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UN PRESTITO CON MOLTI VANTAGGI

Lo schema proposto nel primo intervento trasforma il prestito allo studente in un’attività finanziaria ibrida, che ha alcune delle caratteristiche di una “partecipazione azionaria” al suo reddito futuro. Fornisce quindi una (parziale) assicurazione allo studente contro il rischio associato al suo investimento in istruzione, rendendolo più accessibile.

INVESTIMENTO A ELEVATO RENDIMENTO

Qualcuno obietterà che il reddito atteso dei neolaureati è troppo basso per coprire il rimborso. Con questo schema, però, il rimborso è basso proprio quando il reddito è basso, e calcoli preliminari mostrano che, sulla base della distribuzione oggi osservata per i redditi futuri dei neolaureati, assumendo che sia di 15mila euro il reddito al di sotto del quale non si rimborsa, la gran parte sarebbe in grado nel tempo di rimborsare per intero il debito contratto, sia pure in periodi molto lunghi. Soprattutto, se lo schema funziona e mette in moto, attraverso il meccanismo concorrenziale, un miglioramento qualitativo dell’università, ci si può attendere che anche il “rendimento dell’istruzione” aumenterà, rendendo più semplice rimborsare il debito. E d’altra parte il sistema di prestiti potrebbe essere introdotto con gradualità, iniziando proprio da quegli atenei che, più di altri, sembrano garantire ai propri laureati prospettive lavorative migliori e più remunerative.
Il prestito, di fatto, è erogato dallo Stato allo studente, come avviene in molti dei sistemi in vigore negli altri paesi. Per evitare la creazione di una burocrazia dedicata a tale funzione (e i costi a essa collegati) si può utilizzare il sistema bancario e la sua rete distributiva, o le Poste, che verrebbero così a svolgere la funzione di “agente di pagamento” (per l’istituzione erogante l’operazione ha il vantaggio di fornire un primo contatto con nuovi giovani clienti; questo vantaggio dovrebbe contenere le eventuali commissioni per lo svolgimento del servizio). Nella fase di rimborso del credito, invece, si sfrutta la capacità impositiva dello Stato, al posto di più costosi sistemi di recupero crediti.
Da un punto di vista contabile, i prestiti sarebbero per lo Stato un’attività, finanziata attraverso l’emissione di debito lordo; si tratterebbe di un’operazione finanziaria che non avrebbe effetti sul disavanzo monitorato dalla Commissione europea. Sarebbe un caso esemplare di utilizzo del debito per il finanziamento di un investimento con un elevato rendimento sia privato sia sociale, quello in istruzione superiore. Ma se vincoli finanziari precludessero questa strada, si potrebbero elaborare alternative che prevedano un ruolo a soggetti con una forte partecipazione pubblica, ma di natura privatistica: è un aspetto che andrà approfondito.
Con lo schema proposto la possibilità che ci sia evasione fiscale nei redditi dichiarati è scarsa: a parte il caso estremo di evasione totale e permanente, l’ex-studente che dovesse dichiarare un reddito inferiore all’effettivo, avrebbe come unica conseguenza quella di allungare il periodo di rimborso e di aumentare per la componente degli interessi la cifra da rimborsare, senza nessun guadagno in termini di valore attualizzato del rimborso.
È facile introdurre in questo meccanismo, per rafforzare gli incentivi all’istruzione universitaria, elementi di sussidio a carico della finanza pubblica, così da finanziare in tutto o in parte la quota di debito che risultasse non recuperabile e ridurre il tasso di interesse con cui i prestiti sono capitalizzati e i rimborsi vengono scontati.
Se poi, come sembra opportuno, si sfruttasse la disponibilità di prestiti agli studenti per liberalizzare le tasse universitarie (almeno in parte e selettivamente) e aumentare così la copertura dei costi universitari da parte dei privati, si potrebbe prevedere che il risparmio per il bilancio pubblico così ottenuto venga, in tutto o in larga parte, utilizzato per sussidiare i prestiti concessi.

DIFFERENZE CON LA PROPOSTA DEL GOVERNO

Il governo in carica, attraverso il ministro della Gioventù, ha costituito, meno di un anno fa, il fondo “Diamogli Futuro” (con dotazione di 19 milioni di euro), riprendendo e ampliando una simile iniziativa del Governo precedente, per favorire lo sviluppo di prestiti universitari (a dire il vero, anche per la frequenza di corsi di dottorato e di corsi di lingua). Vincoli di spazio impediscono di entrare nel merito di quell’iniziativa, salvo chiarire la principale differenza con la proposta qui avanzata. Nello schema del governo, il fondo è a garanzia (parziale, in caso di mancato rimborso) di prestiti erogati da banche: si tratta di prestiti standard, in cui il rimborso è fisso e indipendente dal reddito. Ciò comporta per il giovane neo-laureato un rischio notevolmente superiore a quello che qui gli si chiede di sopportare. Per avere un’idea della differenza, supponiamo che il tasso di interesse richiesto dalla banca sia del 3 per cento reale (l’esperienza con l’iniziativa del precedente governo suggerisce che il tasso potrebbe essere anche del 4 o 5 per cento), che il prestito sia il massimo consentito dallo schema del governo (5mila euro l’anno, per cinque anni: capitalizzato al 3 per cento, genera un debito totale da rimborsare di circa 27mila euro), e che il periodo di rimborso sia anch’esso pari al massimo consentito (quindici anni); la rata di rimborso costante risulterebbe di circa 2.100 euro l’anno, ben sette volte superiore a quella che lo schema qui proposto richiederebbe inizialmente a un ex-studente il cui reddito sia pari al primo quartile della distribuzione dei redditi dei laureati, quasi due volte e mezzo quella inizialmente richiesta a un ex-studente con il reddito medio (tassi di interesse più elevati o un periodo di rimborso più breve renderebbero il confronto ancora più sfavorevole). Non stupisce che studenti e famiglie, a ragione avversi al rischio, in passato si siano in larga misura tenuti alla larga da schemi di questo tipo. Azzardo la previsione che lo stesso succederà con lo schema recentemente introdotto dal ministero della Gioventù.

PENSIONI ALLA SVEDESE

Il governo pensa di congelare l’indicizzazione delle pensioni al di sopra di un certo importo. Sarebbe più equo indicizzare quelle pensioni alla crescita economica, così come avviene in Svezia. Un intervento che permetterebbe di ottenere risparmi sostanziali sulla spesa pensionistica. Ma ancor più importante determinerebbe una compartecipazione dei pensionati alle perdite o ai guadagni dell’economia. Perché sin quando le pensioni saranno una variabile indipendente, la crescente popolazione dei pensionati non avrà alcun interesse a sostenere politiche per la crescita.

CRISI DELL’EURO TRA POLITICA E MERCATO

Le relazioni tra mondo della politica e della finanza sono da sempre difficili. Ma nella crisi dell’euro si aggiunge un altro elemento, quello delle attuali istituzioni europee. In materia finanziaria è sempre più l’Unione Europea a indicare le politiche, le scelte sono però condizionate dalla politica interna dei singoli paesi. Della Germania in particolare, che però dopo la seconda guerra mondiale non è mai stata toccata da una crisi finanziaria e non ha l’esperienza per fronteggiarla. Non è semplice risolvere una crisi istituzionale, oltre che finanziaria e fiscale.

NIENTE LACRIME SE LA GRECIA ESCE DALL’EUROZONA

L’uscita della Grecia dall’Eurozona rafforzerebbe la stessa area euro, e quindi sarebbe un bene per la moneta europea, per svariati motivi.

L’EURO SI RAFFORZA

In primo luogo, gli altri paesi dell’Eurozona con finanze pubbliche a rischio si impegnerebbero con maggior vigore a seguire politiche di rientro del debito, dal momento che l’uscita da una unione monetaria con reintroduzione della propria valuta non è mai stata, storicamente, un’esperienza positiva per il paese coinvolto (si pensi soltanto all’impatto inflazionistico).
Il rischio-contagio verrebbe quindi minimizzato, sempre che i governi di quei paesi siano intenzionati a mettere ordine nelle proprie finanze in modo credibile e sostenibile. Dopo un’iniziale fase di debolezza, i mercati probabilmente premierebbero l’euro: accoglierebbero favorevolmente questi eventi anche perché un’Eurozona più forte comporterebbe una bassa probabilità che la Bce si impegni nuovamente in “Non Standard Operations”, cioè nell’acquisto di titoli di stato di paesi membri in difficoltà. La presenza di un attore come la Bce, infatti, provoca distorsioni sul mercato e non permette agli spread di esprimere pienamente la valutazione dei mercati sul merito del credito dei vari paesi.

PAGANO LE BANCHE

Ci sarebbero sicuramente dei perdenti all’interno dell’Eurozona, in particolare le banche che detengono il debito greco, che si troverebbero davanti la strada della ristrutturazione del debito (a quel punto, estero) della Grecia. Un film già visto nel caso delle ristrutturazioni di Russia, Messico e tanti altri paesi nel corso degli anni Ottanta e Novanta. Ma, a questo punto, sarebbe una negoziazione tra la Grecia e le banche, senza che sia necessario alcun intervento da parte dei governi europei. Se l’esposizione verso la Grecia fosse elevata, e quindi le perdite associate alla ristrutturazione anch’esse elevate, gli azionisti delle banche coinvolte sopporterebbero le perdite sia sotto forma di mancanza di dividendi o, nei casi più gravi, per la diluizione del capitale a causa dell’aumento di capitale necessario per salvaguardare la stabilità della banca stessa. Probabilmente assisteremmo all’entrata dello stato nel capitale delle banche. Anche in questo caso, sarebbe un’esperienza già provata, anche di recente, nel Regno Unito e negli Stati Uniti. Sarebbero costi di breve periodo e, una volta “puliti” i propri libri dal debito greco, le banche potrebbero concentrarsi a fare il loro lavoro. Una volta ristabilita la loro redditività e solidità, la partecipazione statale sarebbe venduta (è da sottolineare come spesso un tale esercizio abbia prodotto profitti per le casse statali, si pensi alla Resolution Trust Corporation americana nel caso delle crisi delle casse di risparmio statunitensi o ai capital gain ottenuti dal governo Usa grazie ai fondi Tarp).
In ogni caso, quale alternativa è più “politicamente vendibile” ai propri elettori: un aumento delle tasse per coprire i trasferimenti alla Grecia con una buona probabilità che il debito greco venga ristrutturato (e che quindi parte di questi soldi vadano persi), oppure un aumento delle tasse per finanziare la ricapitalizzazione di banche che poi verranno privatizzate con ragionevoli aspettative di ottenere un capital gain (e quindi tasse e/o costo del capitale più bassi) in un futuro non tanto lontano?
Non esistono oggi meccanismi che permettono l’uscita di un paese dall’Eurozona, a parte la decisione unilaterale del paese stesso (che molto probabilmente comporterebbe anche un’uscita dall’Unione Euopea tout court). Sarebbe politicamente improponibile che i paesi membri votassero sull’espulsione di un paese dall’Eurozona. Non resta, quindi, che la decisione unilaterale della Grecia. Negli ultimi dodici mesi il governo greco ha dimostrato una scarsa volontà politica di consolidare le proprie finanze pubbliche e periste un vasto dissenso popolare verso le timide riforme adottate fino ad ora: forse un’uscita della Grecia dall’Unione Europea non è così impensabile come qualche tempo fa. L’Unione Europea e l’Eurozona non dovrebbero versare lacrime se una tale evenienza si verificasse.

UNA LETTERA DEL COMMISSARIO GOVERNATIVO SUL PALAZZO DEL CINEMA *

L’articolo del professor Francesco Giavazzi ospitato su lavoce.info ricostruisce in maniera ampia e dettagliata l’intera vicenda del Nuovo Palazzo del Cinema e dei Congressi del Lido di Venezia. Purtroppo la ricostruzione è anche viziata da una serie di inesattezze e imprecisioni che impongono qualche replica: non fosse altro che per la riconosciuta autorevolezza dell’autore dell’articolo.

I PUNTI CONTROVERSI

Per semplicità espositiva, riporto tra virgolette le affermazioni del prof. Giavazzi che ritengo prive di fondamento e a ciascuna associo la mia replica, scusandomi per la pedanteria.

1. “Nel 2006 il Governo si impegnò a cofinanziare l’opera nell’ambito delle celebrazioni per il 150° dell’Unità d’Italia con un contributo di circa 40 milioni”.
La realizzazione del Nuovo Palazzo del Cinema e dei Congressi venne dichiarata “grande evento”, insieme ad un’altra serie di opere, solo con l’emanazione del decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 23 novembre 2007 e il contributo dello Stato venne determinato in 20 milioni.

2. “Il comune di Venezia acquistò il vecchio ospedale del Lido sotto la regìa del commissario”.
L’acquisto fu effettuato l’1 dicembre 2008 dal comune in perfetta solitudine e il commissario delegato non ha potuto svolgere alcuna regìa essendo stato nominato successivamente all’acquisto (con ordinanza del presidente del Consiglio n. 3746 del 12 marzo 2009).

3. “La gara per la vendita dell’ospedale al mare fu indetta con tempi brevissimi, meno di tre mesi, in modo da rendere pressoché impossibile la partecipazione di grandi gruppi immobiliari esteri”.
La gara è stata preceduta da una sollecitazione di manifestazioni di interesse, pubblicata sui principali quotidiani nazionali, alla quale hanno dato risposta 11 soggetti, anche non nazionali.

4. “Del prezzo di vendita 32 milioni sarebbero andati alla Ulss”.
La somma destinata alla Ulss è pari al prezzo d’acquisto dell’Ospedale al mare da parte del comune: 27 milioni.

5. È un “errore procedurale che esista un commissario senza che vi sia nessun motivo di emergenza”.
Non si tratta di un errore procedurale. La dichiarazione di “grande evento” e la conseguente nomina del commissario sono intervenute nel pieno rispetto di una legge dello Stato, vigente allora come ora (comma 5, art. 5 bis, del decreto legge 7 settembre 2001 n. 343 convertito nella legge 9 novembre 2001 n. 401), che consente di fare l’una cosa e l’altra, in analogia a quanto accade per le emergenze di protezione civile.

6. È un “errore procedurale che al commissario vengono accordati pieni poteri su tutto il Lido”.
I poteri del commissario si riferiscono ai soli interventi che abbiano una connessione funzionale, ambientale, urbanistica o territoriale con il programma di riqualificazione dell’isola del Lido, oggetto dell’intesa tra Stato, Regione e Comune intervenuta nel 2007. La connessione è stabilita dalla Conferenza di servizi, alla quale partecipano tulle le amministrazioni pubbliche interessate.

7. È un “errore procedurale la distrazione di risorse Ulss per finalità non sanitarie”.
Non c’è stata alcuna distrazione. Le risorse Ulss sono unicamente quelle costituite dai proventi derivanti dalla vendita dell’ex Ospedale al mare al comune (27 milioni) e la Ulss non potrà usarle altro che per i propri scopi istituzionali. Le restanti risorse costituiscono il risultato della mutata destinazione d’uso e della conseguente valorizzazione di un bene ora di proprietà del comune che ne potrà disporre unicamente per la realizzazione del Palazzo del Cinema.

8. “Il sindaco di Venezia si è sempre opposto”
Tutte le decisioni sono state prese dalla Conferenza di servizi con il voto favorevole di tutte le amministrazioni pubbliche competenti, compreso il comune di Venezia.

9. “Non prima di aver speso 37 milioni si sono scoperti nel sottosuolo dell’area rifiuti in amianto”.
In realtà i rifiuti si sono scoperti prima di aver speso 37 milioni e anzi parte di questa somma (circa 17 milioni) è stata spesa proprio per rimuovere in sicurezza le terre di cantiere contenenti amianto. Le restanti somme sono state spese per il progetto originario.

10. “L’importo inizialmente previsto era di 100 milioni di euro”.
Il costo del progetto esecutivo generale approvato nel 2008 era pari a 136 milioni di euro (ovviamente senza considerare i maggiori costi derivanti dalla presenza dell’amianto). L’intervento commissariale, resosi necessario per l’indisponibilità dell’intera somma prevista, si è rivolto a ridurre il costo dell’opera a circa 100 milioni di euro, compresi 17 milioni per la rimozione dell’amianto, corrispondenti alle somme disponibili.

11. “Invece che un grande palazzo del cinema, verrà costruita una sala cinematografica”.
In realtà l’opera, già nella sua originaria configurazione, non era solo palazzo del cinema ma anche dei congressi, dove per congressi era da intendersi tutto ciò che sarebbe servito a dare all’opera una funzionalità correlata non solo alla mostra d’arte cinematografica ma anche a tutte quelle attività complementari anche per lo sviluppo del Lido che erano alla base dell’intesa di partenza tra lo Stato, la Regione e il Comune e che ora ci si propone di soddisfare in maniera ancora più decisa e proficua. Non sarà quindi una “sala cinematografica” ma un luogo capace di concorrere alla rivitalizzazione dell’intera area, a partire proprio dalla riqualificazione e dallo sviluppo della mostra d’arte cinematografica del Lido e di tutte le attività necessarie a farne un punto di riferimento mondiale di indiscutibile prestigio.

12. “La Sacaim, aggiudicataria dei lavori, ha chiesto al commissario un risarcimento di 50 milioni di euro”.
Dalla Sacaim non è mai pervenuta al commissario alcuna richiesta di risarcimento. Comunque, se mai dovesse pervenire una richiesta, chiedere non significa ottenere: e tra i due termini corre un mare di valutazioni che non mancheranno di essere svolte.

13. “La costruzione di due grandi torri nell’area della Favorita è stata abbandonata per ragioni aeroportuali”.
I vincoli aeroportuali non hanno mai riguardato l’area della Favorita, ma un’altra area del complesso ospedaliero e quest’area è stata venduta.

14. “Per l’acquisto del bel parco della Favorita il commissario ha fissato un prezzo, 20 milioni, che Est Capital ha ritenuto troppo elevato”.
“Il bel parco della Favorita” non è un parco ma un’area di verde spontaneo caratterizzato dalla presenza di strutture fatiscenti e non oggetto di pubblica fruizione. Per la sua vendita sono state espletate ben tre aste, andate tutte deserte per l’assenza di offerte. Una successiva sollecitazione di manifestazione d’interesse ha prodotto tre proposte (rispettivamente di 10 milioni, 8 milioni e 1 euro) ritenute inadeguate.

15. “Non si costruirà alcun Palazzo del Cinema”.
Non si costruirà quel Palazzo del Cinema, la cui realizzazione si è rivelata economicamente insostenibile (per effetto dell’incremento di costi per l’amianto e della mancata vendita dell’area della favorita: 37 milioni in totale). In luogo di quel Palazzo del Cinema se ne farà un altro che dovrà insieme soddisfare le esigenze della mostra del cinema e costituire elemento di forte e nuovo richiamo per il Lido.

16. “L’area dell’ospedale venduta è di circa 70mila metri quadrati”.
La superficie lorda di pavimento realizzabile è di 49mila metri quadrati. Giuste o sbagliate che siano sul piano metodologico, tutte le valutazioni costruite sulla base delle dimensioni dell’area risentono di un evidente ed oggettivo limite di fondo e sono quindi inappropriate.
Qui mi fermo, non senza porre io, a mia volta, un interrogativo finale: non era forse il caso di rivolgersi direttamente alla fonte per avere informazioni e dati sicuri, invece di fidarsi di qualche notizia di seconda mano e di ritenerla sufficiente per farsi e per esprimere un’opinione?

* Vincenzo Spaziante è funzionario alla Protezione Civile. È Commissario per la realizzazione del nuovo Palazzo del Cinema di Venezia.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringraziamo i lettori per i numerosi commenti, che sollecitano alcune precisazioni sulla proposta avanzata nel nostro articolo.
Senza dubbio il problema dell’insufficiente domanda di lavoro e della creazione di nuovo impiego non può essere risolto con la riforma proposta nell’articolo, ma la riduzione della pressione fiscale sui salari più bassi non può che favorire l’occupazione di chi partecipa al mercato del lavoro in condizioni di maggiori difficoltà e quindi con basse retribuzioni. Ricordiamo che, stante le condizioni della finanza pubblica, abbiamo formulato una proposta  a parità di risorse, che riduce l’effetto distorsivo delle imposte aumentando potenzialmente l’occupazione.
L’effetto sull’occupazione è infatti tanto maggiore quanto più alta è l’elasticità dell’offerta di lavoro rispetto al salario orario e come già evidenziato in altre occasioni su questo sito (cf Colombino) esiste una netta relazione inversa tra livello di reddito e elasticità. Gli individui con reddito più basso, beneficiari del nuovo credito di imposta, sono quelli che rispondono maggiormente anche a riduzioni contenute della pressione fiscale.
Come evidenziato nell’articolo e sottolineato da numerosi lettori, un’obiezione alla proposta riguarda il sostegno economico che verrebbe a mancare a famiglie e a individui disoccupati o pensionati: questi dovrebbero essere tutelati da un sistema organico di ammortizzatori sociali che condizionino il sostegno alla ricerca attiva di un impiego e da un sostegno specifico alle responsabilità di cura di bambini e anziani. Non è offrendo detrazioni fiscali in modo indiscriminato (e dunque per importi limitati) per i famigliari a carico che si risolve il problema della povertà fra chi ha perso il lavoro.
Le simulazioni proposte riguardano esclusivamente la popolazione attiva non intaccando quindi le risorse oggi destinate ai pensionati. Generalizzando l’abolizione della detrazione per familiari a carico a tutta la popolazione, si libererebbero ulteriori risorse che potrebbero essere utilizzate per assistenza sociale a beneficio di tutti i poveri, compresi quelli che hanno superato l’età di pensionamento.
Il nuovo credito di imposta, a differenza delle attuali detrazioni, non creerebbe un problema di incapienza, in quanto si configurerebbe come un trasferimento netto per coloro i quali non possono beneficiare direttamente del credito di imposta come riduzione dell’imposta pagata.
La concreta implementazione del credito di imposta, ovviamente, dovrebbe idealmente accompagnarsi ad altre misure, come quelle vigenti in altri paesi europei che hanno incentivi condizionati all’impiego. Bisognerebbe, ad esempio, introdurre un salario minimo  per evitare che gli incentivi si traducano unicamente in un ribasso delle retribuzioni lorde da parte dei datori di lavoro. Inoltre è fondamentale potenziare la lotta all’evasione fiscale che preclude il corretto funzionamento di qualsiasi strumento fiscale basato sul reddito del contribuente. Come evidenziato da un lettore, anche l’attuale detrazione per familiari a carico può essere concessa a fronte dell’evasione del reddito da parte di un familiare. Il nuovo credito di imposta, condizionato all’impiego regolare, potrebbe peraltro fornire un incentivo per far emergere lavoro sommerso.

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