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MERCATO INTERNO AL PALO. COME LE RIFORME

Il mercato interno che stenta a riprendersi dalla crisi è l’ostacolo più rilevante per l’adozione delle riforme per crescere di cui tanto si parla. In un’economia debole diventa salato il costo di ricompensare i perdenti. Che sono numericamente molto maggiori rispetto a tre anni fa. Se non si condivide questa consapevolezza, si finisce per non capire perché le riforme rimangano sempre al palo.

IL CAPITALISMO DI DON RODRIGO

Se il modello è la legge francese sugli investimenti esteri nei settori strategici, quella che Tremonti si accinge a proporre non servirà a fermare la scalata di Lactalis a Parmalat. E d’altra parte talvolta non c’è neanche bisogno di una legge. Se ogni impresa ha bisogno giornalmente di autorizzazioni complesse, date in modo non sempre trasparente, e se le commesse pubbliche sono una fonte importante di ricavi, allora lo Stato di fatto può ricattare le aziende.

PROVE DI NUOVA GOVERNANCE EUROPEA

L’ultimo Consiglio Europeo potrebbe segnare una svolta importante nella riforma della governance economica europea, sebbene rimangano ancora rilevanti questioni da chiarire. Il nuovo Patto di stabilità richiederà un aggiustamento impegnativo all’Italia. Auspicabile una maggiore trasparenza sugli “altri fattori rilevanti” da considerare nel valutare il debito pubblico, coinvolgendo organismi tecnici indipendenti. Positiva l’estensione della vigilanza europea agli squilibri macroeconomici. Il futuro Esm avrà una governance politica e procedure onerose.

SE È AUTOMATICO NON È EFFICACE

Lo scorso mese, il Consiglio dei ministri ha discusso il decreto legislativo per la riforma degli incentivi alle imprese. Il massiccio ricorso a provvedimenti automatici, in un contesto di risorse scarse quale quello italiano, desta notevoli perplessità. Meglio sarebbe puntare su strumenti selettivi che, se ben gestiti, segnalano a investitori privati la bontà dei progetti delle imprese finanziate. Recenti studi svolti presso il Politecnico di Milano sulle giovani imprese italiane operanti nei settori ad alta tecnologia confermano questa tesi.

Che ci azzecca la benzina con la cultura?

Per compensare la rinuncia ai tagli alla cultura, il governo ha deciso di inasprire la tassazione sui carburanti. Tre le principali obiezioni al provvedimento: si introducono nuove tasse senza tener conto del grado complessivo di distorsione del nostro sistema fiscale. Si tassano benzina e gasolio solo per fare cassa. L’aggravio e il guadagno d’entrata per lo Stato è superiore a quello indicato, perché l’aumento riguarda la componente di accisa, che va ad aggiungersi al prezzo industriale, e su questa somma si calcola l’Iva per arrivare al prezzo alla pompa.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

UNA NUOVA RISPOSTA DEGLI AUTORI

Desideriamo ringraziare i lettori dei commenti ricevuti che ci hanno sollecitato nuove riflessioni.
A differenza dei fiaccherai che dovevano far riposare il cavallo (e il cocchiere) per un certo numero di ore al giorno, i tassisti (che sono i loro successori per quanto riguarda gli assetti regolatori) hanno  tutto l’interesse a sfruttare il loro bene capitale (l’auto) 24 ore al giorno (o per lo meno tanto quanto trovano conveniente). Il problema è che  il valore dell’auto decresce col chilometraggio e con l’età. Vincolarne l’uso a un numero prefissato di ore giornaliere tende ad aumentare i prezzi per gli utenti dei servizi di taxi, dovendo i costi fissi essere spalmati su un fatturato più basso. 
Il superamento della licenza individuale separa la proprietà dell’auto dall’autista e favorisce un più intenso sfruttamento del bene capitale costoso (suddividendo la giornata di guida tra una pluralità di autisti). Tali evoluzioni non hanno effetti sulla qualità del servizio che dipende dal controllo esercitato dai Comuni sulle caratteristiche e sulle conoscenze (stradali) degli autisti. Peraltro eliminare lÂ’obbligo della licenza individuale, non conduce alla sua scomparsa, ma, come avviene per esempio nella distribuzione commerciale, consente la coesistenza di strutture organizzative diversificate e in grado di servire clientele di tipologie diverse.
In ogni caso, anche con assetti di mercato meno irrigiditi dovrebbe essere mantenuto a tutela degli utenti il controllo sulle tariffe massime, lasciando liberi i tassisti di abbassare le tariffe se lo desiderano. Relativamente agli altri obblighi di servizio pubblico (servizio notturno o festivo per esempio), essi potrebbero essere gestiti attraverso opportuni sventagliamenti tariffari.
In relazione al numero ottimale di licenze, la teoria economica sostiene che, non essendoci un costo (né privato né sociale) associato all’emissione  della licenza, il suo valore di mercato dovrebbe essere prossimo allo zero. Ne consegue che un valore della licenza di centinaia di migliaia di euro è una misura dell’inefficienza del mercato innescata dalla regolazione. In Irlanda, per esempio, a seguito della liberalizzazione, una licenza di taxi a Dublino era passata da circa 150000 EUR a 30000.
In Irlanda la liberalizzazione ha condotto a vantaggio degli utenti a riduzioni delle tariffe e, soprattutto, dei tempi di attesa. Tuttavia i tassisti esistenti rischiavano di subire perdite considerevoli come conseguenza della riduzione di valore della licenza, indebolendo la “protezione assicurativa” che il possesso della licenza garantiva loro. Per evitarlo, l’aumento del numero delle licenze, ottenuto concedendo gratuitamente a ciascun tassista una licenza in più e poi liberalizzando il mercato, è stato  accompagnato da interventi di sostegno per rimborsare  i tassisti più anziani delle perdite in conto capitale subite. Si è trattato di provvedimenti essenziali per il successo e l’accettazione della riforma.
In questo senso, la famosa lenzuolata di Bersani aveva permesso che i Comuni mettessero all’asta le nuove licenze, con ristorno di parte del ricavato a favore dei tassisti esistenti per compensarli della riduzione del valore delle loro vecchie licenze. Ricordiamo la fiera opposizione delle organizzazioni dei tassisti e il mancato utilizzo della possibilità offerta dalla norma da parte delle amministrazioni comunali.

 

LA RISPOSTA DEGLI AUTORI – 1 MARZO

I tassisti forniscono un servizio pubblico. Non sono un’associazione a delinquere. Il termine non doveva essere usato. Si tratta di una categoria in difficoltà che, al calare dei ricavi e del chilometraggio, cerca di difendere il proprio reddito reclamando un aumento delle tariffe. L’articolo sostiene che in tali circostanze l’aumento dei prezzi è una risposta miope che rischia di ridurre ulteriormente ricavi e profitti. All’aumentare dei prezzi infatti il chilometraggio diminuirà  ancora ed è un’illusione ritenere che esso abbia raggiunto il fondo. Una riduzione dei prezzi, peraltro la risposta di mercato agli eccessi di offerta,  potrebbe risolvere il problema, rendendo il servizio taxi  più attraente per tanti utenti, già oggi scoraggiati dalle tariffe elevate. L’articolo intendeva essere a favore dei tassisti romani, non contro di loro.
Molti commenti ricevuti riguardano la  liberalizzazione del servizio taxi, questione che non è stata affrontata nel nostro scritto. E’ utile ricordare al riguardo che ogni liberalizzazione del servizio taxi deve quanto meno:  1) condurre al superamento dell’individualità della licenza e consentire la nascita e la crescita di società di taxi; 2)  considerare l’importanza sociale di rimborsare i tassisti, per lo meno in parte e probabilmente solo i più anziani, della corrispondente riduzione di valore delle licenze. Le caratteristiche del servizio richiedono in ogni caso e a beneficio degli utenti una qualche forma di controllo amministrativo sulle tariffe.

CHI HA PAURA DELLE POLIZZE ROSA?

Una sentenza della Corte di giustizia europea impone anche in Italia il divieto di discriminazione tra uomini e donne nelle assicurazioni. Ne consegue un aumento dei premi delle guidatrici, che pure provocano meno incidenti degli uomini. Ma le variabili di classificazione per differenziare gli assicurati sono particolarmente importanti nel mercato assicurativo. L’impossibilità di utilizzare quelle di genere potrebbe avere effetti negativi sul suo funzionamento: le compagnie potrebbero ricorrere a strategie di marketing pur di accaparrarsi le virtuose donne al volante.

PEREQUAZIONE: CHI L’HA VISTA?

La riforma del federalismo fiscale è arrivata finalmente alle questioni di peso con l’approvazione del decreto sulla finanza regionale, dopo quello sulla finanza comunale. Colpisce quello che i due decreti mancano di affrontare. Il nodo centrale ancora aperto riguarda la perequazione: come redistribuire tra regioni ricche e regioni povere, e tra enti locali ricchi e poveri, le risorse fiscali loro attribuite mediante le imposte decentrate. Le decisioni su elementi solo apparentemente tecnici sono ancora rimandate a interventi successivi.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ho preferito porre dapprima il tema a livello mondiale ed europeo, dove si parla della possibile uscita dal nucleare; solo sapendo se si tratta di un’industria in via di rapida estinzione, o di un bilanciamento del mix delle fonti che sarà indispensabile ancora per molto, si può discutere seriamente della scelta di entrare o non entrare da parte dell’Italia.
Qualcuno dice che se le centrali ci sono nel mondo, non è questo un buon motivo per mettercene una vicino a casa. Capisco, ma se il rischio è veramente eccessivo mi rifiuto di avallare un’eventuale scelta nazionale di promuovere un investimento che presenti quel rischio, che sia destinato al consumo italiano, purché sia in un altro paese (Albania, nel caso).
È giusto considerare le condizioni particolari del nostro Paese: geologiche, geografiche e anche organizzative, una difficoltà in più da mettere nel conto. Ma se dovessi dare per scontato che l’Italia non sa gestire neanche il ciclo dei rifiuti dovrei concludere per la chiusura del ciclo dell’indipendenza al 150esimo compleanno e invocare un protettorato. No, i rifiuti di Napoli sono una malattia gravissima ma curabile come l’esercito clandestino basco, i 25 suicidi in France Telecom, i 12 mesi del Belgio senza governo, i disastri ambientali mal gestiti in Florida e in Alaska. La pausa nucleare di un anno dovrebbe essere impiegata anche per dare una svolta alla lotta contro la criminalità, a dimostrazione della capacità del Paese di gestire i rischi. E almeno su questo dovremmo essere tutti d’accordo.
L’affermazione che il nucleare è costoso e quindi non conveniente è vera o falsa a seconda del prezzo futuro del gas che si prende a confronto; ma la convenienza è più probabile, semplicemente come fattore di riduzione del rischio economico, in un sistema come quello elettrico italiano che dipende dagli idrocarburi per i due terzi. La prima questione allora è come ridurre in altro modo la dipendenza, ovvero a quale velocità possiamo prevedere e programmare (non sognare) lo sviluppo delle rinnovabili e la riduzione dei consumi. Il ragionamento va fatto sui numeri, non in queste poche righe di replica ma va fatto.
Corretto anche notare che il costo sarebbe più alto in un paese lento nelle autorizzazioni e ad oggi privo dell’apparato di controllo. La seconda questione è quindi come poter far conto su di un mix delle fonti equilibrato in Europa anche se non in Italia, cioè come portare a compimento il mercato europeo che fornirebbe implicita ma certa solidarietà in caso di crisi.
Queste due ultime questioni sono anche, a mio avviso, i principali obiettivi della politica energetica italiana. Concordo anche con l’invito a investire di più nelle reti.
Che poi un’attività industriale sia un business non è una scoperta. Un business è più o meno accettabile a seconda del quadro di norme e controlli, di concorrenza e bilanciamenti di potere: ma qualcuno ha da offrire alternative all’economia di mercato?

NUOVE AUTO DA TERMINI IMERESE

La decisione di Fiat di interrompere la produzione di autovetture nello stabilimento di Termini Imerese pone un’importante questione: quale sarà il destino del polo industriale siciliano? Non tutto è perduto per i lavoratori: esistono tre concrete alternative che prevedono la prosecuzione della produzione di automobili. Una ipotesi è in continuità con l’attività Fiat, una seconda punta su una luxury car e la terza è decisamente innovativa, con la realizzazione di auto elettriche. Ma è prioritario risolvere le inefficienze che hanno portato all’abbandono del gruppo torinese.

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