Il teorema Modigliani-Miller rappresenta il cuore della moderna teoria della finanza, non solo per i suoi contenuti, ma anche per l’approccio metodologico. Utilizzando in questo contesto per la prima volta il ragionamento rigoroso della economia, dimostra come in presenza di mercati dei capitali perfetti il valore di un’impresa sia indipendente dalla sua politica di finanziamento, con azioni o con debito. E quando così non è, il risultato ci costringe a riflettere su quale ipotesi del teorema sia violata nella realtà .
Categoria: Argomenti Pagina 1077 di 1095
- Banche e finanza
- Concorrenza e mercati
- Conti Pubblici
- Disuguaglianze
- Energia e ambiente
- Famiglia
- Fisco
- Gender gap
- Giustizia
- Immigrazione
- Imprese
- Informazione
- Infrastrutture e trasporti
- Internazionale
- Investimenti e innovazione
- Lavoro
- Mezzogiorno
- Moneta e inflazione
- Pensioni
- PovertÃ
- SanitÃ
- Scuola, università e ricerca
- Società e cultura
- Stato e istituzioni
- Turismo
- Unione europea
Questa teoria è oggi uno schema di riferimento generalmente accettato per l’analisi delle scelte di consumo e di risparmio delle famiglie. Ed ha molte altre notevoli implicazioni. Ma qui si trova anche la sintesi migliore della straordinaria capacità di Modigliani di essere un raffinato teorico e uno studioso attento ai fatti economici. Perché la sua grandezza è stata anche aver saputo comunicare e trasmettere un metodo di ricerca, in cui modello teorico e verifica empirica sono sempre andati di pari passo.
 Il confronto tra la Teoria Generale di Keynes e l’articolo quasi contemporaneo di Modigliani è sufficiente a illustrare il suo impatto sulla macroeconomia moderna. Modigliani è stato il primo a dimostrare che la rigidità relativa di salari e prezzi è al centro del modello keynesiano. E il primo a intuire i dilemmi della politica economica, dato che salari e prezzi sono flessibili nel lungo periodo.
Il caso Cirio dimostra che il socio di controllo di un importante gruppo quotato è stato in grado nel pieno rispetto delle regole sulla gestione delle società di dirottare alla holding di controllo un’ingente somma di denaro, sottratta così a azionisti di minoranza e creditori. Né la situazione è destinata a migliorare con la riforma del diritto societario, perché non si introducono i deterrenti più efficaci.
Gli iscritti alle organizzazioni sindacali in Italia hanno l’età più alta in Europa. Anzi, molti sono già in pensione. Questa composizione demografica influenza la posizione dei sindacati sulla riforma previdenziale. Nessuna opposizione alla legge Dini, che non toccava gli interessi di gran parte degli iscritti, chiusura oggi a nuove riforme per difendere i benefici di una particolare fascia di lavoratori, già forti politicamente perché sono la maggioranza degli elettori. Ma chi rappresenta i giovani?
La bassa natalità in Italia dipende non solo da vincoli di reddito, ma anche dalla difficoltà per le donne di conciliare cura dei figli e lavoro. I dati dimostrano che finora la famiglia di origine ha funzionato da ammortizzatore sociale, con i nonni a occuparsi dei nipoti, mentre le mamme lavorano. Non è uno scenario destinato a durare. È necessario perciò aumentare l’offerta di servizi pubblici alla prima infanzia. Le scelte del Governo sembrano invece andare nella direzione opposta.
La Finanziaria 2004 “regala” mille euro per ogni figlio successivo al primo. Un intervento pro-natalità , si è detto. Ma in una situazione di risorse scarse non c’è alcun bisogno di una tantum costose per il bilancio pubblico e insignificanti per le famiglie, perché non incidono sui costi che si dovranno sostenere durante la crescita del bambino. Inoltre, forti dubbi sull’equità del provvedimento nascono dall’esclusione dall’assegno dei figli di extracomunitari regolarmente residenti e dal finanziamento attraverso il fondo di disoccupazione.
Un eccesso di regolazione impedisce in Italia l’accesso a dati essenziali per svolgere attività di ricerca. A esserne penalizzato è anche il dibattito sulle principali questioni economiche e sociali. Gli ostacoli maggiori arrivano dalle norme che salvaguardano la riservatezza delle persone, partendo dal presupposto sbagliato che il ricercatore abbia interesse a violarle. Ora, una nuova proposta di legge intende garantire una maggiore libertà d’azione.
L’accesso ai dati statistici per scopi di ricerca scientifica ha troppi vincoli in Italia. La proposta di legge Rossi intende eliminarli tutti. Così facendo, però, rischia di essere in contrasto con la direttiva europea che tutela la privacy. E di incorrere in una eccessiva permissività che non è necessaria alla ricerca e che invece potrebbe minare la fiducia dell’opinione pubblica. Senza peraltro risolvere il problema dei ritardi nella produzione e distribuzione di adeguate basi di microdati.
Lavorare con modelli econometrici serve a formulare previsioni e a valutare le conseguenze di scelte alternative di politica economica. E il premio Nobel per l’economia a Robert Engle e Clive Granger, econometrici e tra i fondatori della scuola di San Diego, è una conferma della sua importanza. Eppure in Italia questa disciplina non trova spazio e dati adeguati mentre le statistiche ufficiali vengono costantemente sfiduciate. Così non si riescono a motivare i giovani ricercatori, mentre creare laboratori di economia applicata appare difficilissimo.