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LA RISPOSTA AI COMMENTI

1.    Fra i numerosi difetti dello scudo italiano c’era anche quello di consentire la regolarizzazione lasciando le attività all’estero. Questa alternativa aveva certamente senso per gli immobili ma non per i beni mobili e di sicuro non per le attività finanziarie. Tremonti si è spesso vantato dell’arricchimento dell’economia italiana realizzato genericamente con le attività scudate confondendo le acque fra ciò che è effettivamente rientrato e ciò che è stato solo regolarizzato rimanendo, però, all’estero. Ed alla domanda: quanto è effettivamente rientrato? ha sempre risposto in modo volutamente impreciso. Lo scudo previsto per Germania e Regno Unito ha lo stesso difetto ma con un’aliquota (34%) decisamente più sensata ancorchè intrisa di perdonismo a pagamento [Arnaldo Mauri. Massimo Vannucci]. Le aliquote del 25% (Germania) e 40/48% (Regno Unito) si applicano – in  aggiunta al citato 34% – sui rendimenti (futuri) dei capitali scudati (cui altrimenti si sarebbe dovuta applicare l’euroritenuta del 35%) [Francesco Donà].

2.    Che la Svizzera sia disponibile a concedere all’Italia le stesse condizioni offerte a Germania e Regno Unito è, addirittura, più che probabile. I (presumibili) capitali italiani in Svizzera superano quelli tedeschi ed inglesi e le banche svizzere hanno, palesemente, come obiettivo quello di preservarne per loro stesse la gestione anche negli anni a venire. Obiettivo ottenibile attraverso questa formula. [Arnaldo Mauri]

3.    Le informazioni ottenibili dalla Svizzera attraverso gli accordi di scambio di informazioni sono attivabili mediante richiesta caso per caso dell’Amministrazione Finanziaria procedente al fisco svizzero. Quindi, al momento, niente lista con nomi. [Massimo Vannucci]

4.    Che il protrarsi infruttuoso della discussione provochi un po’ di panico è vero. Che spinga altresì a “portare i soldi in Svizzera” è, purtroppo, una constatazione – ancorché irrazionale – di questi giorni.[Michelangelo Casiraghi]

Tommaso  Di Tanno

CHE SIGNIFICA DECLASSARE IL FONDO SALVA-STATI

Il fondo Salva-Stati (Efsf, European Financial Stability Facility) è un’ancora di salvataggio creato da 17 Stati Membri dell’Unione Europea con l’obiettivo primario di salvaguardare la stabilità finanziaria in Europa e fornire assistenza agli Stati ad alto debito. E’ nato per concedere credito esclusivamente agli Stati Membri e non ha fondi propri, bensì 780 miliardi di garanzia. Forte delle solide garanzie, l’istituto emette titoli di debito che vengono acquistati da enti di tutto il mondo, dalle banche ai fondi pensione, dai fondi sovrani alle agenzie assicurative. Col denaro raccolto, l’Efsf ricompra i titoli di debito degli Stati in difficoltà. In pratica l’Efsf nasce per ridurre il rischio che un’asta di titoli di Stato fallisca, tramite operazioni di acquisto sia sul mercato primario (le aste) che su quello secondario (negoziando titoli già in circolazione), riempiendo il vuoto lasciato dalla Bce, che interviene esclusivamente sul mercato secondario.
 
COSA IMPLICA IL DECLASSAMENTO
 
Il  downgrading dei titoli del debito a lungo termine dell’Efsf è stato la diretta conseguenza dell’abbassamento delle valutazioni su molti altri titoli di Stato europei, tra cui quelli di Francia e Austria, Stati molto importanti per le garanzie finanziarie al Fondo.
L’Efsf gode ancora del rating massimo di S&P sulle emissioni a breve, e vanta i voti più alti sulle emissioni a lungo da parte delle altre due agenzie di rating, Moody’s e Fitch. La decisione era attesa: S&P aveva già anticipato il downgrading il 5 dicembre, segnalando come “negativo” l’outlook sulle emissioni a lungo termine nel proprio Creditwatch.
Il deterioramento del rating porta con sé un aumento dei costi di finanziamento, che implica spese maggiori per aiutare gli Stati in difficoltà. Per questo si prevede che il supporto dato dall’Efsf ai paesi più deboli non potrà che ridursi. Saranno proprio i paesi in difficoltà a pagarne le conseguenze.
La situazione potrebbe cambiare velocemente, se ci fosse la volontà politica. S&P ha tenuto il proprio outlook sui fondi dell’Efsf su “developing”, che significa che potrebbero migliorare o peggiorare a breve. In che modo potrebbero migliorare? Aumentando le garanzie alla base dell’Efsf. Probabilmente sarebbe meglio anticipare l’istituzione, per ora programmata a luglio, dello European Stability Mechanism (Esm): quest’ente è destinato a sostituire l’Efsf in maniera definitiva ed il suo momento potrebbe essere arrivato prima del previsto.

IL CLUB MED DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Più che di Piigs dovremmo parlare di Club Med. È vero che Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna sono tutte state colpite dalla crisi dei debiti pubblici. Ma l’Irlanda ne è uscita per prima. E un altro paese, il Belgio, con un’alta evasione e un’alta propensione a generare debito pubblico, è sempre riuscito a venire fuori da complicati processi di consolidamento fiscale. Forse la differenza sta nel diverso livello di efficienza della pubblica amministrazione. Perchè le nazioni con burocrazie fragili hanno anche problemi di crescita economica e di credibilità.

PA: TAGLIATORI DI TESTE CERCANSI

Dalla fase 2 del governo Monti è lecito aspettarsi il rilancio di un dibattito serio sulle riforme delle pubbliche amministrazioni. Perché a conclusione delle spending review si dovrà affrontare una serie molto ampia di ristrutturazioni aziendali in modo da ridurre i costi fissi e migliorare l’efficienza complessiva del sistema. Si presenterà allora il problema di che fare del personale in eccesso. E serviranno previsioni normative e contrattuali finora del tutto assenti. Ma non basta: dovrà trovare spazio anche nel pubblico impiego la figura del tagliatore di teste.

LA RISPOSTA AL COMMENTO

Tommaso di Tanno riassume bene le mie obiezioni (vedi “Così la svizzera mantiene il segreto“) all’ipotesi di un accordo con la Svizzera, e in buona parte le condivide (vedi “Il merito di un accordo“). È uno “scudo fiscale” ma – dice Tommaso – il suo prezzo è ben più alto (fino al 34%) di quello degli scudi di Tremonti (minimo 2,5%, massimo 7%, più le recenti imposte di bollo). Quindi l’Italia incasserebbe di più.
Ma la Svizzera accetterebbe di prelevare per nostro conto il 34%, ben sapendo che anche recentemente ci siamo accontentati di molto meno? Io penso di no. Per una legge basta la maggioranza parlamentare, per un accordo internazionale bisogna essere favorevoli in due. Se pure si arrivasse a concordare il 34% con la Svizzera, i contribuenti infedeli accetteranno di pagare così tanto? Io penso di no: chi non ha voluto fare lo scudo al 2,5%, al 5% o al 7% perché mai dovrebbe accettare di farlo pagando il 34%?
Tommaso dice che, forse, le banche svizzere non faranno le furbe e incoraggeranno i clienti a pagare. Può darsi. Pare però che in occasione degli scudi italiani molte banche elvetiche remuneravano sottobanco i consulenti italiani che riuscivano a convincere il cliente a non far nulla.  Inoltre, il gettito dell’euroritenuta proveniente dalla Svizzera si è dimostrato ridicolmente basso perché le banche svizzere consigliavano ai propri clienti di intestare i conti ad una società off-shore, aggirando così l’obbligo fiscale. L’Unione Europea sta ancora cercando di convincere la Svizzera a chiudere questo evidente buco. Io mi fido poco non perché le banche svizzere siano malvagie ma perché in tutto il mondo business is business. D’altronde, non si sono fidate neppure Germania e Gran Bretagna, che hanno chiesto alla Svizzera un versamento minimo (di 2 e 0,5 miliardi). Noi non otterremmo nulla di più.
Ciò detto, riconosco che la possibilità di inviare 999 richieste motivate di informazioni bancarie in due anni sarebbe un risultato importante. Così come varrebbe l’una tantum che la Svizzera potrebbe graziosamente riconoscerci.
All’Italia però costerebbe l’accettazione forse irreversibile del principio dell’intangibilità – salvo eccezioni a numero chiuso – del segreto bancario svizzero. Avremo poi un altro scudo fiscale, con gettito una tantum trascurabile e un costo incalcolabile in termini di perdita di credibilità dell’azione di governo nel recupero della fedeltà dichiarativa.
Tutto sommato, rimango persuaso che un accordo così non ci conviene affatto.

GIOVANI E SENZA FORMAZIONE

Sempre più difficile per i giovani l’ingresso nel mercato del lavoro. Per una quota rilevante il percorso di avviamento al lavoro può durare anche diversi anni. Durante i quali l’apporto formativo on the job è insufficiente a garantire l’inserimento stabile nel mercato del lavoro. La formazione ricevuta scende con l’accorciarsi della durata dei contratti e diminuisce al diminuire del livello di istruzione, penalizzando quindi i meno istruiti con contratti di breve durata. Resta da risolvere il grave e diffuso problema degli abusi. Le sperimentazioni in alcune Regioni.

I TRE GIORNI DI UNICREDIT

Nei giorni successivi all’annuncio della ricapitalizzazione, il prezzo delle azioni Unicredit è sceso vertiginosamente. Per colpa dello sconto troppo elevato riservato ai vecchi soci, si è detto. Ma un aumento di capitale con diritto di opzione non ha effetti sulla ricchezza di un azionista. Sulla caduta del titolo, invece, può aver influito la scelta di alcuni soci rilevanti di sottoscrivere solo in parte l’aumento di capitale. Perché potrebbe dar luogo a un eccesso di offerta con conseguente impatto negativo sul prezzo. Gli effetti sulla struttura proprietaria.

QUELL’ABBRACCIO MORTALE FRA FONDAZIONI E BANCHE

Le vicende di Mps e di Unicredit confermano quanto sia opportuna la separazione tra fondazioni e banche conferitarie. Le fondazioni potrebbero perseguire i loro obiettivi statutari. E migliorerebbe la governance delle banche, aprendo a soggetti che hanno come obiettivo primario la massimizzazione del loro valore. È una riforma degli assetti proprietari del nostro capitalismo utile ora, nell’immediato della crisi, e dopo, quando sarà finita. Perché renderebbe più efficienti e più stabili le banche italiane, contribuendo al rilancio di tutto il nostro sistema produttivo.

IL MERITO DI UN ACCORDO

Al di là della discussione sull’acquis comunitario, sarebbe opportuno un accordo con la Svizzera sulle attività finanziare lì nascoste da residenti in Italia, sulla falsariga di quelli conclusi da Germania e Gran Bretagna? È vero, si tratterebbe di uno scudo, ma con aliquote di gran lunga superiori rispetto a quelle applicate nel nostro recente passato. E non sarebbe tombale. La ritenuta su interessi e dividenti dei capitali regolarizzati non è europea, ma rispecchia quanto previsto dai singoli paesi. La posizione di chi non aderisce all’accordo.

PRESTITI DELLA BCE E DEPOSIT FACILITY

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