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La parola ai numeri: disoccupazione

 

Il disagio occupazionale in Italia non accenna a diminuire. A ottobre il tasso di disoccupazione ha raggiunto il massimo da quando esistono le indagini mensili dell’ISTAT, ovvero dal 2004 (rispetto alle serie storiche trimestrali dal I trimestre 2003 quando la discoccupazione era 9,1%). A questo tasso bisognerebbe aggiungere il numero di persone a tempo pieno le cui prestazioni sono state ridotte a zero ore grazie ai trattamenti di Cassa Integrazione (gli istogrammi nel grafico dividono il totale di ore autorizzate per il numero medio di ore mensili di un lavoratore a tempo pieno). Sommando i due dati si giunge a un indice di disagio occupazionale superiore all’11 per cento.

C’è ancora qualcuno che osa sostenere che la crisi da noi ha avuto solo un modesto impatto sul mercato del lavoro?

Quanto costa salvare le banche

Il caso irlandese mette in luce che il costo dei salvataggi bancari può diventare determinante nel valutare la tenuta dei conti pubblici di un paese. Bisogna quindi saperlo misurare e tenerne conto nel rapporto debito/Pil, anche ai fini del nuovo Patto di stabilità in Europa. Una misurazione a valori di mercato ci mostra che l’Irlanda è il paese europeo nel quale l’onere, implicito nella garanzia di bail out del sistema bancario, è di gran lunga maggiore. L’Italia è quello che sta meglio tra i “periferici”. Ma la Germania è il paese più solido in Europa.

 

Perché il calcio chiude per sciopero

Nella vicenda del rinnovo del contratto dei calciatori, torti e ragioni non stanno da una sola parte. Per esempio, hanno ragione le società sugli allenamenti separati per i fuori rosa. Mentre appaiono corrette le obiezioni dei calciatori alle nuove regole sui trasferimenti. Lo sciopero forse può essere ancora evitato, ma occorre che entrambe le parti siano disposte a fare delle concessioni. Ma se sciopero sarà, come sarà calcolata la trattenuta sullo stipendio? Si possono considerare questi atleti alla stregua dei lavoratori?

 

Perché non serve il vincolo sul debito

L’accordo tra i ministri dell’Economia e delle Finanze dei paesi dell’area euro sulla riforma del Patto di stabilità e crescita ribadisce che sarà rafforzato non solo il vincolo sul deficit ma anche quello sul debito. Che però sono legati fra loro. E dunque una adeguata diminuzione del primo è condizione sufficiente per ridurre il secondo. Mentre un irrigidimento del vincolo sul debito potrebbe avere diversi effetti negativi e non serve neanche a rassicurare i mercati.

 

Servizi, motore dello sviluppo

Il rilancio dell’economia italiana è possibile solo con lo sviluppo dei servizi, che crescono più dell’industria e in Italia sono sottosviluppati. E’ però necessario superare i pregiudizi sfavorevoli verso il settore e adottare politiche specifiche, in particolare quelle che favoriscono la crescita dimensionale delle imprese e la lotta al sommerso che distorce la concorrenza. Solo il diffondersi di una cultura delle regole è in grado di realizzare questa trasformazione.

 

Grandi opere, un pezzo per volta

Ventisette opere prioritarie nell’ultimo Allegato infrastrutture alla Finanziaria 2011. Ovviamente, mancano le risorse per realizzarle. Dunque si procederà per lotti costruttivi. Meglio sarebbe progettare ogni grande opera per fasi successive, correlate al crescere reale della domanda e alla disponibilità finanziaria garantita per ogni lotto di cui si avviano i cantieri. Altrimenti avremo continui “stop and go” determinati dalle risorse disponibili ogni anno, con opere mai utilizzabili fino all’inaugurazione finale, quando forse saranno tecnologicamente obsolete.

 

Il federalismo? Meglio a velocità variabile

Da una parte il rischio che il prossimo Parlamento si trasformi in un’arena di rivendicazioni territoriali contrapposte. Dall’altra, nonostante la retorica federalista, un’azione di governo che deprime l’autonomia degli enti locali. Una buona idea è allora il federalismo a velocità variabile. Diamo maggiore autonomia, anche sul piano delle entrate, ai governi locali meritevoli di fiducia sulla base di parametri costruiti sui comportamenti passati. È un modo per incentivare tutti a migliorare, che in più permette di superare la frustrazione dei territori più efficienti.

 

La risposta ai commenti

Nei commenti dei lettori sono state poste due questioni inerenti il diritto allo studio universitario: l’’età per accedere alla borsa di studio, l’’importo di borsa relazionato al costo della vita.
In Italia non esiste un limite di età per beneficiare della borsa di studio ma i criteri che determinano l’’idoneità sono esclusivamente due: quello economico, avere un valore ISEE inferiore ad una certa soglia, e quello di merito, acquisire un determinato numero di crediti in relazione all’’anno di iscrizione. Ne consegue che quando si parla di borsisti non necessariamente si parla di “sbarbatelli”. In Piemonte, ad esempio, il 2% dei borsisti ha oltre 35 anni; il borsista più anziano ha 71 anni.
Differentemente, in Francia e Germania hanno diritto al sostegno economico gli studenti che non abbiano compiuto, rispettivamente, 28 anni e 30 anni, sebbene in Germania sia in discussione l’’innalzamento del limite di età a 35 anni.
Anche questo dovrebbe essere un argomento da prendere in esame in sede di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni.
In merito al commento che giustificherebbe le differenziazioni regionali in ragione sia della competenza regionale in materia di diritto allo studio sia dei differenti costi di vita, il discorso è più articolato e difficile da sintetizzare in poche righe. In primo luogo, il “riformato” Titolo V della Costituzione stabilisce che l’’autonomia legislativa delle Regioni è limitata dalla competenza esclusiva del legislatore statale, cui spetta definire i livelli essenziali delle prestazioni per garantire nel paese l’’uniformità delle condizioni di vita. In attesa che avvenga tale definizione vige la normativa attuale, che da talune Regioni non viene rispettata quando fissano degli importi di borsa inferiori al livello minimo previsto, e che presenta il limite di non specificare quali costi la borsa intenda coprire.
Ne consegue che gli importi differiscono da regione a regione senza che vi sia un fondamento oggettivo a tali differenze. Un esempio su tutti: l’’importo massimo di borsa dello studente in sede è pari a 2.430 euro in Puglia, a 2.510 euro in Lombardia, a 2.083 euro in Piemonte ed a 1.000 euro in Toscana: è evidente che questi non riflettono i diversi costi di mantenimento. L’’importo massimo è poi ridotto in base a differenti criteri, così come è diverso l’’importo detratto dalla borsa dello studente fuori sede beneficiario di posto letto, da 1.500 euro a 2.200 euro, e quello detratto per il servizio ristorativo. La difformità non poggia su motivi fondati.
Sarebbe necessario che lo Stato nel riformare la materia del diritto allo studio esplicitasse quali costi di mantenimento la borsa di studio debba sostenere, e conseguentemente il metodo di calcolo dell’’importo di borsa che dovrebbe essere lo stesso per tutti gli studenti, come accade nella federale Germania. Regole certe, chiare e uguali per tutti su tutto il territorio nazionale probabilmente favorirebbero anche la diffusione di informazione sulla possibilità di sostegno: le analisi condotte in Piemonte dimostrano che vi è circa un 40% di studenti iscritti al primo anno che non presenta domanda di borsa pur avendone diritto.

Nebbia in comune sull’autonomia tributaria

Lo schema di decreto legislativo sul federalismo fiscale municipale andrà a regime solo nel 2014. Nella fase transitoria (2011-2013) la devoluzione dei tributi erariali immobiliari viene controbilanciata dalla eliminazione di gran parte dei trasferimenti statali ai Comuni in una misura che però non è stata ancora concordata. Sarebbe bene avere presto un quadro più preciso dei numeri in gioco e delle regole da seguire per garantire più certezze per le politiche di bilancio dei Comuni.

 

L’università dell’incertezza

La riforma dell’università , contestata da studenti, ricercatori e opposizioni, sembra ormai l’ultima bandiera di un governo in difficoltà. Ma richiede decine di decreti attuativi e tempi lunghi per la sua applicazione. E dunque, se approvata, finirà per aggiungere un’ulteriore dose di incertezza nel mondo universitario. Intanto, sui finanziamenti per l’anno in corso e per il futuro regna la confusione, i concorsi sono bloccati e la valutazione della ricerca è ferma al 2001-2003.

 

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