Come da rituale, i capi di Governo riuniti a Bruxelles scoprono che lEuropa è ancora ben lontana dal diventare il continente più competitivo del pianeta. Perché le scelte politiche dei singoli paesi sono spesso in contrasto con gli obiettivi fissati nel 2000. Non tutti per esempio vogliono un aumento del tasso di occupazione perché implica tagliare i privilegi di alcuni. Così come è un errore limitare larrivo di lavoratori dai nuovi paesi membri. Se lobiettivo è aumentare le ore lavorate, meglio aprire i flussi invece di chiedere agli italiani di ridurre le ferie.
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DAmato lascia una associazione in crisi di identità. Dallapertura a nuovi comparti sono nate forti contraddizioni e limpossibilità di conciliare interessi troppo diversi, come quelli delle imprese di Stato e di quelle esposte alla concorrenza. Né maggior fortuna ha avuto il tentativo di rilanciare Confindustria come soggetto politico. Per continuare a vivere, lorganizzazione dovrà valorizzare interessi generali degli imprenditori e la loro immagine nel paese, offrendo rappresentanza alle aspirazioni delle piccole imprese a diventare più grandi. Banchi di prova le politiche dellimmigrazione, il decentramento della contrattazione e i conflitti di interesse nel governo delle imprese.
Dopo la gestione DAmato, con il suo magro bilancio, sarà facile per la nuova presidenza riportare Confindustria su posizioni di maggiore indipendenza dal Governo. Sarà più difficile ricostruire le ragioni che giustificano lesistenza stessa dellorganizzazione. Abbandonata loriginaria vocazione industrialista, ha ampliato tropo i suoi confini, fino a rendere inefficace la sua azione. Gli interessi imprenditoriali finiranno perciò con il riorganizzarsi al di fuori del suo ambito. A meno che Montezemolo non riesca a ridarle lo smalto perduto
Sotto la presidenza DAmato, la Confindustria ha seguito una politica volta a ridimensionare spazio e ruolo delle relazioni sindacali e a derubricare il metodo della concertazione, ritenuto troppo macchinoso nel nuovo contesto competitivo. Questa strategia, in parte rivista nellultima fase, ha però prodotto un forte inasprimento della conflittualità e risultati incerti. Emblematica la vicenda dellarticolo 18. Per il nuovo gruppo dirigente si pone quindi un problema di generale ridefinizione della strategia di relazioni industriali.
La questione organizzativa è il primo problema per il nuovo presidente di Confindustria. Significa affrontare questioni di democrazia interna di lungo e breve periodo. Dal rapporto tra grande e piccola industria a quello tra associazioni territoriali e categoriali, al federalismo associativo. Ma anche risolvere il dilemma se essere unazienda che offre servizi o una associazione di rappresentanza. Se non lo farà, riaffioreranno le divisioni che per il momento è riuscito a ricucire.
La Finanziaria prevede una serie di misure destinate a sviluppare il mercato di Borsa anche per le società di piccola e media capitalizzazione. Continua a mancare, però, un progetto complessivo dedicato alle Pmi non quotate, che sono poi quelle specializzate nella produzione del made in Italy. Unattenzione che invece ritroviamo nella proposta di legge dei Ds. Ma se è condivisibile la scelta di puntare ancora sugli incentivi fiscali, più dubbi suscita il meccanismo di reperimento delle risorse necessarie.
Cresce lattenzione alla qualità e completezza dellinformazione statistica. E lIstat, pur con scarso personale e mezzi, riesce a sostenere il confronto almeno con gli istituti europei. Ma per ottenere una più ampia e rapida base di produzione e diffusione di statistiche ufficiali è necessario coinvolgere maggiormente il mondo accademico e della ricerca pubblica e privata. È quindi opportuno varare un piano di sviluppo che definisca la cornice normativa e finanziaria in cui dovranno operare i diversi soggetti.
I crimini commessi da organizzazioni richiedono il coinvolgimento di più persone. È un elemento di debolezza che può essere sfruttato per perseguire i comportamenti illeciti. Come insegna lesperienza delle autorità antitrust, gli sconti nelle sanzioni o i premi per chi denuncia lattività illegale non devono sostituirsi alle indagini. Si rivelano infatti incentivi più efficaci se linchiesta è già avviata. Ed è cruciale sviluppare la capacità di verifica sulle rivelazioni. Indispensabile, poi, una cultura della legalità, per affiancare alla sanzione della legge quella sociale. Riproponiamo per i lettori de lavoce anche gli interventi di Vincenzo Ferrante, Vincenzo Perrone e Luigi Zingales sull’opportunità di premiare chi denuncia illeciti.
I problemi posti dallintreccio tra istituti di credito e imprese riguardano essenzialmente la possibilità di un eccessivo trasferimento del rischio finanziario sugli investitori. Ma le misure di riforma fin qui ipotizzate non sembrano cogliere appieno lessenza del problema, mentre introducono distorsioni alle scelte del mercato. Andrebbe invece rafforzata la concorrenza nel settore del credito, migliorata la trasparenza sulle attività di finanziamento e introdotto il divieto di vendita al pubblico per un determinato periodo di tempo di titoli collocati a investitori professionali.
Il capitalismo famigliare e capitale sociale all’italiana rende ancora più necessario avere premi per chi denuncia illeciti contabili o falsificazioni di bilanci delle imprese, specie se quotate in Borsa. Ma chi dovrebbe accollarsi il costo dei premi? E non sarebbe forse più opportuno far leva sullantagonismo fra linteresse della proprietà di unazienda e quello dei finanziatori e dei lavoratori? Vincenzo Ferrante e Vincenzo Perrone intervengono sulla proposta di Luigi Zingales di offrire compensi ai cosiddetti whistleblowers.