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La risposta ai commenti

Grazie per i commenti.
Condivido l’osservazione relativa al perimetro di applicazione di Basilea III, che lascia fuori una pluralità di operatori che non si qualificano come banche commerciali. La regolamentazione meno stretta sugli intermediari finanziari non bancari è stata tradizionalmente giustificata con il fatto che questi non godono della protezione della banca centrale (prestito d’ultima istanza). Tuttavia la crisi esplosa nel 2007 ha messo in crisi questo modello, per cui sarebbe bene riflettere sull’opportunità di limitare la leva ed il rischio di liquidità di operatori come investment banks e hedge funds.  E’ invece infondata la preoccupazione relativa alla partecipazione degli USA: l’accordo di Basilea III coinvolge tutti i maggiori paesi occidentali (compresi gli USA) ed emergenti.
I costi di aggiustamento – in termini di maggiore costo del credito e di minore crescita del PIL – sono transitori perché si riferiscono alla fase in cui alcune banche potrebbero trovarsi vincolate dai nuovi requisiti patrimoniali: in altri termini, la scarsità di capitale primario potrebbe costringerle ad una restrizione dell’offerta di credito. A regime questa situazione dovrebbe scomparire, grazie all’emissione di azioni e all’accantonamento di utili, e anche in virtù dei “cuscinetti anti-ciclici” di capitale previsti dall’accordo: questi dovrebbero indurre le banche a raggiungere un livello di capitale superiore al minimo regolamentare, così da non trovarsi mai “a corto di capitale”.
Infine, sono d’accordo sul fatto che le azioni del settore bancario sono destinate ad essere mediamente meno redditizie in futuro, a causa della regolamentazione più stringente. Tuttavia esse dovrebbero essere anche meno rischiose, e ciò dovrebbe compensare gli investitori. La linea perseguita dalle autorità è proprio quella di rendere i profitti del settore bancario più stabili, seppure inferiori in rapporto al capitale impiegato.

Anatomia di una crisi occupazionale

Tra luglio 2008 e luglio 2010 si sono persi 881mila posti di lavoro. Colpiti per primi i lavoratori temporanei. Netto calo delle assunzioni, ma licenziamenti contenuti grazie alla cassa integrazione. Per il prossimo futuro si profila una modesta ripresa dei rapporti di lavoro temporanei e parasubordinati nei settori legati ai mercati internazionali espansivi, ma sempre su livelli occupazionali complessivi inferiori a quelli pre-crisi. Dalla gestione delle crisi di impresa via Cig si dovrà passare alla gestione della disoccupazione, con il rischio che divenga di lunga durata.

La parola ai numeri: lavoro

 

Il caso profumo e il rispetto delle regole

La sera del 21 settembre il consiglio di amministrazione di Unicredit ha tolto la fiducia all’amministratore delegato, Alessandro Profumo, costringendolo alle dimissioni, e ha assegnato tutte le deleghe operative al presidente Dieter Rampl. Ma un principio fondamentale del buon governo societario è che non vi sia mai un accentramento di tutti i poteri nelle mani di un singolo individuo. Ed è un principio pienamente accolto nelle regole emanate dalla Banca d’Italia. Si è così creata una situazione anomala. Speriamo almeno che duri poco.

Come affondare l’unica banca multinazionale italiana

E’ stato un gesto di irresponsabilità, in cui hanno giocato un ruolo decisivo le fondazioni bancarie, quello che ha portato all’impeachment di Alessandro Profumo senza un sostituto e senza un preciso capo d’accusa. Un nuovo amministratore delegato dovrà essere trovato entro poche settimane, da un consiglio tutt’altro che coeso al suo interno. Bene che si faccia sin d’ora chiarezza sui criteri e le procedure che verranno seguite nel selezionare i candidati. Sarà fondamentale anche rivedere la governance di Unicredit che si è rivelata fragilissima. La lezioni da trarre è che le fondazioni devono uscire dalle banche. Gioverebbe alle banche, alla collettività. E anche a loro.

La risposta ai commenti

Rispondo ai gentili contributi dei lettori del mio post per condividere essenzialmente le osservazioni espresse. Attivare politiche di sviluppo a livello locale significa in effetti promuovere la sinergia tra strategie e interventi volti a raggiungere obiettivi condivisi tra più enti e portatori di interessi a livello locale.
EÂ’ quindi naturale che premessa indispensabile alla realizzazione del processo sia lÂ’’acquisizione della consapevolezza del problema, delle sue manifestazioni e quindi una individuazione delle possibili soluzioni.
E’Â’ vero come sottolinea la Sig.ra Daniela che tale consapevolezza non va data per scontata e che subiamo il retaggio di un sistema di welfare standardizzato che in parte ha inibito la capacità dei singoli e delle organizzazioni di vedere i problemi ed elaborare soluzioni e in parte ne ha spesso indotto una metabolizzazione o assuefazione per cui non si riconosce il problema dal momento che da troppo tempo ci si è abituati a risolverlo alla meno peggio e mi riferisco in particolare alla tendenza di madri e famiglie a sottovalutare il problema della lotta che, quotidianamente,  ciascuno di noi combatte contro il tempo e contro il portafoglio per conciliare i propri oneri di cura e di lavoro.
Ma i tempi cambiano e a volte è proprio lÂ’’assenza preordinata di risposte e risorse che può modificare la domanda stessa. Ciò non significa che il bisogno non esistesse anche prima. Le donne oggi non sono più in grado, come lo sono state le loro madri e le loro nonne, di reggere il peso di un welfare deficitario che le considera ancora depositarie del senso di responsabilità e quindi deputate a prendersi cura degli altri ma nemmeno sono in grado di reggere il peso di un sistema economico che le vuole presenti, disponibili, competitive e flessibili.
Le donne, appunto, sono ancora poco capaci di rappresentarsi ed essere rappresentate. Ancora troppo impegnate nella gestione degli impegni quotidiani tendono ad essere trascurate dallo stesso sindacato al quale faticano ad appartenere e partecipare. La contrattazione sindacale e i relativi accordi raramente affrontano il problema della conciliazione famiglia-lavoro se non nelle grandi realtà aziendali. Servirebbero politiche di gestione del part-time, introduzione della flessibilità oraria, della personalizzazione degli orari di lavoro in base alle necessità dei singoli, benefit e voucher per le spese di istruzione e accudimento figli. Servirebbero accordi che definiscono gli impegni aziendali e i diritti dei lavoratori ma anche accordi che ristabiliscono l’Â’alleanza tra datori di lavoro e lavoratrici al fine di abbattere il costo del lavoro e defiscalizzare le politiche di valorizzazione del capitale umano.

Due domande alle fondazioni azioniste di Unicredit

Scriveva lÂ’’Autorità garante della concorrenza e del mercato nel febbraio 2009 in merito alle fondazioni bancarie:

“La loro centralità per la stabilità, soprattutto nell’Â’attuale fase, deve, quindi, necessariamente essere bilanciata da una nuova e trasparente modalità d’Â’azione, sotto un duplice profilo: la loro modalità di azione come azionisti e la loro stessa struttura di governance. È  infatti necessario che le fondazioni rendano trasparente il processo decisionale sulle modalità con le quali esercitano i diritti di voto nelle società partecipate, nonché definiscano i criteri in base ai quali le stesse fondazioni – anche unitamente ad altri azionisti – selezionano i candidati da proporre per le cariche degli organi di governo delle società partecipate, in quest’Â’ultimo caso anche alla luce dellÂ’’esigenza di non candidare soggetti caratterizzati da conflitto di ruoli”.

Le due domande che rivolgiamo alle fondazioni azioniste di Unicredit sono: in base a quali criteri avete preso la recente decisione sull’Â’amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo? Come intenderete procedere per la sua sostituzione?

Sfogliando la margherita dell’Ecopass

Tra chi vorrebbe rafforzarlo e chi vorrebbe abolirlo, sull’Ecopass milanese si sta per giocare una partita decisiva. Vi sono sul tavolo alcune opzioni per cercare di risolvere i problemi del traffico urbano. L’obiettivo di ridurre l’inquinamento non è però l’unico che un Ecopass riveduto e corretto potrebbe contribuire a raggiungere. Cruciale è anche limitare il congestionamento. E per entrambi gli obiettivi altre ipotesi di soluzione non sembrano altrettanto efficaci.

Regioni d’Europa: chi è più competitivo?

La Commissione Europea ha pubblicato la prima edizione dell’indice di competitività regionale. Fra le migliori non compare nessuna regione italiana. A frenare quelle storicamente considerate più competitive sono i fattori che descrivono la qualità delle istituzioni, così come percepita dai cittadini, e l’efficacia del sistema educativo di base. Mercato del lavoro e livello di sofisticazione e innovazione del sistema produttivo rivelano un’elevata eterogeneità tra regioni del Nord e del Sud. L’Italia nel suo complesso si situa al sedicesimo posto su ventisette stati membri.

Ora la finanza si sposta a Oriente

Non solo nel commercio, nella manifattura e nei servizi: i paesi emergenti avranno un ruolo sempre più importante anche nella finanza internazionale. Complice la crisi, il baricentro si sposta da Occidente a Oriente in un processo forse non uniforme e probabilmente lento, ma irreversibile. Che avrà effetti importanti sulla politica di regolamentazione finanziaria a livello mondiale, a partire dalla questione della rappresentanza delle nuove potenze economiche nelle istituzioni internazionali.

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