I diritti televisivi sono stati un fattore scatenante della crisi finanziaria delle squadre italiane. Perché le società hanno dovuto trasferire ai giocatori buona parte di questi inaspettati e improvvisi ricavi. D’altra parte, la necessità di assicurarsi le esclusive ha alzato i prezzi e diminuito la remuneratività delle partite in tv. E tutti ne hanno sopravvalutato il potenziale di sviluppo. Ma se le emittenti possono permettersi di trasmettere in perdita per un breve periodo, alle squadre per pareggiare costi e ricavi non resta che abbassare gli stipendi dei calciatori.
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Contrariamente a quanto si lascia intendere, la riforma della tassazione delle società approvata dal Consiglio dei ministri non comporterà una riduzione dell’onere fiscale che grava sulle imprese. Non è neppure vero che ci si adegui a un modello europeo, peraltro inesistente. È vero invece che dalle legislazioni degli altri paesi europei si mutuano le norme più favorevoli per le holding e per i gruppi, senza interrogarsi se il nuovo sistema sia o meno coerente con le proposte di coordinamento elaborate dalla Commissione europea.
Dall’indagine ministeriale emerge che il caldo record di quest’estate avrebbe ucciso 4.175 anziani. Riproponiamo ai nostri lettori le riflessioni di Tito Boeri  (Quando la famiglia non basta) , Cristiano Gori (Anziani in cerca di risposta), Chiara Saraceno (Fumo contro la povertà ) e Luca Beltrametti (Le soluzioni di Trento e Bolzano) sul problema degli anziani non autosufficienti in Italia.
Investimenti diretti esteri e rapporto tra multinazionali e Paesi ospiti sono fra i temi in discussione a Cancun. Un accordo efficace dovrebbe prevedere un aumento della trasparenza delle regole come tetti per gli incentivi. E per le grandi imprese una maggiore tutela, ma anche codici di comportamento. La proposta europea lascia invece ampi margini di discrezionalità . Perché forse il vero obiettivo dei Paesi ricchi è distogliere l’attenzione da problemi per loro più spinosi.
Diminuiscono scambi internazionali, flussi di capitale e investimenti esteri. Perché aumenta l’avversione al rischio di imprese e investitori. E perché sono deboli le risposte di politica economica alle crescenti tensioni internazionali. Ne è una dimostrazione la richiesta di nuove barriere protezionistiche, buone solo per ritardare lo sviluppo dei paesi emergenti e bloccare i processi di riconversione verso produzioni tecnologicamente più avanzate in quelli industrializzati. L’accento sugli ipotetici danni della globalizzazione rischia di portare al fallimento il negoziato di Doha. Ma questo significherebbe perdere un’occasione di rilancio dell’economia mondiale.
Sotto accusa da sempre, i sussidi all’agricoltura europea resistono nel tempo grazie alle pressioni dei gruppi di interesse. Altissimi i costi per i cittadini europei che finanziano le agevolazioni come contribuenti e come consumatori. Ma anche per i Paesi emergenti che non possono accedere liberamente ai nostri mercati. Wto e Ue, seppure con accenti diversi, sembrano ora disposti a impegnarsi per una loro sostanziale riduzione. Sarà vero?
Togliere gli ostacoli che ancora impediscono una piena liberalizzazione del commercio e degli investimenti mondiali. È l’obiettivo della riunione in terra messicana. Difficile raggiungere il necessario compromesso quando i protezionismi vanno per la maggiore, nessuno sembra disposto a fare il primo passo nell’abolizione delle barriere doganali e ad alcuni Paesi si è fatto credere che otterranno solo benefici, senza contropartite. Eppure all’espansione degli scambi è legata la crescita economica dei Paesi ricchi come di quelli in via di sviluppo.
La pubblicità inserita nei film che passano in Tv è un prezzo da pagare. Ma è un prezzo che il consumatore-spettatore non conosce in anticipo e varia con il progredire della visione: più basso all’inizio per aumentare notevolmente verso la fine. Le emittenti dovrebbero perciò essere obbligate a annunciare il tempo totale di spot pubblicitari previsti e a distribuirli in modo uniforme. E per tutelare i titoli d’autore, divieto di pubblicità nell’ultimo 20 per cento di trasmissione.
La Legge Gasparri realizza una transizione a metà perché affida il controllo del processo di trasformazione da analogico a digitale ai due duopolisti, Rai e Mediaset, e consente loro di acquisire una posizione dominante nella fase di avvio. Non garantisce la convergenza al piano digitale elaborato dall’Authority, non moltiplica i programmi a disposizione degli utenti, marginalizza i broadcaster analogici nazionali e locali e lascia invariato lo squilibrio nella distribuzione delle frequenze.
Il decreto che dovrebbe incentivare l’iscrizione alle scuole paritarie è stato emanato ad anno scolastico già avviato, quando le scelte sono già state fatte da tempo. E benché non sia ancora chiaro il numero dei beneficiari, sarà senz’altro un contributo modesto, inutile per abbassare significativamente la barriera di accesso agli istituti privati. Tanto più che non prevede differenziazioni per fasce di reddito. Si risolve in un vantaggio per le famiglie più abbienti, quelle che avrebbero comunque optato per il privato.