Grazie a tutte le lettrici ed a tutti i lettori. Compresi quelli che mi hanno scritto personalmente di persona.
Sulla Torino-Lione cito qualche numero. Alla fine degli anni Settanta la tratta Bussoleno-Salbertrand della attuale linea era a binario unico: 23 km con pendenze dal 27 al 30 per mille, che per i treni è tantissimo. I merci andavano su spesso in tripla trazione (due locomotive in testa e una in coda, senza radio né telefono, solo coi fischi). E passavano 10 Milioni di tonnellate di merci all’anno, adesso con la linea a due binari e pendenze più agevoli (26 per mille) siamo sugli 8 milioni. Sul Gottardo, quando si è deciso di progettare ( e poi di sottoporre a ben due referendum) la Galleria di base, passavano 26 milioni di tonnellate all’anno (di cui circa 4 milioni di traffico interno). Adesso sono poco meno. Sul Brennero siamo sui 6 milioni. Un recente studio commissionato da "Iniziativa da las Alps" alla società Metron di Brugg ha messo comunque in luce che senza provvedimenti di accompagnamento di tipo economico-normativo, solo il 5% o poco più dell’attuale traffico stradale attraverso il Tunnel del Gottardo passerà sui treni. Infatti il guadagno di tempo è stimato in circa 1 ora, che rispetto alle 6-12 ore che un carro tradizionale passa in uno scalo di smistamento è irrilevante. Le diminuzioni di costo di esercizio per le imprese ferroviarie saranno sensibili solo con il completamento del tunnel sotto il Monte Ceneri (Lugano-Bellinzona) e del Tunnel dello Zimmerberg (Zug-Thalwil) perché renderanno superfluo l’uso della doppia trazione oppure, in alternativa, circoleranno treni molto più pesanti con due locomotive.
Sugli investimenti infrastrutturali per le merci cito Union Pacific (quotata in borsa). Nei primi anni Ottanta, per cercare di contrastare il declino del traffico merci per ferrovia, UP studiò due progetti alternativi: portare la velocità massima dei treni merci da 60 miglia/ora (96 km/h) a 100 miglia/ora (161 km/h) su alcune direttrici transcontinentali oppure "alzare la bassa velocità " (15-30 miglia/ora) nei nodi e nei grandi scali, dove i treni impiegavano molte decine di minuti per entrare/uscire o semplicemente per transitare, con in più alcuni interventi mirati di tratti a doppio e triplo binario. Sembrerà strano a molti, ma il costo dell’intervento sulla bassa velocità era di un fattore 10 inferiore a quello sull’alta, dava risultati in meno tempo e, soprattutto, aumentava la velocità del sistema di un fattore molto più alto rispetto alle 100 miglia/ora. Così si è fatto, e UP è una delle "7 sorelle ferroviarie" che svolgono il traffico merci in Nordamerica, dopo avere assorbito MP, MKT, CNW, SP. La taglia media di un treno merci nel Nordamerica è di 8.000 tonnellate (da noi 800) ed è lungo almeno un miglio (1600 metri, da noi 400).
Sugli incentivi per i raccordi. Non so quante segherie in Molise vogliano il raccordo. Però non mi risulta che ANAS paghi le strade per le fabbriche. Se un imprenditore vuole il binario in fabbrica è giusto che lo paghi fino a raggiungere la ferrovia più vicina, eventualmente anche lo scambio. Ma è delirante pretendere che debba pagare tutti i segnali e le modifiche (anche cervellotiche) che RFI vuole per i propri impianti, compresi km e km di nuovo binario in affiancamento alla linea o la soppressione di Passaggi a Livello. Se poi il traffico del raccordato raggiunge livelli insostenibili per un raccordo tradizionale, RFI deve anticipare i costi dei miglioramenti dell’allacciamento e farli scontare in un congruo numero di anni (almeno 20) con il pedaggio per accedere alla fabbrica. Nel frattempo siamo in attesa che il Consiglio di Stato si pronunci sulla legittimità del DPCM 7/7/2009 "Direttive a RFI sul trasferimento di Impianti merci a Trenitalia" MAI PUBBLICATO IN GU ed impugnato da Fercargo, l’associazione degli operatori privati, che ha fatto avviare anche una procedura di pre-infrazione della Commissione.
Sugli stipendi dei ferrovieri (FS e non, anche se ho alcuni numeri) preferirei non pronunciarmi, ma segnalo che i dipendenti di Omnitel NON avevano il contratto dei telefonici, ma quello dei metalmeccanici. Forse a qualcuno fa schifo che i costi telefonici in 10 anni siano calati del 65%? E sono certo che i nuovi operatori "elettrici" non applicano quello di ENEL, e nemmeno quello Federgasacqua. Non mi sembra che i relativi dipendenti stiano morendo di fame. I concessionari privati delle "Autolinee Ministeriali" applicano il contratto degli autoferrotranvieri e non lavorano certo in perdita, anzi.
Sul Ponte sullo Stretto osservo un particolare. Il pericolo più grave per una costruzione del gener (ferroviariamente sarebbe un unicum, non esistono ponti ferroviari sospesi così lunghi, credo al massimo arrivino ad un quarto della lunghezza) è la stabilità aeroelastica, non quella sismica. Orbene le simulazioni le ha fatte un noto professore del Politecnico di Milano, che fu anche perito del PM nel disastro di Piacenza del 12 gennaio 1997. Dato che in quel procedimento ero perito di parte lesa, ricordo benissimo che il suddetto prof. fornì al PM una simulazione alcalcolatore del ribaltamento del Pendolino che faceva alcune semplificazioni più che discutibili. Chiesi al pm tramite l’avvocato di avere copia del programma di simulazione, ma il prof. si rifiutò di consegnarla adducendo motivi di "segreto professionale e copyright". Da quella volta evito accuratamente la prima carrozza dei Pendolini.
Sugli incidenti stradali ricordo che la maggior parte avviene su strade ordinarie extraurbane, al secondo posto le strade urbane. Avere introdotto a tappeto il cd "Tutor" in autostrada ha fatto calare verticalmente il numero di incidenti e di morti su quelle infrastrutture. Il preconsuntivo dei morti del 2010 mi risulta sui 4000 per tutta Italia, erano 4237 nel 2009, di cui 667 pedoni e circa 600 ciclisti.
Sull’a.d. del gruppo FS ricordo che è anche sindaco di un Comune del Reatino, evidentemente cercava uno svago per il fine-settimana. Lo conobbi nella seconda metà degli anni Ottanta quando era Segretario Regionale della Filt-CGIL dell’Emilia-Romagna. Mi fece una strana impressione: in un ufficio pieno di carte e volumi, anche sulla scrivania, era tirato a lucido in doppiopetto blu scuro e cravatta di marca. Molto strano come sindacalista, pensai, soprattutto di ferrovieri. E non mi sembrò molto preparato sulla storia delle ferrovie e sulle condizioni operative dell’esercizio.
Sui macchinisti di NTV (auguro un successo clamoroso a entrambi) ricordo che questa impresa ha alle spalle ingenti capitali e che ha potuto usufruire per la formazione dei propri dipendenti di istruttori accreditati e di locomotive di Nordcargo (gruppo LeNord) nonché di un congruo numero di istruttori e di macchinisti pensionati del gruppo FS o congedati dal Genio Ferrovieri. Come d’altronde fatto da quasi tutte le nuove imprese. Non credo che sia necessario istruire un macchinista per 18 mesi. Il regolamento segnali è molto più semplice del codice della strada e se in tre mesi fate la patente E e potete guidare un Tir di 44 ton o un autobus snodato con 150 persone nel traffico urbano, onestamente non vedo perché ci sia questa discriminazione. Inoltre la patente E vale in tutta Europa, la patente F (ferroviaria) ancora no, anche se la UE lo vuole almeno per le linee a standard ETCS. Ovviamente RFI ha attrezzato solo le linee AV con l’ETCS, sulle tradizionali niente, nemmeno lungo i corridoi (Assi) della rete Transeuropea. Sospetto che anche su questo corriamo senza freni verso una procedura di infrazione. Una più una meno ormai…
Sulle stazioni con capostazione segnalo che io parlavo di scali che fanno da 600.000 a 1 Milione di tonnellate all’anno. In una stazione che faceva tre carri al giorno ci sono "nato", ricordo che nei primi anni Ottanta c’erano 4 ferrovieri: capostazione, deviatore, assistente e capo gestione; a volte i carri erano anche 5 o 6, non si faceva marketing, si curavano le aiuole. Non rimpiango questa ferrovia. Ma oggi lo scalo è un parcheggio, la stazione è telecomandata da 200 km di distanza, la biglietteria è aperta 6 ore al giorno nei feriali. Se volete spedire o ricevere per ferrovia ( fabbriche ce ne sono molte, anche una di fama internazionale, la LEITNER) dovete andare a 70 km di distanza. Se fate traffico intermodale dovete andare a 120 km. Ma negli anni Sessanta andavano via da lì treni interi di trattori. E di legname da costruzione.
Sul Certificato di Sicurezza non so come spiegarlo in maniera elementare: all’estero è UNICO per tutta la rete di un Gestore, dato che il Regolamento Segnali è UNICO per tutta la rete così come il Regolamento Circolazione Treni e tutti gli altri. In Italia no, e la sicurezza non c’entra niente. ANSF ha ereditato da RFI una serie zeppe ridicole quando non farsesche che una qualsiasi autorità Antitrust seria avrebbe sottoposto a sanzioni draconiane, un’autorità seria appunto. Sulla sicurezza dopo Viareggio segnalo che nessun proprietario di carri in Europa ha adottato provvedimenti come quello citato. Il problema della rottura degli assi è vecchio come la ferrovia, e comunque ancora non sappiamo COSA ha bucato la cisterna (ne sono sviate 9, 5 si sono ribaltate ed una sola si è bucata). Da tempo esistono apparecchiature "portatili" per il controllo non distruttivo degli assili (a ultrasuoni), ma spesso sono buttate in un angolo, e poi faceva acqua il controllo di qualità in acciaieria. Il problema però non sono i treni, è il GPL. Nel 1974 in Spagna una camion con rimorchio carico di GPL si ribaltò su una strada costiera vicino ad un campeggio, ci furono se non ricordo male quasi 200 morti. Ma il GPL ha continuato a girare impunemente ovunque.
Infine credo che il trasporto di merci, sia esso su camion, aereo, nave, carretto o treno sia un fenomeno economico ed in quanto tale debba rispettare determinate regole a garanzia della salute pubblica e della concorrenza, dopodiché vinca il migliore. Non possiamo tornare ai tempi della DDR o della Romania di Ceaucescu (io le ho viste) dove tutto andava per ferrovia, anche per 20 km. Non poteva durare.
Non mi scandalizzo se qualcuno vuole fare i soldi con le merci per ferrovia. Però sono indignato che qualcun altro distrugga un patrimonio costruito dai nostri bisnonni, nonni e padri pur di non metterlo a disposizione dei concorrenti. Non solo perché si spaccia di sinistra e perché certi ambienti della sinistra continuano a coprirlo.
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Un confronto tra i canoni d’affitto dichiarati dal Pio Albergo Trivulzio con quanto indicato dall’Agenzia del territorio per le corrispondenti zone di Milano rivela sconti superiori anche al 40 per cento. Insomma, mediamente il patrimonio immobiliare dell’ente ha reso molto meno di quanto avrebbe potuto, con un danno per le sue finalità statutarie. Tanto più che le cifre pattuite non sembrano riconducibili a una logica economica comprensibile e a una gestione coerente nel corso del tempo. Come il commissario straordinario dovrebbe affrontare la questione. E cosa chiedere agli inquilini.
Un’analisi dei test di ingresso alla facoltà di economia dell’università di Torino evidenzia come i risultati degli studenti varino in funzione del tipo di scuola di provenienza: liceo o istituto tecnico oppure scuola pubblica o privata. Ma non solo: anche a parità di percorso seguito, si registrano differenze tra le singole scuole superiori frequentate. È necessario dunque potenziare l’applicazione di strumenti di valutazione standardizzati dell’apprendimento degli studenti per identificare le differenze qualitative fra scuole. E forse pensare a una gestione regionale dell’istruzione.
Il 17 marzo l’Italia celebra la festa dell’unità nazionale, con un corollario di polemiche sui costi che la sua istituzione comporterebbe. Ma una stima mostra che se è vero che le ore lavorate annue rispondono al numero di feste effettive, l’effetto è minore di quanto ci si aspetterebbe: un giorno di festa in più si traduce in una riduzione di 2,5 ore lavorate all’anno. Invece, la correlazione tra feste effettive e produzione industriale non è statisticamente diversa da zero. I benefici di una festa che potrebbe contribuire a cementare un’idea comune di futuro.
Oggi la neuroeconomia cerca di investigare direttamente quali siano i meccanismi neuronali che entrano in gioco quando l’essere umano prende decisioni di carattere economico. E mostra che ogni nostra decisione coinvolge il lato emozionale: non è possibile distinguere tra azioni in cui soltanto la deliberazione consapevole razionale ha un ruolo e altre in cui entrano in gioco le emozioni, esiste invece una profonda commistione tra le due dimensioni. Quali sono le conseguenze per la teoria economica classica. E un approccio nuovo per il futuro.
Ringrazio tutti i lettori per i numerosi commenti, che mi suggeriscono per brevità di concentrarmi solo su due argomenti, per rinviare gli altri a prossimi approfondimenti.
I viaggi di istruzione sono un segmento molto importante del mercato turistico, anche se non è agevole quantificarlo. Certamente, però, i tagli agli insegnanti-accompagnatori lo danneggeranno ulteriormente; mentre, come noto, i costi già da oggi li sostengono le famiglie. Come pure quelli delle attività extrascolastiche, peraltro essenziali, tra cui la musica e lo sport (confrontare i costi della quota di una qualunque società sportiva con il risibile sconto fiscale che se ne può ricavare!).
Eppure sono convinto che non siano attività voluttuarie, né il viaggio né la musica né lo sport. Come ha affermato il professor Roberto Vecchioni a “Che tempo che fa” il 27 febbraio 2011, la scuola e le materie di studio non sono solo nozioni o conoscenze, ma “simulazioni di vita adulta” condotte in ambito protetto: quanto di più utile all’educazione dei ragazzi.
Quanto al turismo culturale, non entro nel merito della necessità di tutelare il Patrimonio, che come noto è sancita dalla Costituzione, oltre che sembrare ovvia a quasi tutti gli Italiani.
Ma mi appassiona la valorizzazione turistica dei beni, degli eventi, della cultura materiale diffusa. Sono convinto che una delle poche fonti di ricavo sia proprio questa, a patto che la si sappia “mettere in valore” e misurare.
I turisti sono uno straordinario fruitore dei beni culturali, in quanto oltre che pagare il biglietto (quando c’è), si comportano da cittadini temporanei: mangiano, dormono, viaggiano, comprano, telefonano, ecc.
Il beneficio della corretta valorizzazione della cultura non sta solo nelle biglietterie dei siti, dei musei, dei teatri: sta nel calcolo dell’impatto dei turisti “culturali” sui territori e sull’economia nazionale.
Ma, su questo, siamo ancora straordinariamente sguarniti: nel capire, nel vedere, e soprattutto nel contare.
Ulteriori commenti, commuoventi e professionali mi fanno notare che in Italia mancano diverse cose e tutte importantissime. Mi limiterò ad elencarne tre.
Innanzi tutto manca una politica di settore, che sarebbe poi una centralità condivisa. Politica è il saper riconoscere tutti che il turismo è una attività importante, centrale, strategica, da perseguire e non solo sfruttare occasionalmente. In molte zone del Paese questa politica c’è, questa centralità è chiara e rivendicata, e i risultati si vedono. A livello nazionale le cose stanno diversamente, anche perché “per legge” non esiste una Autorità centrale preposta e riconosciuta. Così non riusciamo a fare né sistema né cultura gestionale.
La seconda grave carenza è l’orientamento al cliente, anche questo molto variegato da zona a zona, da impresa a impresa. Sembra quasi che ci si debba occupare dei clienti solo quando le cose vanno male, e gli ospiti non si fanno più vedere. Ma la soddisfazione del cliente è un comportamento strategico fondamentale, un fatto di civiltà prima ancora che una leva di marketing insostituibile proprio nel turismo, dove la fidelizzazione ed il passaparola restano le leve di marketing largamente più efficaci.
Infine, manca nella maggior parte delle imprese un management dei prezzi e dei ricavi: è ridicolo stampare i prezzi massimi dietro la porta della camera dÂ’albergo, quando magari poi le contrattazioni e le proposte dei portali viaggiano su livelli che sono la metà o anche un quarto del listino. Una politica di prezzi elastici orientata al cliente da un lato, e alla redditività delle imprese dallÂ’altro, non potrebbe che favorire un migliore equilibrio del mercato, su livelli di scambi più alti, e con maggiore soddisfazione reciproca e “sociale”.     Â
Il dibattito sul federalismo fiscale si è concentrato su quante risorse sono necessarie per coprire a costi efficienti i compiti attribuiti a ogni livello di governo e su quali devono essere le fonti di finanziamento. Poca attenzione si è prestata alla capacità di risposta della macchina amministrativa che dovrà gestire il cambiamento.
COMUNI IN CAMPO CONTRO LÂ’EVASIONE
Il recupero di competitività amministrativa è, invece, il tema centrale. In assenza di strutture capaci di assecondare l’applicazione dell’autonomia tributaria, si corre il rischio che la leva fiscale si riduca alla manovra delle aliquote e non si ampli la base imponibile, con sofferenza degli equilibri e della flessibilità di bilancio. Una delle principali fonti di finanziamento deve essere il recupero dell’evasione. Va letta in questa direzione la disposizione dell’articolo 1 del decreto legge n. 203/05 che incentiva la partecipazione dei comuni all’azione di contrasto all’evasione dei tributi erariali diretti e indiretti, con il riconoscimento di una quota pari al 33 per cento delle maggiori somme riscosse a titolo definitivo a seguito di segnalazioni qualificate di elementi evasivi ed elusivi all’Agenzia delle entrate. Peraltro, va sottolineato che l’incentivo del 33 per cento si aggiunge al maggior recupero di addizionali e compartecipazioni come risultato degli accertamenti e di una più alta autoliquidazione da effetto deterrenza.
L’importanza della capacità di governance del territorio fiscale e della collaborazione fra istituzioni è tale che l’incentivo del 33 per cento diventa 50 per cento nel decreto sul federalismo municipale ed è esteso, con lo schema di decreto sui meccanismi sanzionatori e premiali, alle Regioni e alle province che con le loro segnalazioni qualificate consentono il recupero di tributi erariali. Il premio ai comportamenti antievasione si completa con la previsione che i risultati conseguiti in termini di maggior gettito derivante dall’azione di contrasto all’evasione non diminuiscono l’accesso al fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale.
LÂ’ESEMPIO DELLÂ’EMILIA ROMAGNA
Per poter vincere la scommessa dellÂ’alleanza antievasione, lÂ’Agenzia delle entrate dellÂ’Emilia-Romagna e lÂ’Anci regionale hanno messo in atto sinergie operative fra i diversi attori coinvolti:
– sottoscrizione di un accordo quadro Agenzia ed Anci dellÂ’Emilia Romagna per individuare modalità e strumenti in grado di favorire, nel più breve tempo possibile, la concreta partecipazione dei comuni al recupero dellÂ’evasione dei tributi erariali;
– creazione di una task force congiunta con lÂ’Anci con lo scopo di individuare programmi locali di recupero dellÂ’evasione, fornire istruzioni operative ai comuni, elaborare check list per la raccolta dei dati e la predisposizione delle segnalazioni da inviare allÂ’Agenzia delle entrate, aggiornare e standardizzare le metodologie di intervento dei funzionari comunali;
– diffusione di chiari e ben individuati percorsi investigativi,utili a produrre segnalazioni direttamente utilizzabili ai fini di un accertamento;
– attuazione di una specifica attività formativa congiunta;
– organizzazione di una rete di funzionari presso ogni direzione provinciale dellÂ’Agenzia delle entrate, allo scopo di seguire lo sviluppo delle attività accertative, monitorare i risultati, tenere i collegamenti con i capiufficio tributi dei comuni, segnalare o risolvere le problematiche tecniche e operative, evidenziare le pratiche migliori per la diffusione.
Di seguito alcuni dati al 31 dicembre 2010.
Fattispecie accertate
“Fabbricati fantasma” Imponibile |
I comuni hanno segnalato centinaia di immobili non dichiarati, comprese ville di lusso mascherate da fabbricati rurali. Tra gli altri, è stato scoperto un evasore totale possessore di oltre 40 immobili non dichiarati, molti dei quali affittati in nero. |
Cessioni di aree fabbricabili mascherate Imponibile |
È frequente che il trasferimento di terreni a scopo edificatorio – la cui cessione realizza in capo al cedente redditi/plusvalenze tassabili – sia mascherato da cessione di fabbricato (tipicamente ruderi da demolire) o di terreno agricolo, oppure come cessione di quote societarie. La collaborazione con i comuni e in particolare con lÂ’Ufficio tecnico e la polizia municipale ha consentito di evidenziare numerose cessioni di questo tipo. |
 Finti enti non commerciali  Imponibile |
Esempi a)    L’Ufficio commercio di un comune del bolognese ha riscontrato che un’associazione sportiva dilettantistica svolgeva, senza le necessarie autorizzazioni, attività ristorative/agrituristiche e organizzava ricevimenti per cerimonie associando all’Asd unicamente il cliente che richiedeva il servizio. A fronte di tali attività , né l’Asd né le persone che la gestivano hanno mai presentato una dichiarazione fiscale. b)   Durante le ordinarie attività di presidio del territorio, i vigili urbani di un comune della provincia di Ferrara hanno scoperto che un circolo culturale svolgeva l’attività di un vero e proprio ristorante. c)    Un baby parking, sotto le mentite spoglie di associazione senza scopo di lucro, forniva i servizi di un vero asilo nido, senza le necessarie autorizzazioni e totalmente in nero. Con la quota di 700 euro al mese i “soci” del circolo (bambini di età compresa tra 1 e 3 anni) avevano assicurata la permanenza giornaliera, con la cifra supplementare di 6 euro al giorno pranzavano e con l’aggiunta di qualche centinaio di euro potevano anche organizzare le feste di compleanno. d)   Un’associazione per la promozione del gusto era in realtà una scuola di cucina a pagamento e svolgeva anche attività di catering. |
Molti lussi poche imposte Imponibile |
Molti i soggetti segnalati per l’incoerenza fra i redditi dichiarati e la capacità di spesa manifestata (acquisti di immobili, autovetture, esercizi commerciali, conferimenti in denaro, ecc..) |
L’articolo 3 della legge n. 69 del 18 giugno 2009 recita:
“…ogni rinvio ad altre norme contenuto in disposizioni legislative, nonché in regolamenti, decreti o circolari emanati dalla pubblica amministrazione, contestualmente indichi, in forma integrale o in forma sintetica e di chiara comprensione, il testo ovvero la materia alla quale le disposizioni fanno riferimento o il principio, contenuto nelle norme cui si rinvia, che esse intendono richiamare…”.
Riportiamo qui sotto un comma tratto dall’ultimo decreto "milleproroghe". Difficile sostenere che il rinvio alle altre norme sia espresso in “forma sintetica e di chiara comprensione”
Onorevole Calderoli, in qualità di ministro per la Semplificazione normativa, ritiene che la legge da lei promossa venga rispettata? Pensa di fare qualcosa per farla rispettare?
Ringraziamo i lettori per i commenti.
Concordiamo che gli incentivi maggiori dovrebbero venire dal mercato del lavoro, tuttavia quando il mercato del lavoro non premia il merito può essere utile cercare di fornire incentivi alternativi.Â
Qualsiasi sistema teso a incentivare docenti e studenti all’ottenimento di risultati migliori può contribuire ad accrescere le competenze generate dal sistema scolastico. Purtroppo, alcuni meccanismi di incentivazione ai docenti, suggeriti dai lettori, sembrano incontrare la resistenza del sistema scolastico.
"Far studiare gratis i migliori senza guardare al reddito" è un meccanismo simile al sistema di incentivi utilizzato nel nostro esperimento.
Siamo d’accordo con gli interventi dei lettori che i sistemi di incentivazione basati sul miglioramento conseguito possono essere oggetto di distorsione e che quindi sono di difficile implementazione. D’altra parte, è difficile motivare gli studenti più deboli, che si sentono già esclusi, con sistemi che premiano la performance assoluta. Mentre questo può essere un problema minore per l’istruzione universitaria, esso è particolarmente rilevante durante le prime fasi del processo formativo, quando l’attenzione verso i soggetti che partono da condizioni più sfavorevoli deve essere maggiore.
In quanto economisti continuiamo a credere che gli incentivi servano. La ricerca da noi condotta mostra che gli studenti la pensano allo stesso modo. Gli incentivi monetari, come altri tipi di incentivi, sono anche utili per segnalare il valore che viene attributo a certi comportamenti.