L’Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca prima ancora di nascere, è già un giocattolo in mano al potere. Le si demanda un compito nella sostanza impossibile: valutare i singoli ricercatori. Ne ha anche un altro, improprio ma preciso: coprire, tramite l’effetto annuncio l’ennesima infornata di dipendenti pubblici. Perché l’Anvur di oggi è molto diversa dall’idea originaria. E il cambiamento di missione si accompagna al piano di assumere 10mila docenti di terza fascia in tre anni, di cui 4mila subito.
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Nel dibattito sulla competitività delle imprese italiane il ruolo dell’innovazione organizzativa è spesso trascurato o considerato solo marginalmente. Una indagine di Assolombarda mostra che l’innovazione organizzativa è più presente nelle imprese che competono sui mercati internazionali, che operano in rete e che investono molto in tecnologie e capitale umano. Le proposte per colmare il vuoto istituzionale in questo campo, a partire dalla stipula di un vero e proprio “patto per la riorganizzazione nei luoghi di lavoro”.
Una legge della Regione Friuli Venezia Giulia rivela un approccio quasi rivoluzionario. Forse per la prima volta, lo Stato non dice all’azienda come deve innovare, ma predispone un menu di strumenti tra cui l’impresa può scegliere per innovare. E per accertarsi che le risorse pubbliche non siano usate per fini diversi da quelli per cui sono concesse, è previsto un monitoraggio prima, durante e dopo il progetto. Non con per burocratizzare, ma al fine di correggere in corso d’opera il progetto iniziale in vista dell’obiettivo di aumentare la qualità e la competitività.
Nel terzo trimestre 2006 l’economia italiana è cresciuta dell’1,7 per cento rispetto allo stesso periodo del 2005. Più della Francia che, dal 1995 a oggi, ha sempre registrato risultati migliori dei nostri. Tuttavia, i dati tendenziali per Germania, Regno Unito e Stati Uniti superano quelli italiani per più di un punto percentuale. La scarsa crescita di più lungo periodo non è un problema europeo, ma sostanzialmente di Italia e Germania. Che hanno ancora molto lavoro da fare per risolverlo. Dopodichè forse scopriremo che l’Europa è capace di crescere quasi come gli Stati Uniti.
Una Finanziaria non si limita a ridistribuire un reddito dato. Influenza la convenienza a produrne di nuovo, modificando gli incentivi a investire e a creare posti di lavoro: gli effetti davvero importanti per la crescita, il problema numero uno dell’Italia di oggi e di domani. La legge per il 2007 non incide sui nodi che un imprenditore affronta quotidianamente: costo dell’energia, risorse umane e difficoltà di sbocco sul mercato interno. Non c’è neanche la riduzione delle tasse sulle società. Eppure sono proprio le ragioni per cui nel nostro paese non si fa innovazione
Prima del riordino delle leggi di incentivazione sarebbe utile chiedersi quanto siano efficaci quelle esistenti. Uno studio sugli effetti della legge 488 del 1992 e l’indagine Banca d’Italia sugli investimenti delle imprese industriali mostrano che il beneficio di stimolo agli investimenti, pur maggiore per le aziende meridionali, è modesto in rapporto alle risorse impiegate. Per le imprese del Sud gli investimenti addizionali non raggiungono il 30 per cento dei fondi distribuiti e sono circa il 10 per cento per quelle del Centro-Nord.
Il Ddl presentato dal ministro per lo Sviluppo economico riporta la capacità di competere dell’industria al centro dell’attenzione della politica economica italiana, riconosce la natura strutturale delle difficoltà dell’economia e predispone gli strumenti di supporto perché le imprese la affrontino. Ma, nella stesura attuale, coinvolge troppi soggetti ed elenca troppi obiettivi. Inoltre, privilegia gli incentivi, che hanno poca presa sulle piccole aziende, rispetto alla riduzione delle tasse sulle società.
Ha senso lamentarsi della inefficienza delle reti private in Italia? Intanto, solo due sono davvero private: telecomunicazioni e autostrade. La prima non è scadente, mentre per la seconda va ricordato che la privatizzazione è avvenuta in assenza di un’autorità di regolazione. Nelle Tlc il confine tra infrastruttura e servizio è labile: separare la rete dal servizio implica il rischio di bloccare future innovazioni. A tutto danno dei consumatori. Né una eventuale proprietà pubblica della rete dà molte garanzie sul piano degli investimenti.
L’Italia non può permettersi freni alla crescita e all’innovazione. Una considerazione che vale tanto più per le telecomunicazioni e in particolare per lo sviluppo di Internet. E che dovrebbe concretizzarsi in specifiche prese di posizione per una sempre più decisa salvaguardia della libertà della rete. Che passa attraverso la sua neutralità. Senza di questa, un provider di banda larga potrebbe decidere di imporre alcuni servizi e discriminarne o rallentarne altri. E la non neutralità avrebbe riflessi anche sull’evoluzione della convergenza multimediale.
L’intenzione di diminuire i costi della brevettazione è certamente lodevole. Ma l’abolizione delle tasse di deposito e mantenimento non è la strada da intraprendere. Il provvedimento non incentiverà l’innovazione delle Pmi. Anzi rafforzerà la posizione delle grandi imprese straniere. Si dovrebbe invece puntare alla armonizzazione delle norme internazionali e impegnarsi per una rapida realizzazione del tanto atteso “brevetto comunitario”. Il precedente Governo non ha brillato per la sua iniziativa in questo campo. Speriamo che il nuovo sappia fare di meglio.