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Categoria: Stato e istituzioni Pagina 59 di 88

Un buon governo (locale) per i fondi strutturali *

L’efficacia dei fondi strutturali, il principale strumento della politica di coesione della UE, dipende da due fattori: decentramento e qualità dei governi locali. E i due fattori sembrano influenzare anche la capacità di spendere quelle risorse. I ritardi italiani.

Un’economia a 5 stelle *

Con quale programma economico il Movimento 5 Stelle affronterà le elezioni politiche? Possiamo farcene un’idea analizzando quello presentato per il voto in Sicilia. Accanto al modello del chilometro zero, non mancano le sorprese. Soprattuto nel linguaggio.

Comuni: sopprimere i piccoli?

Meno province con territori più ampi e popolazione maggiore comportano un risparmio di circa 700 milioni. Ma se lo stesso criterio si applicasse ai comuni, si risparmierebbero quasi 3 miliardi. Perché allora un trattamento così diverso tra province e comuni?

Conti pubblici, fisco e federalismo

L’obiettivo prioritario è stato il riequilibrio dei conti pubblici. Ottenuto soprattutto attraverso l’aumento della pressione tributaria. Alcune misure risentono dell’urgenza con cui sono state disegnate e andranno riviste. Molto resta da fare: dalla riforma fiscale al riordino dell’intero sistema di finanza locale. 

La riunificazione del paese

Nel valutare l’azione del Governo Monti si può usare un criterio assoluto oppure uno in cui si compensa la valutazione per i tempi imposti alle decisioni. E gli esiti sono diversi. Tre risultati e un vantaggio prezioso che non è stato sfruttato.

Peggio del porcellum

Sembra raggiunto l’accordo di massima per la nuova legge elettorale. La proposta mira a un ritorno al proporzionale, alzando però la soglia di sbarramento, reintroduce le preferenze e prevede il rispetto di quote di rappresentanza di genere. L’impressione è che sia stata congegnata per impedire che dalle urne esca una chiara maggioranza e per giustificare la successiva formazione di un Governo di larghe intese. Eppure sarebbero bastati piccoli correttivi alla legge attuale per migliorare la qualità del personale politico. Garantendo però al paese la governabilità.

Un ballottaggio istantaneo per uscire dallo stagno

La nuova legge elettorale dovrebbe eliminare le liste bloccate e favorire un riavvicinamento tra eletti ed elettori; semplificare il quadro politico senza comprimere la rappresentanza ma consentendo processi riaggregativi di sensibilità politiche tra loro compatibili; mantenere una competizione di tipo bipolare. Tutto ciò si può ottenere adattando al nostro paese il sistema del voto alternativo. Garantirebbe maggiore qualità nel processo di selezione delle candidature. E porterebbe all’abbandono del premio di maggioranza, sconosciuto in tutte le grandi democrazie

Una camera delle regioni per la riforma del Titolo V

Gli aspetti negativi del Titolo V derivano più che altro dal fatto che non è mai stato attuato con le necessarie leggi ordinarie. Riformarlo nel breve tempo che resta alla legislatura è possibile solo se c’è un largo consenso politico. Il principio ispiratore del disegno di legge costituzionale sembra quello di potenziare il centro, approfittando degli scandali verificatisi in varie Regioni. La sua approvazione dovrebbe essere accompagnata dalla creazione di una Camera delle Regioni, per tenere conto delle ragioni della differenziazione, oltre che di quelle della unitarietà.

Il decentramento? Funziona se c’è anche capitale sociale

L’evidenza empirica sulle esperienze dei paesi Ocse mostra che le politiche di decentramento non sono associate ad alcun miglioramento significativo della crescita economica. E in Italia il processo di convergenza del Mezzogiorno verso i valori medi del nostro Pil pro-capite si interrompe negli anni Settanta, in coincidenza con la nascita dei governi regionali. Perché quando cresce il ruolo delle istituzioni locali nella fornitura di beni pubblici essenziali, sono le differenze di capitale sociale a entrare in gioco nel determinare i risultati economici dei singoli territori.

Tutta colpa del Titolo V?

Sull’onda dell’indignazione popolare per gli episodi di malaffare che hanno coinvolto i politici di alcune Regioni, il Governo ha presentato un progetto di riforma costituzionale del Titolo V. Ma quelle norme non sono la radice di tutti i mali e una loro revisione non sarà la panacea. Soprattutto, non risolverà il vero problema dell’Italia: la scarsa qualità della classe politica, a tutti i livelli. E della supposta esplosione della spesa locale non c’è traccia. Eppure il Titolo V va riformato, per rimediare alla moltiplicazione dei legislatori negli stessi ambiti pubblici.

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