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VOTO DI PROTESTA E LEGGENDE METROPOLITANE

Circolano molte voci, soprattutto sul web, sull’espressione del voto di protesta e sulle sue conseguenze nella ripartizione dei seggi. Facciamo chiarezza. Il voto nullo, il “voto in bianco”, la mancata consegna della scheda o il suo mancato ritiro, nonché l’astensione hanno esattamente lo stesso peso nella determinazione dei seggi spettanti a ciascuna lista: nessuno. E nessun presidente o segretario di seggio potrà mai verbalizzare una espressione di voto, qualunque essa sia.

 

 

FEDERALISMO FISCALE

Di federalismo fiscale nei programmi dei partiti per le elezioni del 2008 si parla relativamente poco, eccetto come ovvio in quello della Lega Nord, in cui non si parla di altro. Non si tratta certo del tema centrale di questa campagna elettorale, nonostante una riforma costituzionale rimasta a metà. Ma nella vaghezza degli slogan, alcuni spunti interessanti emergono. C’è solo da chiedersi se c’è davvero consapevolezza nei partiti principali di quello che si scrive e della applicabilità delle proposte .

PARTITI MINORI

Nei programmi dei partiti minori il federalismo fiscale o non è citato per niente – la Sinistra Arcobaleno – o se ne parla en passant assieme a molti altri temi e spesso in modo così vago da rendere difficile individuarne i contenuti concreti (La Destra, Partito socialista).

C’è però da aggiungere che questi partiti sanno che comunque non governeranno e non hanno l’esigenza di proporre un programma completo e credibile. I programmi qui servono essenzialmente per riaffermare valori e richiamare voti: sarebbe per certi versi ingeneroso pretendere completezza o anche sensatezza.

LEGA NORD

Diverso il caso della Lega Nord, che è sì un partito piccolo, ma concentrato territorialmente e già dimostratosi in passato essenziale per la vittoria della coalizione di centrodestra. Dunque, capace di esercitare un’influenza concreta. Per questo partito, il federalismo fiscale è l’elemento fondante. Di conseguenza, il programma è radicale.

Non ha dovuto firmare un programma comune con gli altri partiti della coalizione di centrodestra, quindi la Lega Nord ritorna nel 2008 al proprio disegno istituzionale “storico”. Propone di suddividere lo Stato nazionale in tre macroregioni, di attribuire totale autonomia delle Regioni sul piano tributario, di lasciare fino al 90 per cento dei gettiti dei tributi erariali nei territori che li generano, di introdurre la perequazione orizzontale tra le macroregioni e così via.

Inutile dire che gli effetti dell’attuazione di un tale programma sarebbero esplosivi, probabilmente incompatibili con il mantenimento di uno Stato unitario e sicuramente incompatibili con il suo attuale funzionamento. Difficile dire in che misura i proponenti credano davvero nel loro programma: nelle concrete esperienze di governo, la Lega Nord si è poi mostrata molto più “ragionevole”, anche sul tema identitario del federalismo. Certo che su questa base qualche difficoltà di governo ci sarà di sicuro, se la coalizione di centrodestra, forte anche al Sud, vincerà le elezioni.

POPOLO DELLA LIBERTÀ

La medesima tensione è già presente nello stesso programma del Pdl. Il federalismo fiscale è la “sesta missione” , ma si presenta in tono minore, una paginetta scarsa a fronte delle ben più corpose missioni che lo precedono.

Il programma si articola in alcuni principi, tanto condivisibili quanto generici:“attuare l’articolo 119 della Costituzione (…) trovando il giusto equilibrio tra autonomia, equità e efficienza”, garantire la “massima trasparenza ed efficienza nelle decisioni di entrata e di spesa” e così via. Si fanno anche affermazioni contraddittorie, per esempio quando si dice che la perequazione non deve essere tale “da annullare interamente le differenze di capacità fiscale” tra territori, salvo poi affermare subito dopo “fermo il principio costituzionale di giusto equilibrio tra solidarietà ed efficienza”, che di per sé non significa nulla, se non che la prima parte della frase non deve essere presa troppo sul serio.

La vera bomba nel programma del Pdl è però l’impegno, esplicitamente preso, di fare approvare dal Parlamento nazionale la proposta di legge sull’articolo 119 approvato dal consiglio regionale della Lombardia nel 2007. La cosa buffa è che non si dice minimamente di che si tratta e l’estensore del programma sembra ignorare che la proposta rende vacue tutte le proposizioni precedenti. Infatti, la proposta lombarda è tutto tranne che vaga e generica. Prevede, tanto per dire, che sia attribuito alle Regioni (con possibilità di modifiche regionali nelle aliquote e detrazioni) il 15 per cento della base imponibile Irpef, l’80 per cento del gettito Iva, tutto il gettito delle accise sulla benzina, l’imposta sui tabacchi, quella sui i giochi eccetera. A spanne, si tratta di circa 15 miliardi di euro di entrate in più per la sola Lombardia. Applicarla a tutte le Regioni, significherebbe trasferire ai territori circa il 5 per cento del Pil in un botto solo. Significherebbe anche minori risorse da destinare allo Stato e alla perequazione territoriale. Oltretutto, la proposta è silente sul lato della spesa, per cui non si capisce se questa ingente devoluzione delle risorse dovrebbe avvenire a competenze date o dovrebbe finanziare una maggiore devoluzione delle risorse (forse l’istruzione?). (1)

In ogni caso, la logica, simile a quella della proposta della Lega, è “prima le risorse e poi le funzioni”. Lasciamo i soldi ai territori e poi vediamo cosa si fa con la spesa, la stessa logica delle attuali Regioni a statuto speciale.

Una proposta radicale dunque, soprattutto per gli equilibri territoriali. C’è da chiedersi se nel Pdl c’è qualcuno che ha fatto i conti e si è chiesto che cosa la sua attuazione implicherebbe per l’equilibrio finanziario del paese e la redistribuzione territoriale delle risorse.

PARTITO DEMOCRATICO

Il programma del Pd non presenta proposte di legge così radicali e dettagliate, ma introduce qualche idea innovativa.

Intanto, prevede una “revisione delle materie del Titolo V” e l’introduzione di una “clausola di supremazia” trasversale alle materie, che tradotto, significa la possibilità per lo Stato centrale di legiferare anche sulle materie regionali, sia pur con “il consenso del Senato”, che dovrebbe diventare un “Senato delle autonomie”. Naturalmente, se la clausola si rivelerà una tagliola per l’autonomia regionale, oppure un semplice principio di coordinamento tra Stato e Regioni, dipende da come verrà implementato, cos’è e qual è il ruolo del Senato delle autonomie, quali procedure per la attivazione della clausola, eccetera. Ma su questo, il programma è silente. Sposa però una particolare interpretazione dell’articolo 119. E prevede che i “2/3 del paese siano liberati dal coinvolgimento dello Stato nel finanziamento delle loro competenze”, che tradotto significa Regioni del Centro Nord autonome e autosufficienti sul piano fiscale, attraverso vere “compartecipazioni dinamiche al gettito dei grandi tributi erariali”, “limitando l’intervento dello Stato alla perequazione dei territori con più basso reddito e (…) svantaggiati nella distribuzione delle risorse pubbliche”.

Si prevedono poi tributi propri per il finanziamento dei servizi pubblici aggiuntivi ai “servizi di base espressamente definiti dalla Costituzione” e garantiti dallo Stato. Insomma, un modello di decentramento costruito, a differenza di quello del centrodestra, sull’attuale Titolo V, ma con un’accentuazione molto forte dell’autonomia finanziaria, e potenzialmente in grado di sostenere un ampio grado di differenziazione territoriale nei servizi.

Bisognerà vedere se davvero si avrà la capacità di attuarlo, visto che su questo le opinioni all’interno del Pd sono assai differenziate.

Ci sono infine due proposte più immediate. La prima è l’estensione a tutte le Regioni del “federalismo infrastrutturale” sperimentato in Lombardia, con la cogestione Stato-Regione delle grandi opere pubbliche. Forse è una buona idea, ma sarebbe stato meglio vedere prima se l’esperimento lombardo funziona davvero. La seconda è la promessa che si elimineranno finalmente le province, laddove si introdurranno le citta metropolitane. Su questo si poteva essere ben più coraggiosi.

(1) Nell’aprile del 2007 la Lombardia ha presentato una proposta di legge, in linea con quanto previsto dell’articolo116 della Costituzione, che prevede la delega di 12 funzioni da parte dello Stato alla Regione. Si tratta tuttavia di funzioni legislative (ambiente, beni culturali, i giudici di pace eccetera) con effetti finanziari minimi e certo non in grado di giustificare da sé una tale devoluzione delle risorse.

ANDATE A VOTARE. COMUNQUE

La legge elettorale è incivile. Ma ci sono almeno tre motivi per votare comunque. Le liste bloccate danno molte informazioni sulle vere priorità dei partiti e su come interpretano il rinnovamento della classe politica: dalle quote rosa eluse al ringiovanimento spesso solo di facciata, mentre nella nuova Camera ci saranno almeno dodici deputati già condannati. Non è vero che i programmi dei due maggiori schieramenti sono uguali. L’unica cosa che hanno in comune è il fatto di essere libri dei sogni. E sulla legge elettorale, non tutti i partiti vogliono davvero cambiarla.

L’ARMATA MONTECITORIO

Qual è il profilo dei parlamentari che ci accingiamo a eleggere? Le nostre stime sui probabili eletti dicono che sarà riconfermato il 57 per cento dei deputati della scorsa legislatura. Solo uno su cinque è donna. Scende, di poco, l’età media. Il 71 per cento ha una laurea, per lo più umanistica. E solo l’Idv non ha nessun condannato, né prescritto.

SCHEDA 1 Quell’usato è sicuro?
SCHEDA 2 Anatomia dei candidati, partito per partito
SCHEDA 3 Studi, mestiere ed esperienza
SCHEDA 4 C’è del marcio in parlamento

 

QUELL’USATO E’ SICURO?

Sarà la brevità della scorsa legislatura, sarà la rigidità delle organizzazioni di partito, sarà la poca voglia di puntare su volti nuovi, ma per le elezioni 2008 i partiti sembrano accordare una netta preferenza ai candidati che hanno già alle spalle un’esperienza in Parlamento. Dalle nostre stime risulta che ben il 57 per cento dei futuri eletti della Camera era già presente in Parlamento nel corso dell’ultima legislatura.
Spiccano per lo scarso ricambio Sinistra Arcobaleno e Udc. La Sa addirittura “blinda” i posti dei ricandidati con l’83 per cento di sicuri eletti ripescati tra quanti avevano già un seggio in Parlamento nell’ultima legislatura e il 38 per cento di ripresentati tra i “primi esclusi” delle sue liste. Simile strategia per l’Udc, che posiziona il 68 per cento di parlamentari uscenti tra i candidati sicuri e circa la metà nelle posizioni in bilico tra elezione e non elezione.

 

Partiti % riconfermati dell’ultima legislatura
Eletti Primi esclusi
PDL 55% 7%
PD 53% 19%
SA 83% 38%
UDC 68% 46%
LEGA 55% 13%
IDV 43% 35%
Totale 57% 20%

Eppure i “volti nuovi” tra i sicuri eletti sono più giovani (47 anni in media, contro i 51 degli ex parlamentari), hanno una quota più elevata di donne (27 contro 19 per cento), e sono mediamente più istruiti.

Partiti Sicuri eletti
Età media % donne % laureati
Confermati Nuovi Confermati Nuovi Confermati Nuovi
PDL 52 48 17 22 71 83
PD 51 46 21 41 66 76
SA 50 44 30 40 56 67
UDC 57 46 8 0 76 60
LEGA 45 42 11 20 53 78
IDV 52 45 14 14 83 83
Totale 51 47 19 27 68 79

 

Tra i vari partiti, sarà ilPd a portare più volti nuovi in Parlamento. Infatti, benché superato dall’Idv per tasso di rinnovamento dei candidati, la dimensione del suo elettorato consentirà al Pd di eleggere un maggior numero di donne e di deputati giovani.
Decisamente le quote rosa non sono un problema che affligge l’Udc: oltre a essere tra i partiti con il minor numero di deputate della scorsa legislatura (5 per cento), dai nostri dati risulta che tra le new entry dell’Udc alla Camera, nessuno sarà donna.
Infine, il titolo di studio. Il livello di istruzione medio dei futuri deputati sarà maggiore di quello della passata legislatura: buona notizia, perché un’istruzione elevata è tipicamente correlata con un minore astensionismo e una maggiore produttività nell’attività parlamentare. Tra i partiti con i futuri eletti mediamente più istruiti, il Pdl e l’Idv. Lega e Sa saranno invece i partiti che porteranno in parlamento il minor numero di laureati.

ANATOMIA DEI CANDIDATI, PARTITO PER PARTITO

Lavoce.info si è già occupata in passato di indagare l’età e la quota di donne tra i futuri eletti (e i futuri esclusi) di Pd e Pdl alla Camera. Riportiamo ora gli stessi risultati per i sei maggiori partiti e li compariamo con informazioni sui deputati dell’ultima legislatura.
età media dei futuri eletti diminuisce, ma di poco (50 anni anziché 53). Dall’età media dei “primi esclusi” (47) e dei non eletti (45) intuiamo come i giovani candidati occupino soprattutto posizioni basse nelle liste elettorali. In altre parole, scorrendo le liste, la loro percentuale aumenta in modo inversamente proporzionale alla probabilità di essere eletti. La Lega Nord mantiene il primato dei futuri eletti più giovani – 44 anni in media – immutato rispetto all’ultima legislatura. Il maggiore sforzo di “ringiovanimento” è stato fatto dall’Idv (-10 anni in media) e dal Pd (-5 anni in media). Sarà dunque il Pd, data la dimensione del suo elettorato, a portare in Parlamento più giovani deputati. Soprattutto se i suoi voti complessivi dovessero superare quelli ricevuti da Ulivo e Rosa nel Pugno alle scorse elezioni.

Partiti Età media
Eletti Primi esclusi Non eletti Ultima legislatura
PDL 50 (-3) 44 46 53
PD 49 (-5) 48 42 54
(Ulivo)
SA 49 (-2) 48 43 51
(RC + PdCI + Verdi)
UDC 54 (0) 50 47 54
LEGA 44 (0) 47 44 44
IDV 49 (-10) 51 47 59
Totale 50 (-3) 47 45 53

Anche nella prossima legislatura, solo un deputato su cinque sarà donna. Le differenze tra partiti sono molto marcate: solo i futuri eletti di Sa e Pd avranno una percentuale di donne vicina al 30 per cento, mentre gli altri si attestano su percentuali più basse. La maglia nera va all’Udc, che avrà solo il 5 per cento di deputate, o meno, nel caso riceva più voti rispetto alla scorsa tornata elettorale (come sembrano prevedere i sondaggi).
I dati raccontano per le donne una storia simile a quella dei giovani: la loro percentuale aumenta a mano a mano si scende di posizione all’interno delle liste. In altre parole, le donne nelle liste ci sono, ma è una presenza fittizia, poiché molte di loro difficilmente potranno essere elette. Si guardi ad esempio ai candidati del Pd: la presenza di donne tra le non elette balza dal 28 al 34 per cento per le candidate “prime escluse”, e addirittura al 48 per cento sul complesso dei non eletti. Tuttavia, proprio in virtù della maggiore percentuale di donne tra le elette e alla dimensione del suo elettorato, sarà proprio il Pd a determinare l’elezione del maggior numero di deputate.

Partiti % donne
Eletti Primi esclusi Non eletti Ultima legislatura
PDL 19 (+3) 23 24 16
PD 28 (+7) 34 48 21
(Ulivo)
SA 32 (+9) 42 46 23
(RC + PdCI + Verdi)
UDC 6 (+1) 4 16 5
LEGA 14 (+4) 6 36 10
IDV 14 (+8) 23 29 6
Totale 22(+5) 25 33 17

STUDI, MESTIERE ED ESPERIENZA

Un livello più alto di istruzione è in genere associato a una maggiore produttività nell’attività parlamentare, sia in termini di provvedimenti legislativi proposti che di provvedimenti effettivamente approvati. Per questo motivo ci focalizziamo ora sui deputati della Camera con titoli di studio pari alla laurea o più elevati.
La media dei laureati della nuova Camera sarà praticamente identica a quella dell’ultima legislatura (71 contro 70 per cento). Il partito con il minor numero di laureati è la Lega Nord. Per quanto riguarda, invece, la categoria dei “primi esclusi”, le strategie di partito sembrano divergere tra centrodestra e centrosinistra. I primi esclusi del centrosinistra sono mediamente molto più istruiti degli eletti effettivi (è il caso di Sa e Pd). Nel caso di Pdl e Lega Nord, invece, la quota dei laureati tra i “primi esclusi” è inferiore a quella dei sicuri eletti.

Partiti % laureati
Eletti Primi esclusi Ultima legislatura
PDL 74 68 70
PD 70 80 68
(Ulivo)
SA 58 78 67
(RC + PdCI + Verdi)
UDC 73 90 81
LEGA 61 40 59
IDV 83 80 100
Totale 71 74 70

Circa la metà dei deputati avrà una formazione di tipo umanistico. In particolare, è rilevantissima la quota di laureati in legge (circa un deputato su tre). Purtroppo, i deputati che hanno scelto studi scientifici sono una netta minoranza. Diciamo purtroppo, poiché sembra che una laurea in materie scientifiche o in medicina sia positivamente correlata a un’elevata produttività in termini di disegni di legge presentati. I partiti sembrano “specializzarsi” per titolo di studio: Idv e Pdl hanno una netta preferenza per i laureati in legge, il Pd e la Sa per i laureati in altre scienze sociali.

Partiti Laurea Totale
Legge Scienze sociali Scientifica + medicina Altro Diploma superiore, medie, elementari
IDV 44 11 33 0 11 100
LEGA 23 19 19 0 38 100
PD 15 41 12 2 29 100
PDL 38 26 13 1 23 100
SA 10 45 7 0 38 100
UDC 26 26 30 4 15 100
Total 27 32 14 1 26 100

Ma più che per titolo di studio, i partiti tendono a specializzarsi in determinate professioni. Nella Lega, i liberi professionisti arrivano al 38 per cento, nell’Idv al 33 per cento, nel Pdl al 25 per cento. Tra i futuri eletti del Pd e della Sa spiccano docenti, insegnanti e funzionari di partito. L’Idv candida ed elegge diversi medici. Gli imprenditori sembrano preferire Lega, Idv e Pdl. I dipendenti pubblici l’Udc (13 per cento, contro una media del 9 degli altri partiti).
Ma cosa sappiamo del legame tra professione e attività parlamentare? Sembra che i più assenteisti tra i deputati delle scorse tre legislature siano stati gli avvocati e i medici (con una percentuale di assenze alle votazioni elettroniche vicina al 50 per cento). In termini di numero di provvedimenti proposti e approvati, primeggiano, invece, avvocati, funzionari di partito, giornalisti e dipendenti pubblici.

Categorie professionali Partiti Total
IDV LEGA PD PDL SA UDC
Insegnanti e docenti 17 4 19 7 16 13 11
Avvocati 25 14 7 18 4 10 13
Altri liberi professionisti 8 25 4 7 4 7 7
Imprenditori 17 18 3 15 4 0 10
Funzionari di partito 0 7 18 9 26 3 13
Giornalisti 0 4 11 13 6 7 11
Medici 33 0 5 6 6 13 6
Dirigente 0 8 10 10 10 23 10
Dipendente 0 8 14 8 8 17 10
Altro 0 14 8 9 16 7 9
Total 100 100 100 100 100 100 100

Quanto conta aver ricoperto cariche elettive a livello locale per entrare in Parlamento? A giudicare dai dati, non molto. Solo il 16 per cento dei futuri eletti della Camera risulterà avere esperienze pregresse in amministrazioni locali, come regioni, province e comuni (escludiamo da questo conto gli ex parlamentari).
La ricerca di informazioni per compilare questa variabile è stata particolarmente difficoltosa, come è intuibile dall’elevato numero di candidati per i quali non siamo riusciti a trovarne. Tuttavia, siamo sicuri che tra i “Non sappiamo” non sono compresi i parlamentati, poiché per loro abbiamo a disposizioni elenchi esaustivi. Inoltre, per i candidati eletti a livello locale, non è inusuale trovare informazioni sui siti di istituzioni locali. Siamo pertanto propensi a interpretare i valori mancanti come sinonimo di assenza di esperienza in cariche elettive. Se adottiamo tale interpretazione, possiamo dire che nella prossima legislatura, un deputato su cinque sarà sprovvisto di qualunque esperienza. Spiccano per numero di inesperti l’Idv e il Pdl.

Partito Cariche elettive ricoperte Total
Parlamento
(Camera o Senato)
Locali
(regioni, province, comuni)
Nessuna Non sappiamo
IDV 50 21 14 14 100
LEGA 66 24 3 7 100
PD 64 19 9 8 100
PDL 62 16 8 15 100
SA 83 6 4 8 100
UDC 76 15 3 6 100
Total 65 16 8 11 100

PREGO SIGNORA, PRIMA DI LEI

Il confronto tra Italia e Spagna sulle liste dei candidati alle elezioni comporta per noi l’ennesima brutta figura. Nel paese di Zapatero la percentuale uomini-donne è al 45 per cento, molto vicina alla parità. Da noi è al 35 per cento. Senza contare che le liste bloccate fanno sì che il numero delle elette sia ancora più basso. I giovani, soprattutto i trentenni, sono ben poco rappresentati in Parlamento. Coerentemente con quanto avviene in altri ambiti della società italiana.

NON E’ UN PAESE DELLA RULE OF LAW

Nei loro programmi elettorali i due principali partiti propongono una trasformazione completa dell’Italia, senza però indicare alcuna sequenza delle riforme che vorrebbero attuare. Ma le priorità esistono. Secondo il rapporto sulla libertà economica curato dall’Heritage Foundation, il nostro paese è agli ultimi posti per corruzione e tutela dei diritti di proprietà. Alla giustizia Pdl e Pd dedicano una certa attenzione e il tentativo di dare risposte alle deficienze del nostro sistema giudiziario dovrebbe trovare ampio sostegno in quasi tutta la società.

DONNE E GIOVANI IN PARLAMENTO?*

I due partiti principali si presentano come paladini dell’esigenza di un rinnovamento della rappresentanza politica. Cerchiamo allora di misurare il ricambio probabile nel prossimo Parlamento sulla base di due indicatori, l’età e il sesso. Notizie moderatamente buone per le donne, ma sarebbero ancora migliori se il Pd vincesse le elezioni. Per i giovani più facciata che sostanza. Scendono gli “over sixty” e raddoppiano gli “under forty”. Tuttavia l’età media degli eletti di Pd e Pdl resta ancora nettamente superiore a quella dell’elettore mediano.

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