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Il fotovoltaico, un investimento per il futuro

Il fotovoltaico è uscito dalla fase di sperimentazione e affronta quella dell’industrializzazione, con innovazioni tecniche continue e riduzione di costo inimmaginabili solo pochi anni fa. Lo si deve soprattutto alla determinazione con cui alcuni paesi hanno sostenuto le imprese del settore, riconoscendone le prospettive di lungo periodo. Anche in Italia ha dato un importante impulso alla ricerca e fatto nascere centinaia di aziende. Ma il meccanismo di incentivo ha limiti chiari e dovrebbe essere migliorato.

Patente di successo

Funzionerà il nuovo Codice della strada? Per capirlo, guardiamo cosa è accaduto con la patente a punti. I numeri della polizia e dell’Istat dicono che dopo la sua introduzione incidenti stradali e vittime sono notevolmente diminuiti. Un risultato confermato dall’analisi econometrica, che permette di escludere l’influenza di altri fattori. E dai dati emerge anche una significativa riduzione nel numero di infrazioni accertate. Cali più consistenti quanto più forte è stato l’inasprimento delle sanzioni.

La slavina dei redditi da lavoro dipendente

Questa scheda si propone di documentare l’andamento della quota salari in Italia e in alcune economie avanzate negli ultimi quattro decenni. (1) La quota salari rappresenta la parte del reddito nazionale assegnata al fattore lavoro nell’ottica della distribuzione funzionale del reddito fra i fattori di produzione, quali capitale, lavoro e terra. Rappresenta perciò una delle componenti più importanti della distribuzione del reddito a livello aggregato e non individuale. In altri termini, non si sta guardando alla distribuzione personale dei redditi da lavoro e quindi ai salari medi individuali, ma piuttosto alla quota assegnata all’insieme dei lavoratori dipendenti.

Prove di federalismo municipale

Più ombre che luci nella riforma della fiscalità comunale. Nascono dubbi sul fatto che possa garantire la certezza di risorse alla base di ogni seria prospettiva di responsabilizzazione degli enti territoriali. Nella seconda fase, l’Imup si profila come una super-patrimoniale sulle seconde case.

Imup, imposta dal futuro incerto

La seconda fase della riforma della fiscalità comunale scatterà dal 2014. A partire da quellÂ’’anno, i comuni che decideranno di farlo potranno istituire una nuova imposta, denominata Imposta municipale propria (dÂ’’ora in poi Imup), regolata dalla normativa statale ma con il riconoscimento ai comuni di margini di autonomia. Se istituita, lÂ’’Imup cancellerà le imposte statali immobiliari devolute nella prima fase (con lÂ’’eccezione della cedolare secca sulle locazioni) e lÂ’’Ici.

DUE COMPONENTI PER UN’IMPOSTA

Dell’Â’Imup, il decreto fissa alcuni elementi fondamentali ma su altri rimanda la decisione al futuro. Sarà un’Â’imposta “doppia”, con due differenti componenti: la prima basata sul possesso dellÂ’’immobile, come lÂ’’Ici attuale, la seconda sul suo trasferimento, come oggi l’Â’imposta di registro e quella ipo-catastale. E sarà un’imposta patrimoniale, visto che la base imponibile resta il valore catastale, gravante prevalentemente sulle seconde case (a disposizione e locate) e sugli immobili non residenziali, con netta conferma dellÂ’’esenzione totale dell’Â’abitazione principale per la “componente possesso”. Le aliquote base saranno fissate dallo Stato, ma si riconosce ai comuni la possibilità di manovrarle in aumento o in diminuzione entro limiti prefissati, addirittura fino al 3 per mille sulla “componente possesso”. Sulla stessa componente è poi previsto un regime fortemente agevolativo, addirittura metà dell’Â’imposta ordinaria, nel caso di immobili locati e in quello di immobili utilizzati nellÂ’’esercizio dell’Â’attività di impresa, arti e professioni ovvero posseduti da enti non commerciali.
La nuova Imup sarà in realtà un tributo composito, basato su presupposti differenti (il possesso, il trasferimento di immobili), una collezione di tributi oggi esistenti che, sotto una etichetta unica, manterranno in gran parte i loro caratteri distintivi. Insomma, una forzatura dettata dall’Â’obiettivo di attribuire tutta la tassazione immobiliare ai comuni (con margini differenziati di manovrabilità) e di “semplificare” a tutti i costi, senza però cambiare nulla in sostanza, senza cogliere l’Â’occasione per mettere mano a una riforma concreta della tassazione immobiliare.

UNA SUPER-PATRIMONIALE SULLE SECONDE CASE

Valutare lÂ’’Imup è esercizio arduo in quanto il decreto manca di fissare un elemento fondamentale del nuovo tributo: lÂ’’aliquota base della sua componente principale, quella collegata al possesso dell’Â’immobile. Qualche considerazione di larga massima è comunque possibile.
Sotto il vincolo della “neutralità finanziaria”, data la riconferma della piena esenzione della prima abitazione, data la necessità di recuperare la perdita di gettito derivante dalla cedolare secca al 20 per cento rispetto allÂ’’Irpef attuale e dati infine i regimi fortemente agevolativi previsti nella nuova imposta, il risultato non può che essere un pesante spostamento del prelievo fiscale a danno, in particolare, delle seconde case.
Le prime simulazioni indicano che per garantire parità di gettito, lÂ’’aliquota base dovrebbe essere fissata nell’Â’intervallo tra l’Â’11 e il 14 per mille, ossia circa il doppio dell’Â’aliquota Ici attuale. Il risultato sarebbe pertanto una super-patrimoniale sulle seconde case. Questa prospettiva avrebbe qualche vantaggio in termini redistributivi, ma penalizzerebbe fortemente l’Â’investimento immobiliare diverso da quello finalizzato allÂ’’acquisizione della prima abitazione. La possibilità di fissare lÂ’’aliquota base a un livello un po’Â’ più basso dipende criticamente dall’Â’effettivo recupero di evasione nella tassazione sugli immobili che dovrebbe derivare dagli incentivi allÂ’’emersione generati dallÂ’’abbattimento dell’Â’aliquota previsto con la cedolare secca e dal maggiore coinvolgimento dei comuni nellÂ’’attività di accertamento. Ma su entrambi i fronti, i margini di incertezza sono forti.
Anche per la seconda fase rimangono i problemi evidenziati sul piano perequativo, in quanto la nuova Imup concorre al finanziamento del fondo di perequazione. Un punto di ambiguità che permane nel testo del decreto è poi quello che riguarda il carattere facoltativo del passaggio dalla prima alla seconda fase. La Relazione sul federalismo fiscale del 30 giugno affidava lÂ’’istituzione dell’Â’Imup “a una verifica di consenso popolare su iniziativa dei singoli comuni”. Si tratta di una previsione alquanto singolare poiché nel caso in cui solo alcuni comuni decidano di passare alla nuova imposta, si avrebbero seri problemi di funzionalità per il sistema perequativo municipale. E ciò perché il meccanismo perequativo dipende dalla determinazione della capacità fiscale, la quale deve necessariamente riferirsi a tributi di applicazione generale in tutti i comuni. Il testo del decreto sembra allontanare questo scenario, ma non risolve tutte le ambiguità.
Da ultimo, la riforma va valutata sul piano dellÂ’’obiettivo della semplificazione della tassazione immobiliare rispetto al quadro attuale. Il combinato dei differenti trattamenti differenziali previsti per le diverse tipologie di proprietari e di immobili porta a un sistema di tassazione di redditi e patrimoni immobiliari (vedi tabella 1) che sembra francamente coraggioso definire più semplice e più neutrale rispetto a quello attuale.

La risposta ai commenti

Ringraziamo i lettori per gli utili commenti, che ci consentono di precisare alcuni aspetti del nostro pensiero che per motivi di spazio erano rimasti fra i tasti.
Anche se abbiamo affrontato una questione specifica, relativa a una categoria di lavoratori, e anche se il nostro punto di vista dà particolare attenzione alle professioni intellettuali e liberali, c’è alla base un problema generale di grande importanza, civile ed economico: l’età del pensionamento. Pochi ormai hanno dubbi che tale età debba essere aumentata e resa più flessibile. Il rischio di “gerontocrazia” c’è solo se prendiamo l’accezione generico-populistica del termine. Se intendiamo il fatto (empirico e non ideologico) che la percentuale di “anziani” in servizio è molto alta, in sé questo non è né un bene né un male. L’esempio (solo un esempio, non un confronto sistematico) che abbiamo fatto menzionando Harvard intendeva sottolineare che una università di assoluta eccellenza non sembra aver timore di avere docenti anziani: una volta tanto potrebbe essere bello seguire un esempio di questo genere (non pensiamo valga la pena imitare università di basso livello, abbiano o non abbiano molti anziani nei loro ranghi). Se però si desidera riequilibrare l’età media dei professori, il rimedio efficiente ed equo è assumerne di nuovi, giovani e bravi, procedura che sia nei fatti che nella logica è del tutto indipendente da quella di eliminare i vecchi. Sembra invece che alcuni non abbiano il timore, che a noi sembra molto fondato, che si possa decidere di mandare in pensione gli ultrasessacinquenni e non assumere nessuno al loro posto. Il timore è forte, perché, come notano anche Brugiavini e Weber nella loro risposta ai commenti ricevuti, il costo dei professori pensionati continuerà ad essere sostenuto dai contribuenti: le pensioni sono pagate dall’Inpdap, gli stipendi dall’Università, ma si tratta sempre del bilancio dello Stato e le due somme, in virtù della natura retributiva del sistema pensionistico, sono più o meno dello stesso importo (come si sa, non esiste un pasto gratis). Né potrà essere d’aiuto la parte della proposta PD, cui si accenna nei commenti, dove si menziona la possibilità che ai pensionati forzati vengano conferiti (perché poi dal CdA?) contratti per la didattica; in questo modo, oltretutto, i soggetti in questione verrebbero pagati due volte, dall’Inpdap e dall’Università (come, assurdamente, avviene già in parte anche oggi), e ci sarebbero meno spazio e meno risorse per i giovani!
Infine, sembra anche poco noto all’opinione pubblica che il ricambio generazionale è comunque imminente nei fatti. Il CUN stima una fuoriuscita di circa 1500 docenti l’anno, con conseguente pensionamento, entro il 2018, del 50% degli ordinari e del 25% degli associati attuali. Il pensionamento a sessantacinque anni indurrebbe invece un deflusso di circa 3000 persone l’anno, aprendo una voragine non solo a livello scientifico-culturale ma anche sul piano didattico-organizzativo. Noi ci spereremmo tanto, ma qualcuno crede veramente che sia possibile assumere 3000 nuovi docenti l’anno per i prossimi anni? Se ce la facessimo ad averne almeno 1500, scelti con criteri seri, noi saremmo contenti.

Auto elettrica: sarà la volta buona?

LÂ’’ora dellÂ’’auto elettrica, annunciata da normative sulle emissioni sempre più stringenti, sembra finalmente arrivata. Ma quante se ne venderanno? Quali gli impatti sul sistema elettrico? Una penetrazione dell’Â’1 per cento corrisponderebbe allo 0,3 per cento dei consumi finali, circa 250 milioni di euro lÂ’’anno ai prezzi attuali. Con un nuovo ruolo per i distributori di energia elettrica che grazie alle prossime reti intelligenti, gestiranno una nuova capacità di riserva contribuendo a un miglior sfruttamento del potenziale delle fonti rinnovabili.

Quanti professori senza requisiti minimi

Giusto fissare criteri fondati sulla qualità e quantità delle pubblicazioni per la progressione nella carriera universitaria. Come ha fatto il Cun con l’indicazione dei requisiti minimi per ciascuna fascia di docenza: ricercatore, associato e ordinario. Ma una simulazione sui docenti oggi in ruolo mostra che solo una piccola percentuale soddisfa tutti e tre i requisiti richiesti. Anche perché restano troppo vaghe alcune definizioni e le misure di qualità accettate. Il rischio è quello di lasciare ancora troppo spazio alla discrezionalità.

Scelte locali per la conciliazione famiglia-lavoro

La conferenza Stato-Regioni ha finalmente dato il via libera alla nuova formulazione dell’articolo 9 della legge 53/2000 che prevede contributi a favore delle imprese per misure a sostegno della flessibilità e conciliazione famiglia-lavoro. Nei dieci anni passati dalla prima approvazione della norma i progetti presentati sono stati ben pochi. Non per questo è stata necessariamente un fallimento. Sarebbe meglio però lasciare alle autonomie locali le decisioni sullo sviluppo delle politiche di genere e per la famiglia. E su quali siano gli interventi più adeguati.

Pozzi di petroli a rischio dal Messico al Mediterraneo

Grande preoccupazione ha destato lÂ’’annuncio di prossime trivellazioni petrolifere in acque profonde nel golfo libico della Sirte. Il timore è che possa ripetersi il disastro del Golfo del Messico con conseguenze questa volta fatali per il nostro mare. Bene se verranno prese misure di prevenzione. Ma il vero problema è che per il Mediterraneo ogni giorno transita via nave tutto il petrolio per il nostro continente e il rischio è continuo. La vera soluzione è una sola: la transizione verso un mondo senza combustibili fossili.

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