Che la questione dei taxi fosse un elemento caldo, che suscita un mare di polemiche, mi era ben chiaro. Non sono pertanto stupito né per la quantità dei commenti, né per la veemenza di alcuni di loro. Debbo dire che, così come mi aspettavo reazioni stizzite dei taxisti, mi attendevo maggior indignazione da parte da parte dei cittadini contribuenti.
Ringrazio tutti gli intervenuti, anche quelli che hanno espresso opinioni molto distanti dalle mie, perché il loro contributo mi aiuta a meglio definire il mio pensiero che, a giudicare dal tono di alcuni interventi, o non è stato capito o è stato "travisato".
L’obiettivo del mio intervento non era né quello di contestare la legittimità delle rivendicazioni "economiche" della categoria, né quello di definire una proposta complessiva per migliorare il servizio.
L’obiettivo era molto più limitato, ed era quello di criticare l’ipotesi secondo cui per non far lievitare le tariffe si addebitano alla collettività parte dei costi del servizio. Mi è ben chiaro che questa operazione viene regolarmente fatta in diversi altri settori e che le risorse destinate ai taxi sarebbero poca cosa rispetto alle montagne di incentivi dati ad altri settori. Così come mi è chiaro che incentivi all’acquisto di vetture ecologiche potrebbero avere effetti positivi sull’inquinamento. Non mi sembra vi siano però sufficienti ragioni economiche e sociali per estendere i benefici dell’incentivazione pubblica al settore dei taxi: anzi sarebbe molto meglio ridurre gli incentivi anche in altri settori.
Per quanto riguarda gli adeguamenti tariffari non ho alcuna obiezione a che le tariffe aumentino per bilanciare l’incremento dei costi. Gli adeguamenti tariffari però, a normativa vigente, vanno adeguatamente motivati, altrimenti si incappa in qualche TAR che fa saltare tutta l’operazione. Se poi le tariffe aumentano troppo il mercato si restringe e si aggrava la crisi. Sarebbe opportuno, questa è la mia opinione, prevedere la liberalizzazione delle tariffe, lasciando ad una autorità pubblica il solo compito di vigilare affinché non si realizzino truffe ed abusi ai danni dell’utenza.
Vi è un tema che io ho solo accennato ma sui cui sono intervenuti diversi lettori: il tema che ho definito dell’"industrializzazione" del settore, ovvero di tutte le modifiche necessarie per migliorare quantità e qualità del servizio, riducendone al tempo stesso i costi. Non ho deliberatamente approfondito questo tema perché l’obiettivo dell’intervento era molto più limitato. Non ho intenzione di affrontarlo in questa breve replica perché il tema è troppo complesso per essere risolto in poche righe. Trovo comunque interessanti e condivisibili alcune delle idee espresse, sia quelle che riguardano l’inserimento della politica sui taxi all’interno della più ampia politica di governo della mobilità (chiusura dei centri storici e dissuasione all’uso del mezzo privato), sia quelle relative all’applicazione delle tecnologie dell’informazione per migliorare il servizio.
In merito a quanto affermato dal signor Genovese vorrei ricordare che l’assegnazione delle 2000 licenze taxi a Roma è avvenuta nella più totale correttezza amministrativa e se vi sono stati episodi illeciti questi hanno riguardato i singoli concorrenti che hanno dichiarato il falso e che per questo verranno perseguiti.
Un’ultima osservazione, che esula dal tema che ho affrontato, ma su cui non riesco a far finta di niente: se è vero che in alcune fasce orarie vi sono molti taxi fermi ai parcheggi, è altrettanto vero che se cerchi un taxi tra le 9 e le 11 te lo puoi scordare: al tempo stesso mi sembra di capire che i noleggiatori di "fuori Roma" sono continuati a crescere anche negli ultimi anni, fino ad arrivare alle 6-7000 unità di cui leggo sulla stampa. Non mi sembra quindi che manchi la domanda: c’è da chiedersi perché i taxi non la intercettino. E la risposta non può essere affidata alle restrizioni ed ai divieti, ma deve essere ricercata in una nuova capacità di far fronte alle esigenze del mercato.
In conclusione vorrei però tornare al tema che più mi sta a cuore oggi: possiamo fare di tutto, possiamo adottare qualsiasi soluzione, purché non si addebitino alla collettività i costi di un servizio che viene utilizzato da una minoranza di cittadini.
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Il presidente francese vuole imporre alle imprese che pagheranno dividendi sull’esercizio 2010 di versare un premio anche ai propri dipendenti. È una pessima idea sotto il profilo economico, politico e di bilancio. Perché non cambierà nulla nella retribuzione dei francesi, ma sposterà l’onere delle parti variabili del salario dalle aziende alla collettività. E tutto ciò proprio mentre la Francia presenta a Bruxelles il Piano di stabilità per il periodo 2011-2014, nel quale si impegna a un maggior rigore di bilancio.
L’aumento delle tariffe dei taxi a Roma si è trasformato in un pasticcio e la soluzione che si prospetta è la peggiore possibile. Perché una parte dei costi ricadrebbe sulla collettività, ovvero anche su chi mai usufruisce del servizio. Non è solo una scelta ingiusta e iniqua, rischia anche di alterare in modo grave il mercato del trasporto pubblico non di linea e di dare il via a nuovi contenziosi legali. Ma quello che più preoccupa è che nessuna forza politica si oppone in modo esplicito alla manovra, come se i soldi pubblici non fossero soldi dei cittadini.
L’alfabetizzazione finanziaria dei giovani è un problema serio. Ed è la scuola che se ne deve occupare. In primo luogo, perché la famiglia non appare oggi preparata a fornire alle nuove generazioni un supporto educativo completo in questo ambito. Ma anche perché si registra un crescente interesse verso l’economia e la finanza tra i ragazzi che partecipano a progetti con modalità didattiche basate sulla partecipazione attiva e su esperienze percepite come reali. I risultati di una ricerca sui preadolescenti.
Le voci ufficiali del turismo italiano glissano sui risultati preoccupanti della domanda interna e magnificano le sorti dell’export. Ma le cose non stanno propriamente così: nel 2010 i turisti stranieri hanno fatto registrare cali molto consistenti con perdite economiche per quasi 1,3 miliardi di euro. Mancano all’appello quegli europei che per anni hanno fatto la fortuna di molte località italiane, anche minori. E i tempi della crescita numerica e culturale del nuovo turismo globale rischiano di essere troppo lenti.
Cari lettori,
300 parole è una rubrica in cui i redattori de lavoce.info esprimono punti di vista con lo stile talvolta polemico e caustico – che caratterizza i corsivi della carta stampata. Può dunque rientrare in questo stile luso di qualche metafora forte. Se vestale ancorché usato ironicamente- è tutto fuorché un termine con accezione negativa, il termine pasdaran, come nota l’accorto lettore , individua un combattente guidato dalla fede. Appunto.
Ma l’aspetto più rilevante è un altro: ancora una volta notiamo come il tema dell’acqua pubblica tenda immancabilmente a scatenare reazioni viscerali. Proprio per questo lavoce.info ha organizzato, in occasione del Festival delleconomia di Trento, una serie di pro e contro, uno dei quali, il 4 giugno a Rovereto avrà come titolo: La gestione dellacqua deve essere totalmente pubblica?
In questoccasione i partecipanti allevento verranno chiamati a votare prima e dopo il confronto tra i relatori. Sarà un esperimento interessante per valutare il valore aggiunto del Festival nel cambiare le percezioni.
Tra i relatori vi sarò anche Ugo Mattei. Dispiace che giudichi il nostro tono aggressivo e insolente. Gli assicuriamo che il confronto in occasione del Festival non lo sarà, anzi sarà caratterizzato dallapproccio scientifico che sempre accompagna gli articoli de lavoce e il festival stesso.
Proprio su queste colonne, infatti, abbiamo già ampiamente trattato largomento (si veda gli articoli di Scarpa, Ponti, Massarutto) evidenziando in più occasioni come il dibattito mediatico sulla cosiddetta "privatizzazione dell’acqua" sia stato fuorviante visto che il 23 bis del decreto legge 25 giugno 2008 n.112 prevede cambi il meccanismo di affidamento e non la proprietà dell’impresa.
Tuttavia l’argomento dell’intervento non era questo, bensì le conseguenze su settori, come quello dei trasporti locali, che con l’acqua nulla hanno che fare e che verrebbero toccati dall’eventuale abrogazione del 23 bis
Nel 2012 scade la deroga che ha permesso alle banche italiane di classificare tra i crediti in default quelli non rimborsati dalle imprese da più di 180 giorni. Il nuovo regime avrà riflessi sul costo dei finanziamenti bancari alle aziende, ma nessuno ne parla. Forse perché si spera in una proroga dell’ultimo minuto. Andrebbe invece effettuata una ricognizione del fenomeno e della parte che potrebbe essere gestita attraverso ristrutturazioni del debito. E si dovrebbe provvedere alla promozione di buone pratiche per la riduzione strutturale dei ritardi nei pagamenti.
I mercati finanziari sono importanti per lo sviluppo economico. Ma un settore finanziario troppo grande ha conseguenze negative sulla crescita. Come dimostra il fatto che in tutti i paesi che soffrono di più le conseguenze della crisi i prestiti al settore privato oltrepassano il 110 per cento del Pil. Necessaria dunque una regolamentazione che allontani rischi simili: standard di credito più restrittivi potrebbero portare benefici in termini di stabilità e crescita economica.
Il rapporto preliminare della commissione sul sistema bancario istituita dal governo britannico rappresenta un punto di svolta importante non solo per il Regno Unito, ma per tutta l’Unione Europea. In primo luogo, introduce una separazione tra regolamentazione per le attività retail e attività wholesale delle banche. Individua poi nelle politiche sulla concorrenza la componente essenziale della riforma del sistema bancario. In attesa che l’Europa si dia finalmente le giuste istituzioni per la vigilanza sul settore.
Il governo sostiene di aver rafforzato il ruolo della famiglia. E infatti ricadono sulle famiglie italiane tutti i problemi di cui, nella maggior parte dei paesi, si fa carico lo stato sociale: dalla povertà alla dipendenza in età anziana, dalla disoccupazione giovanile alla cura dei bambini piccoli quando la madre lavora. Le timide proposte innovative del Piano nazionale per la famiglia sono rimaste lettera morta. Senza contare che una disoccupazione giovanile vicina al 30 per cento impedisce ai giovani di crearsi una propria famiglia. Le dimissioni delle lavoratrici madri.