psichiatrico). Come segnalato ampiamente in passato dal direttore scientifico di Iit, la sede di Genova Quarto, per quanto molto bella, non era ideale per le trasformazioni necessarie per i laboratori di Iit. La nuova sede è stata identificata a Morego, e consiste di circa 30mila mq, inclusi gli spazi esterni, con caratteristiche strutturali, impiantistiche e logistiche ideali per lo sviluppo di grandi laboratori. (4)

I direttori di ricerca stanno attualmente progettando i laboratori e i relativi impianti. Gli acquisti delle macchine, le licitazioni private, gli appalti per le gare di grande strumentazione e per l’impiantistica sono in parte iniziati e in parte in corso di ultimazione. (5)

Internet: punto 3 de lavoce.info

Il sito Internet della Fondazione è in rifacimento e pensiamo di fare coincidere la presenza fisica dei laboratori a Morego con il suo rinnovamento.

Business plan: punti 1, 4, 5, 6 de lavoce.info

Confermiamo che è stato già stilato un business plan quinquennale che recepisce il piano di investimenti dei direttori di ricerca, della rete e delle spese logistiche che verrà reso disponibile dopo l’approvazione finale degli organismi della Fondazione.

Personale: punti 1, 9 de lavoce.info

Confermiamo l’obiettivo di avere, entro fine 2006, 6 direttori di ricerca, 35 dottorandi al secondo anno, circa 45 nuovi dottorandi (bando 2006), e circa 30 nuovi ricercatori e post doc assunti dai suddetti direttori di ricerca. Questo porta a un team provvisorio a fine 2006 di circa 115 ricercatori (su tutte le fasce), cui si sommano circa 150 ricercatori distribuiti nella rete multidisciplinare di Iit e dedicati al suo programma.

Governance della Fondazione

È opportuno ricordare ai lettori de lavoce.info anche la rinnovata composizione degli organismi di governance della Fondazione che si sono di recente arricchiti con nuove personalità che apporteranno la loro esperienza nei settori di competenza. Il consiglio della Fondazione è composto da: Gabriele Galateri di Genola (presidente di Mediobanca) con funzione di chairman, Roger Abravanel (direttore di Mc Kinsey), Alberto Alesina (chairman del dipartimento di economia di Harvard), Konrad Osterwalder (rettore Eth Zurich), Remo Pertica (condirettore generale di Finmeccanica), Gianfelice Rocca (presidente Gruppo Techint), Paolo Scaroni (amministratore delegato Eni), Giuseppe Vita (presidente di Ras e del consiglio di sorveglianza di Schering). Il comitato esecutivo della Fondazione è composto da Vittorio Grilli con funzioni di presidente della Fondazione, Roberto Cingolani nel ruolo di direttore scientifico e Giuseppe Cerbone in qualità di vicepresidente.

Impegni mantenuti

Crediamo, pertanto, che gli impegni siano stati mantenuti, senza riserve e con il massimo impegno. A fronte di un ritardo di circa quattro mesi sulla tabella di marcia sono state reperite risorse logistiche migliori in qualità e dimensione e, soprattutto, sono stati assunti ricercatori di fama internazionale in numero ben superiore alle previsioni e con profili scientifici multidisciplinari di valore assoluto. La rete, infine, è partita garantendo una formidabile spinta propulsiva alle attività di ricerca dell’Istituto nella fase complessa e delicata di costruzione della sede centrale. Tutti gli operatori sono già al lavoro per costruire proposte di progetto ad agenzie ed enti nazionali e internazionali.

Per concludere, ci teniamo a sottolineare la nostra continua disponibilità a condividere, in qualsiasi momento, con tutti gli stakeholder, le principali informazioni sullo stato di avanzamento del progetto; così come siamo aperti al dialogo e alla collaborazione con le comunità scientifiche e di pensiero sia italiane che internazionali. Ciò al fine di coinvolgerle attivamente nella costruzione dell’Istituto che, a queste condizioni, crediamo possa davvero contribuire a rafforzare la competitività internazionale della ricerca italiana.

(1) Entrambi i comunicati sono reperibili su http://www.iit.it/news.

(2) Per fare alcuni nomi dei componenti dei panel, basti ricordare Rita Levi Montalcini, Ruzena Baycsi (Harvard), Fabio Beltram (Scuola Normale Superiore di Pisa), Emilio Bizzi (Mit), Paolo Calabresi (Tor Vergata), Federico Capasso (Harvard), Jean Antoine Girault (Francia), Jacopo Meldolesi (San Raffaele Milano), Xie Ming (Singapore), Sandro Mussa-Valdi (Northwestern Univ. Chicago), Michael Pepper (Cambridge), Pierpaolo Puliafito (Univ.di Genova), Mario Rasetti (Politecnico di Torino). Alle procedure di selezione ha partecipato anche Roberto Cingolani quale direttore scientifico dell’Iit. La valutazione dei curriculum ha richiesto circa due mesi, e ha permesso di stilare una short list di 23 scienziati selezionati per i colloqui. Tutti i 23 scienziati short listed sono stati intervistati individualmente a Roma dai panel, fra luglio e settembre 2005 in sessioni dedicate, durante le quali sono stati presentati programmi scientifici e discusse tutte le richieste e le proposte tecnico logistiche per l’attivazione delle piattaforme scientifiche. L’esito dei colloqui è stata l’individuazione di otto ricercatori che i panel hanno unanimemente riconosciuto meritevoli della posizione di direttore di ricerca, in settori affini e complementari alle linee del programma Iit.

(3) Sono stati inoltre elaborati in dettaglio i programmi scientifici di tutte le Unità di ricerca, con definizione di milestones e deliverables per cinque anni, breakdown dei costi, team di lavoro e strategia di networking che saranno disponibili in rete appena possibile.

(4) Nei mesi fra ottobre 2005 e aprile 2006 si è provveduto a risolvere con l’aiuto della Regione Liguria tutte le questioni burocratiche e tecniche relative all’affidamento dell’edificio a Iit, nonché tutte le questioni strutturali, logistiche, di ripristino e di layout dell’edificio. I lavori sono iniziati ai primi di maggio 2006 e una prima parte dell’edificio sarà consegnata a Iit il 30 giugno per ospitare la prima unità di ricercatori (circa 40 postazioni), mentre la parte dell’edificio che consentirà l’impianto dei primi laboratori sarà consegnata entro fine settembre 2006.

(5) Allo stato attuale sono pronti e già in fase di acquisto/indagine di mercato una dozzina di grandi laboratori: camere pulite, micro e nanofabbricazione, chimica colloidale, analisi chimica, officine meccaniche a controllo numerico, officine elettroniche, microscopia elettronica, spettroscopia e ottica, varie unità di robotica, super computer e server. Altri laboratori sono attualmente in fase di disegno da parte dei direttori di ricerca.

I pericoli dell’one-man-department

La valutazione delle ricerca scientifica italiana effettuata dal comitato nazionale Civr costituisce probabilmente la maggior innovazione istituzionale recente della nostra università. Come hanno sostenuto alcuni commentatori su questo sito, si è trattato di un primo importante passo nella giusta direzione, stante la necessità di promuovere la cultura della valutazione e della accountability, largamente assente nell’università italiana in tutte le sue componenti. Quindi è bene che si discuta della metodologia e dei risultati del Civr, esaminando con cura gli indicatori che produce, utilizzandoli in maniera appropriata e intervenendo sui loro eventuali difetti.

Cosa ci dicono i risultati

Alla luce della valutazione dell’Area 13 (Scienze economiche e statistiche), ritengo che l’informazione corretta che il Civr offre sia, né più né meno, la distribuzione spaziale della qualità degli studiosi, misurata secondo gli standard disciplinari relativi alle pubblicazioni scientifiche. Si tratta naturalmente di una informazione importante, ma che non va fraintesa e quindi male applicata. Il fraintendimento più serio si avrebbe se questa informazione venisse fatta coincidere sic et simpliciter con la qualità delle rispettive istituzioni (dipartimenti). Per due ragioni.
La prima è che il sistema italiano impedisce ai dipartimenti di attuare una politica attiva del personale anche solo lontanamente paragonabile a quella anglosassone (come scoprirono, con sconcerto, i peer reviewer del mio dipartimento durante la loro visita). In pratica, tranne rari casi, la composizione di un dipartimento italiano è in buona misura frutto di fattori extra-scientifici (dalle scelte domiciliari dei docenti, ai fabbisogni didattici delle facoltà, ai loro equilibri disciplinari) sui quali il dipartimento stesso ha scarso controllo.
La seconda ragione, più generale, è che la qualità di un dipartimento non è fatta solo dalle punte di eccellenza nelle pubblicazioni (se ne ha), ma anche da una pluralità di altri fattori, tra cui la media e la varianza delle prestazioni dei suoi studiosi, la capacità di esprimere un profilo scientifico ben definito e riconosciuto in uno o più settori o specialità, la continuità della produzione scientifica, la capacità di formazione, il sistema di relazioni scientifiche nazionali e internazionali di cui fa parte, la capacità di autofinanziamento. Nei sistemi anglosassoni, sono questi i fattori che formano la reputazione e capacità di attrazione del dipartimento di studiosi di alto livello, che sfociano in un ranking elevato delle pubblicazioni. Invece, pur lasciando da parte il bizzarro raggruppamento delle “piccole strutture”, si ha il fondato dubbio che il metodo Civr non sia immune dall’effetto “one-man-orchestra“. Si tratta notoriamente del fatto che un dipartimento può “ospitare” uno o due studiosi di livello internazionale, avere un rating molto alto dalle loro pubblicazioni, ma presentare pochi risultati apprezzabili su tutte le altre caratteristiche che ho ricordato sopra. Basta confrontare la varianza dei rating dei prodotti. È auspicabile che il Civr voglia correggere i segnali distorsivi che provengono dalle “one-man-orchestra”. E, comunque, attenzione a non confondere causa (qualità del dipartimento) ed effetto (qualità delle pubblicazioni).

Eterogeneità e pluralismo

Sul fronte dei criteri di valutazione dei prodotti, mi soffermo solo su due delle questioni più controverse: eterogeneità e pluralismo. Ne dà conto il voluminoso e controverso rapporto del panel di Area 13.
Per qualche ragione ignota, l’Area 13 è un coacervo di discipline (economia politica, economia aziendale, statistica, storia economica), una Babele non solo riguardo al crisma di “scientificità” di scuole, temi e metodi, ma anche della tipologia (paper vs. libro) o della lingua (inglese vs. altri idiomi) del prodotto scientifico per eccellenza. La relazione del panel dell’Area mette in evidenza questo problema e la difficoltà d’individuare criteri valutativi comparabili tra le diverse anime. Condivido il principio di non creare piccoli gruppi autoreferenziali ma forse nella costituzione dell’Area 13 si è ecceduto in senso opposto.
Per quanto riguarda il pluralismo della ricerca, non voglio scomodare i ben noti maestri del pensiero scientifico per ricordare che la delimitazione del perimetro della “scienza” è un’operazione con una importante componente convenzionale e contingente, e che il progresso scientifico è dato non solo dalla ricerca “normale” entro il perimetro dato qui e ora, ma anche (soprattutto?) dalle rotture ed esplorazioni al di là di esso. Ora, un problema chiave della politica (ed economia) della ricerca è: ci sono gli incentivi giusti per investimenti nelle ricerche extraperimetrali? Che probabilità di riconoscimento hanno un ricercatore o un dipartimento che investono in un’area di ricerca che non ha (ancora) una posizione consolidata nel perimetro tracciato e presidiato dalla comunità dei top journal? Perché i top journal economici hanno indicatori d’impatto e readership molto inferiori non solo rispetto alle scienze naturali, ma anche ad altre scienze umane e sociali? Quali sono le metodologie di valutazione più appropriate per evitare sia la ciarlataneria sia il conformismo autoreferenziale e improduttivo?
Concludo ribadendo che la valutazione della ricerca del Civr è una operazione importante e meritoria, che va salvaguardata da tentazioni qualunquiste o di delegittimazione. Tuttavia, a tale fine, il dato Civr va inserito in un sistema di indicatori che devono intercettare le diverse dimensioni della qualità di un dipartimento e la loro evoluzione nel tempo. Da questo punto di vista, ritengo che il sistema di valutazione più appropriato rimanga la peer review. Aggiungo che il sistema degli indicatori dovrebbe essere accompagnato da una costante attività di informazione, dialogo e verifica tra ciascun dipartimento e gli organi di governo degli atenei, gli unici veri attori chiave per arrivare anche in Italia a una distribuzione virtuosa delle risorse per la ricerca.

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