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Tariffe poco pubbliche

Molti i peccati originali della vicenda di privatizzazione di Autostrade spa. A partire da una struttura di regolazione inadeguata e dall’impostazione orientata a “far cassa”. Con il risultato di aver creato molti benefici per il regolato e altrettanti danni per gli utenti. I pedaggi autostradali sono oggi definiti in funzione dell’equilibrio finanziario dei concessionari, senza rispondere a più generali criteri di interesse pubblico.

La lunga marcia verso il dottorato

Diventa sempre più ampio il divario tra dottorato italiano e estero. Troppi gli anni necessari nel nostro paese per conseguirlo e insufficiente il bagaglio di strumenti offerto agli studenti per svolgere ricerca avanzata. Per competere a livello internazionale, una soluzione possibile è proporre programmi modellati sugli standard stranieri, rinunciando ai finanziamenti ministeriali per cercarli nel settore privato. Ma serve coraggio, da parte delle università, dei dottorandi e delle imprese.

Guardare al centro

Alla maggiore autonomia concessa agli atenei non è corrisposto un adeguato rafforzamento delle competenze e delle capacità di indirizzo del centro del sistema. Se rimane immutato l’attuale meccanismo di autogoverno delle università, basato sulla rappresentanza democratico-corporativa, intervenire su vincoli e incentivi non è sufficiente per ottenere una vera riforma. È necessario invece mettere in discussione gli assetti istituzionali, come dimostra anche l’esperienza di altri paesi europei.

Dopo gli scioperi

Nei trasporti pubblici locali non c’è solo una questione di relazioni industriali problematiche. Il settore è fortemente sussidiato per compensare costi comparabili con la media europea, ma tariffe decisamente più basse. La vera questione è però la scarsa concorrenza. Per le resistenze di enti locali e aziende, non decolla il sistema delle gare. Che per funzionare bene dovrebbe prevedere anche la possibilità di licenziamenti e quindi l’introduzione di ammortizzatori sociali, possibilmente non distorsivi.

La sfida dell’innovazione organizzativa

In Italia il ruolo della sola ricerca e sviluppo nell’accelerazione del processo di sostituzione di lavoro poco qualificato con quello qualificato è marginale. Più impatto ha invece l’innovazione organizzativa, ovvero l’introduzione di significativi cambiamenti nelle funzioni interne all’impresa. Servono perciò maggiori investimenti in tecnologie digitali, che consentono innovazioni di prodotto e di processo, ma anche organizzative. E va promosso il riorientamento del sistema scolastico verso competenze generaliste e capacità logiche e relazionali.

Kyoto vive

Cop9, la conferenza sul clima svoltasi a Milano il mese scorso ha viaggiato su due binari paralleli: l’attività negoziale e i side events. Se i risultati della prima sono scarsi, assai più significativo è il contributo di tavole rotonde e seminari che hanno affrontato i veri nodi del negoziato sui mutamenti climatici. Ciò che è apparso chiaro è che Kyoto e il suo Protocollo restano ancora al centro del dibattito: non vi sono sul tavolo alternative a questa base da cui occorre partire o, meglio, ripartire.

Gli anelli deboli

Non mancano le norme per prevenire casi di megalomania imprenditoriale o di “beneficio privato del controllo”. Ma nella vicenda Parmalat, nessuna di queste è stata sufficiente. Forse perché gli organismi di controllo, come collegi sindacali, consigli di amministrazione e società di revisione, sono segnati da un conflitto di interesse che ne pregiudica l’azione. Ecco quattro misure che possono limitarlo. E insieme a un inasprimento delle pene per i reati societari, possono contribuire a ridare credibilità ai bilanci delle società.

Una crisi invisibile dalla Centrale

Se Consob avesse avuto accesso ai dati raccolti dalla Centrale dei rischi di Banca d’Italia avrebbe potuto scoprire per tempo la gravità della situazione di Parmalat? No, perché quei dati censiscono soltanto i crediti concessi da banche italiane. Non contengono invece informazioni su quelli erogati da istituti stranieri né sui bond emessi né sui debiti commerciali. Nel caso del gruppo di Collecchio avrebbero perciò evidenziato solo una piccola parte dell’indebitamento complessivo, per di più stabile negli ultimi anni.

Il calcio aspetta il suo Bondi

Lungi dall’essere conclusa, la stagione degli intrecci tra banche, affari e società calcistiche prosegue e si rafforza. Avvicinando pericolosamente il mondo del pallone al baratro del fallimento. I rimedi devono perciò essere drastici e l’opera di risanamento affidata a “facce nuove”. Una profonda riforma che individui meccanismi credibili ed efficaci di controllo e di sanzione per un grande business, che finora ha operato in un mercato senza regole.

Cos’è il “decreto Parmalat”

Con il decreto pre-natalizio è stata introdotta una variante accelerata alla normativa sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese. I pochi cambiamenti sono per lo più concentrati nella fase di avvio della procedura. Non convincono il rafforzamento dei poteri del ministro né la limitazione dell’applicazione alle grandissime aziende, ma il decreto non è di per sé un salvataggio né un aiuto di Stato. È invece il frutto della mancanza di una riforma generale e un’occasione perduta per ampliare la gamma degli strumenti di soluzione delle crisi.

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