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Categoria: Stato e istituzioni Pagina 59 di 86

CHI C’È DIETRO A BEPPE GRILLO

Il presidente Napolitano ha scelto di sminuire il successo elettorale dei grillini, ricordando nostalgicamente che il vero boom ebbe luogo negli anni 60. Per molti commentatori politici, si è trattato di un (inutile) voto di protesta da paragonare all’astensione. Il voto degli scontenti. Forse è perché oggi sono in molti in Italia ad essere scontenti, ma gli elettori dei grillini non possono essere descritti come persone che vivono ai margini della società. Anzi. Si tratta per la maggior parte di uomini tra i 35 e i 45 anni, con un elevato titolo di studio, che risiedono nelle grandi città. Gli elettori del Movimento 5 Stelle non sono dunque solo indignados, giovanissimi che, come in Spagna, vedono il loro futuro ipotecato dalla crisi economica, né donne in cerca di maggiori spazi in una società ancora troppo maschilista. Sono piuttosto i rappresentanti di una delle fasce d’età tipicamente più dinamiche della società e del mercato del lavoro, che dovrebbe essere in prima fila per contribuire alla rinascita ed alla crescita del paese. E che invece in Italia si ritrova senza presente, con un lavoro incerto, in un paese ingessato dai corporativismi, e dalla gerontocrazia, che ha smarrito da troppi anni la via della crescita economica. Se si tratta di un voto di protesta è una protesta che viene dal cuore della società, e che deve far riflettere sul futuro del paese. Gli anni 60 sono lontani. Le elezioni amministrative hanno mostrato che oggi c’è bisogno di un profondo rinnovamento della classe politica. Ciò è possibile. Alcuni esempi: nuove regole elettorali, come il doppio turno di collegio, che consentano ai cittadini di eleggere veramente i propri rappresentanti anche nelle elezioni politiche, garantendo però nel contempo la governabilità, così come appunto succede con i comuni. Drastica riduzione dei deputati e senatori, affinché il rapporto numerico tra rappresentanti e cittadini sia in linea con quello degli altri paesi europei. Modifica della legge sui finanziamenti ai partiti, che vanno immediatamente ridotti, con sistemi di rimborso che non premino solo coloro che in quel momento sono al potere.

SE COMUNE VIRTUOSO FA RIMA CON MAFIOSO

Individuare una definizione condivisa di virtuosità è oggettivamente difficile. Si dovrebbe poi cercare di andare al di là del mero ambito finanziario e contabile, anche per evitare di inserire nella lista dei “buoni” comuni commissariati per infiltrazioni mafiose, come invece è accaduto. Una possibile alternativa è quella di privilegiare non tanto gli enti, quanto le spese e le politiche virtuose. In un’ottica pluriennale, i premi destinati agli enti locali in regola con i parametri potrebbero confluire in un fondo per l’attuazione di programmi ritenuti prioritari.

COME FUNZIONA IL “RIMBORSO” ELETTORALE

Nell’arco di una legislatura lo Stato elargisce ai partiti più di un miliardo a titolo di rimborso di spese elettorali . Come si arriva a questa cifra? Dopo l’abolizione per via referendaria del finanziamento ai partiti, varie leggi hanno continuato a gonfiare questo importo, fino a perdere ogni legame con la logica del rimborso. Per tornare allo spirito originario, non bastano le recenti riduzioni, ma occorre un nuovo meccanismo.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Grazie ai lettori per gli utili commenti che mi permettono anche di meglio specificare la mia proposta.
Prima, però, alcune considerazioni  generali e la manifestazione di risoluto dissenso  su alcuni dei temi sollevati.
Come segnalavo nel mio articolo,  le tentazioni forcaiole soddisferanno forse qualche desiderio di sangue, ma non risolvono nessun problema, anzi ne creano di più.
Giusta una riduzione dei finanziamenti e una puntuale commisurazione a ciò che realmente si è speso, ma pensare di abolire il finanziamento pubblico in queste condizioni significa di fatto regalare i partiti ad occulti condizionamenti della finanza privata ,  peggiori di quelli che già ci sono.
E’ importante, naturalmente, una  disciplina che definisca tetti massimi  e presidi di assoluta trasparenza dei contributi privati, ma pensare che questi  possano essere del tutto sostitutivi delle risorse pubbliche è pura ipocrisia (ed infatti in tutti i paesi europei questo assunto non viene messo in discussione).
Così come è pura ipocrisia pensare che  se si riducono i finanziamenti non siano più necessari i controlli. Ribadisco che gli ultimi scandali derivano dal fatto che nessuno si è preso la briga di verificare come i soldi erano spesi, dimostrando che un buon apparato di controllo  non fa certo miracoli, ma può servire.
Continuo ad avere  perplessità sulla attribuzione di un ruolo in tal senso alla Corte dei conti, poichè siamo in presenza non di soggetti pubblici, ma pur sempre di associazioni private.
Per questo l’affidamento delle risorse ad un gestore esterno può rappresentare una soluzione più equilibrata. E’ chiaro poi che non spetta al gestore decidere sulle spese, dovendo agire  in base alle richieste del partito ,ma sicuramente quelle spese avranno chiara tracciabilità con una evidente distanza tra la fase decisoria e quella di erogazione.
Questa soluzione introduce alcuni elementi di rigidità e non rappresenta certo la panacea per tutti i mali, ma quantomeno rende più spessa la barriera tra la politica e la finanza.
Concordo pienamente  con chi richiama la necessità di collegare il finanziamento pubblico ad una maggiore democraticità dei partiti, ma qui non ho niente da aggiungere perché i tanti progetti di legge presentati in Parlamento contengono già molte proposte. Si tratta adesso soltanto di attuarle.
Infine utilissime tutte le indicazioni per accentrare e semplificare tutte le forniture di beni e servizi ai partiti;  oltre che per controllare  servirebbero anche per risparmiare.

UNA PROPOSTA INDECENTE

La proposta ABC (Alfano-Bersani-Casini) per un nuovo sistema di finanziamento della politica si limita ad aggiungere qualche regola di trasparenza. Non basta. Anzitutto bisogna capire qual è il livello adeguato di risorse necessarie, se è vero che i partiti hanno speso negli ultimi 15 anni  circa un quarto dei finanziamenti ricevuti. Trattandosi di rimborso spese, tali spese vanno documentate e i fondi vanno ripartiti in base ai voti ricevuti dalle liste. Se non bastano, dovranno provvedere iscritti e simpatizzanti stabilendo però un tetto alle singole donazioni.

I SOLDI E I PARTITI: SEPARARE LA FINANZA DALLA POLITICA

Sull’onda degli ultimi scandali, si torna a parlare di riforma del finanziamento pubblico ai partiti. Tutte le proposte finora presentate in Parlamento cercano di ridurre i flussi di finanziamento e di commisurarli a quello che realmente si è speso. Ma forse sarebbe meglio recidere il legame tra partito e finanza, affidando a un soggetto terzo la gestione dei fondi. Comporterebbe una riduzione dell’autonomia dei partiti, ma renderebbe più indipendente e oggettiva la funzione di gestione finanziaria, introducendo un filtro più chiaro con la funzione di indirizzo politico.

UN FINANZIAMENTO DA RIPENSARE

Gli scandali legati al finanziamenti dei partiti non ci sono solo in Italia. E d’altra parte anche un finanziamento solo privato comporta dei rischi, primo fra tutti la “cattura” del legislatore da parte di lobby potenti e danarose. E allora la soluzione migliore è pensare a un sistema fondato su un’Autorità indipendente dal mandato ampio, con meccanismi di controllo più rigidi di quelli attuali, che preveda il rimborso sul numero di voti effettivamente ottenuto da ciascun partito e incentivi le piccole donazioni private.

L’ABC DELLA RIFORMA ELETTORALE

I partiti che sostengono il governo Monti sembrano aver trovato l’accordo su una riforma della legge elettorale. Prevede sostanzialmente il ritorno al proporzionale e cancella l’obbligo di formare coalizioni pre-elettorali. Il rischio è rendere ancora più frammentato il quadro politico, portando all’ingovernabilità del sistema e alla moltiplicazione dei poteri di veto. Per evitarlo, servono soglie di sbarramento effettive. E va mantenuta una leva maggioritaria che spinga comunque all’aggregazione delle forze politiche. Come migliorare la qualità del personale politico.

La risposta ai commenti

Desideriamo ringraziare i lettori per l’interesse dimostrato nell’articolo e per i commenti inviati. Abbiamo cercato di riassumere i molti commenti in tre categorie. Tuttavia rimandiamo il lettore interessato al lavoro originale, che include una molteplicità di controlli di robustezza dei principali risultati dell’analisi che, per ovvi motivi di spazio, non hanno potuto essere discussi nel nostro intervento su LaVoce.info.

1) Grafico illustrante la correlazione negativa tra adozione di pc pro capite e grado di rigidità del mercato del lavoro. Innanzitutto ci preme sottolineare come il grafico riporti una correlazione e non necessariamente un rapporto di causa-effetto. In particolare, ci sembra utile notare due punti. A) L’evidenza che riportiamo costituisce una delle motivazioni/premesse del nostro lavoro, che trae spunto da una letteratura già abbastanza matura che riporta l’esistenza di robuste correlazioni negative tra rigidità del mercato del lavoro e tasso di adozione di nuove tecnologie, come ad esempio la spesa in ICT. Nel nostro working paper citiamo alcuni di questi lavori, e ad essi rimandiamo i lettori interessati. Lo scopo del nostro lavoro, lo ricordiamo, è quello di verificare se il grado di rigidità del mercato del lavoro influenzi la crescita nei settori ad alta intensità di capitale umano.  B) La correlazione tra adozione di pc ed epl è statisticamente robusta, ed è stata ottenuta da una regressione nella quale abbiamo tenuto conto del diverso grado di sviluppo economico dei paesi (pil pro capite), del capitale umano medio della popolazione (anni medi di istruzione) e di ogni possibile variabile non osservata costante nel tempo (es: istituzioni, cultura imprenditoriale del paese, composizione settoriale, etc.) che influenza sia il tasso di adozione dei computer che il grado di rigidità del mercato del lavoro.

2) Specializzazione produttiva in settori maturi e altre determinanti della crescita: riteniamo che occorra favorire la specializzazione del paese verso settori più dinamici, tenuto conto del fatto che i settori maturi e tradizionali non garantiscono una crescita adeguata della produttività e sono anche maggiormente esposti alla concorrenza dei paesi in via di sviluppo: per fare questo occorre, tra le altre cose, favorire la mobilità dei lavoratori, fornendo loro, nello stesso tempo, una rete adeguata di protezione, sia in termini di sostegno temporaneo del reddito  che di formazione continua. Infine siamo d’accordo con chi ha sostenuto che al fine di accrescere lo sviluppo dei settori più dinamici sia imprescindibile accrescere il livello medio di istruzione della popolazione: infatti, nel nostro working paper, in linea con risultati già consolidati in letteratura, teniamo conto adeguatamente di questo effetto ma mostriamo anche come possa essere altrettanto importante accrescere la mobilità del lavoro di cui abbiamo parlato sopra.  Abbiamo inoltre controllato per tutta una serie di variabili a livello di paese che potrebbero spiegare l’espansione dei settori ad alta intensità di capitale umano, tra cui gli investimenti in capitale fisico, gli investimenti in ricerca e sviluppo, il capitale umano medio della forza lavoro e la sua crescita nel periodo, la forza sindacale, il reddito pro capite, lo sviluppo finanziario (fondamentale per favorire il finanziamento dei settori più innovativi), la qualità del sistema giudiziario.

3) Forme contrattuali precarie e regimi di protezione dell’impiego: il fatto che in Italia, ancora più che in altri paesi, la maggior parte delle nuove assunzioni siano a tempo determinato, co.co.co., etc., e caratterizzate da bassi salari, potrebbe essere un effetto collaterale di una eccessiva regolamentazione di una parte del mercato del lavoro, che è quella catturata dal nostro indice di protezione dell’occupazione. Nel working paper (a cui rinviamo per una discussione più dettagliata) discutiamo la robustezza dei nostri risultati alla luce di queste considerazioni utilizzando diversi indici proposti in letteratura, sia OCSE che non-OCSE, con l’obiettivo di  tener conto della presenza di lavoratori precari e della regolamentazione dei licenziamenti collettivi. In particolare, l’indice riportato in figura è derivato dall’indice OCSE ed è stato utilizzato in precedenti analisi empiriche a cui rimandiamo per approfondimenti. Vogliamo sottolineare come nessuno dei risultati principali dipenda dal particolare indice di regolamentazione del mercato del lavoro utilizzato.

CRESCERE IMPARANDO: UNA ROAD MAP PER LA CULTURA

Investire nella cultura, con strategie di lungo periodo, serve alla crescita. Non a caso ci aveva già pensato Franklin Delano Roosevelt ai tempi della grande depressione. Dopo la dissennata politica dei tagli orizzontali, con scarse risorse pubbliche a disposizione, si dovrà definire una governance indipendente, capace di garantire una buona selezione dei progetti, evitando di cadere nelle pressioni degli interessi corporativi, e capace di fare rete con tutti gli attori del settore. Compresi i privati, come le fondazioni bancarie, e i produttori di saperi, come le università.

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