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LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringraziamo i lettori che con il loro contributo ci danno l’occasione di chiarire alcuni aspetti sulle simulazioni presentate. Lo scopo della nostra simulazione è unicamente quello di valutare gli effetti sulla spesa pensionistica derivanti dall’innalzamento graduale dell’età pensionabile, in risposta alla sentenza della Corte di Giustizia europea. Di conseguenza, i risultati presentati fanno riferimento solamente alla spesa che deriva dai trattamenti previdenziali per le lavoratrici del settore pubblico. Non viene presa in considerazione, invece, la spesa pubblica volta alla remunerazione dell’attività lavorativa né i costi sociali di vario genere che derivano dalla riforma. Non considerando quindi gli effetti sul mercato del lavoro non è stato necessario utilizzare alcuna ipotesi sul turn-over.

Siamo convinti che la simulazione illustrata nel nostro articolo non possa rappresentare un’analisi completa per valutare la proposta di riforma nel suo complesso e le sue conseguenze sulla spesa pubblica. Per far ciò, come correttamente sottolineato nei diversi commenti, è necessario analizzare con cura non solo gli effetti sul mondo del lavoro, ma anche le conseguenze della riforma sull’intero sistema di welfare. Il nostro lavoro è quindi da considerarsi come un contributo ad un’analisi più generale.

IDENTIKIT DEL LAUREATO-INSEGNANTE

Lungi dall’essere un corpo omogeneo, l’universo degli insegnanti è al suo interno molto differenziato. Significative le differenze nei meccanismi e nei fattori di selezione e autoselezione in entrata dei laureati-insegnanti. Ciò riflette differenti motivazioni culturali, ma anche la presenza di asimmetrie nelle opportunità occupazionali e professionali, effettive o percepite. L’unico elemento comune a tutti sembra essere l’elevata quota e la lunga durata della condizione di precarietà. I risultati di una indagine della Fondazione Agnelli su dati Almalaurea.

IL SUSSIDIO “LASCIA E RADDOPPIA”

Il governo annuncia l’intenzione di raddoppiare l’indennità ai co.co.pro che restano senza lavoro. Per non lasciare indietro nessuno, dichiarano i ministri. E in particolare i precari, che non hanno diritto ad alcun sussidio di disoccupazione. Ma le cose non stanno esattamente così: i collaboratori restano ancora senza tutele mentre raddoppia una misura che riguarderà solo un numero esiguo di lavoratori. D’altra parte, le tante proposte di riforma del sistema restano inascoltate, perché l’esecutivo è convinto che i nostri ammortizzatori funzionino già benissimo.

IN RICORDO DI MARIA WEBER

Maria Weber, appassionata studiosa dell’economia cinese e nostra collaboratrice, è scomparsa pochi giorni fa. La sua grande vittoria professionale e umana è stata forse proprio quella di andarsene quando la Cina, nella crisi economica di oggi, afferma il suo ruolo di grande creditore del mondo. Nel giorno in cui Wen Jiabao può permettersi di manifestare qualche dubbio sulla solvibilità degli Usa. Nata nel 1951, Maria Weber si era laureata in Scienze politiche e sociali a Firenze, era professore associato di Scienza della politica all’Università Bocconi, research leader dell’ISESAO (Istituto di studi economico-sociali per l’Asia Orientale), responsabile delle ricerche sull’Asia all’ISPI. Ha diretto l’Istituto Italiano di Cultura a Pechino.

QUEL FONDO CHE SEMBRA IL CAMPO DEI MIRACOLI

Soldi freschi per 1,3 miliardi che dovrebbero tradursi in 60-70 miliardi di nuovi prestiti per le aziende: è la promessa che accompagna il rifinanziamento del fondo di garanzia statale per le piccole e medie imprese. Per riuscirci il fondo dovrebbe però operare con una leva consistente, non troppo realistica nella situazione attuale. A un tasso medio di sofferenze come quello del 2008, l’intera nuova dotazione se ne andrebbe in un anno. Effetti incerti anche in termini di requisiti patrimoniali. Soprattutto, resta da capire dove si troverà la somma per alimentare il fondo.

SENZA NUMERI NON C’E’ FEDERALISMO

Le norme sul federalismo fiscale sono assai complesse e non sarà facile attuarle. Ma se si vuole davvero mettere su un binario corretto il dibattito, la prima cosa da fare è predisporre un quadro di riferimento quantitativo condiviso dei dati disponibili. Bisogna costruire al più presto un sistema informativo appropriato sui dati territoriali, che consenta di raccordare le informazioni che arrivano dalle diverse fonti, spesso contraddittorie tra di loro. Un’operazione di questo tipo accelererebbe l’avvio del federalismo molto più di qualunque legge delega.

AFFITTI D’ORO. PER LEGGE

Sunia, Confindustria e ora anche il governo invocano un ritorno all’edilizia residenziale pubblica per far fronte a canoni di locazione sempre più alti nelle grandi città. Ma sono tante anche le case sfitte. Perché i proprietari non le mettono sul mercato, pur con affitti così elevati? Forse la risposta si trova nel sistema dei diritti che regolano i rapporti di locazione. Fornisce alle parti incentivi perversi, con un impatto negativo sui prezzi e più in generale sull’offerta di abitazioni.

IL COMMENTO ALL’ARTICOLO DI BOERI E GARIBALDI

La proposta di Boeri e Garibaldi ritorna sull’importante questione del “sussidio unico di disoccupazione”.
Sarebbe opportuno che gli autori precisassero alcuni nodi e risolvessero alcune difficoltà sulle quali si rischia di sorvolare troppo velocemente. (1) Giustamente, del resto, Boeri e Garibaldi sostengono che non ha senso parlare dei costi e dei finanziamenti se prima non si chiariscono condizioni di accesso, livello e durata del sussidio di disoccupazione.
Una prima questione concerne la platea ammessa al sussidio. Nella proposta di Boeri e Garibaldi il sussidio verrebbe garantito a “tutti i disoccupati”, con esclusione di quanti sono in cerca di prima occupazione. È infatti la stima è condotta su un totale di disoccupati (di fonte Istat), al netto dei giovani in cerca di prima occupazione, pari a 1,740 milioni, muovendo da una stima di tasso di disoccupazione all’8%. Ma in tale ammontare sono incluse alcune categorie per le quali non è semplice ipotizzare l’accesso al sussidio:

  1. coloro che sono usciti dal lavoro autonomo (anche Boeri e Garibaldi sembrano escluderli dal sussidio unico di disoccupazione, ma la scelta non è nitida);
  2. coloro che si dimettono, escono cioè volontariamente da un’occupazione dipendente. Le dimissioni volontarie valgono circa un terzo del totale delle cessazioni (1). Si propone di ritornare alla situazione ante-1997, prima della legge Treu che escluse i dimessi dall’accesso al sussidio ordinario di disoccupazione?
  3. coloro che rientrano nel mercato del lavoro dopo un periodo, anche lungo, di inattività. Queste persone non sono in cerca di prima occupazione, ma sono “nuovi disoccupati”. Si prevede un sussidio anche per costoro? Non è semplice ipotizzarlo;
  4. i disoccupati di lunga durata, sopra i 24 mesi. Per questi, in verità, anche Boeri e Garibaldi rinviano a strumenti diversi dal sussidio di disoccupazione, quale un reddito di ultima istanza (del quale non si prospettano stime né di beneficiari né di costi).

EÂ’ evidente che, depurato da queste componenti, lo stock di disoccupati si ridurrebbe significativamente.
In altre parole, occorre precisare se si propone un sussidio per tutti coloro che puntualmente – per semplificare le cose, diciamo al primo giorno di ogni mese – risultano alla ricerca di occupazione (proposta di difficilissima realizzabilità) oppure, più parcamente e più realisticamente, si propone un sussidio per quella frazione di disoccupati costituita da quanti hanno involontariamente e recentemente perso un posto di lavoro o concluso un rapporto di lavoro a termine (tra questi ultimi possono essere inclusi i lavoratori parasubordinati: ma non ci si devono nascondere le numerose difficoltà operative nel definire per essi un sussidio “congruo”, vale a dire simile a quello dei lavoratori dipendenti).
Una seconda questione riguarda la relazione tra durata del sussidio e durata del periodo precedentemente lavorato. Si possono “rilassare” gli attuali requisiti richiesti per lÂ’accesso alla disoccupazione ordinaria (un anno di contribuzione e due anni di assicurazione). In presenza di un mercato del lavoro in cui i periodi di occupazione “brevi” sono diventati una frazione considerevole, ciò è del tutto ragionevole. Ma fino a che punto tali requisiti possono essere rilassati? O meglio, si pensa di togliere ogni connessione fra durata del periodo precedentemente lavorato, anche in modo non continuativo – cioè sommando una serie di episodi di occupazione “brevi” e interrotti – e durata del sussidio? Basta una settimana di lavoro per avere diritto ad un sussidio della durata proposta da Boeri e Garibaldi (24 mesi)? Se non è così (ed è difficile che sia così), è evidente che si può sì muovere verso un “sussidio unico”, nel senso che è disegnato secondo una logica unitaria, ma avendo ben presente che se ne dovranno articolare durata, progressiva contrazione, ecc., avanzando una proposta che si faccia carico di tale articolazione. Certo, razionalizzare si può e si deve, e molto, per migliorare la “balcanizzata” situazione esistente, frutto di note stratificazioni successive. In questÂ’ottica appare difficile disegnare alternative razionali se non si mette in gioco il superamento della disoccupazione a requisiti ridotti che, così com’è, è tuttÂ’altra cosa rispetto ad un sussidio di disoccupazione.
Una terza questione, infine, è relativa alla stima dei costi. Nel 2007 il sistema esistente (indennità di mobilità + disoccupazione ordinaria a requisiti pieni e ridotti, inclusa l’agricoltura) ha indennizzato circa 600.000 anni/uomo con un costo attorno agli 8 miliardi. Se ci aggiungiamo anche la cassa integrazione straordinaria arriviamo a circa 9 miliardi per 700.000 anni/uomo. È perlomeno problematico pensare che con 15,6 miliardi si possa coprire una durata media di 12 mesi di disoccupazione per 1,740 ml. di disoccupati, se non riducendo fortemente, rispetto alle regole attuali, il tasso medio di sostituzione. Ma questa non è certamente l’intenzione degli autori.
Un volta buttato il sasso nello stagno, è il caso di porre mano a ipotesi circostanziate.

 

(1)   Su queste questioni ci si è soffermati in Anastasia B., M. Mancini e U.Trivellato, Il sostegno al reddito dei disoccupati: note sullo stato dell’arte. Tra riformismo strisciante, inerzie dell’impianto categoriale e incerti orizzonti di flexicurity, contributo ai lavori del Comitato tecnico-scientifico dell’iniziativa interistituzionale Camera dei Deputati-Senato-Cnel  su “Il lavoro che cambia” (Commissione Carniti), in www.cnel.it.
(2)   Cfr. Veneto Lavoro, Lavoratori dipendenti con contratti a termine e indennità di disoccupazione: analisi della copertura e simulazioni su possibili allargamenti, Misure, n. 18 (www.venetolavoro.it).

NON SCHERZIAMO CON I PREFETTI

Il banchiere fa un mestiere semplice da descrivere ma complesso da attuare: riceve depositi dalla clientela e li dà a prestito alle imprese per investirli e finanziare le attività correnti. La solidità dei risparmi dei clienti dipende dalla solidità degli investimenti effettuati. Non a caso l’odierna crisi finanziaria nasce proprio da un eccesso di prestiti ad alto rischio e da errori nella erogazione del credito. Mettere i prefetti a giudicare sulla concessione dei prestiti è mettere una ipoteca sulla sicurezza dei depositi dei risparmiatori. Poteri di vigilanza e Bce.

LA RISPOSTA DEGLI AUTORI

Ringraziamo molto Anastasia e Trivellato per il loro commento alla nostra proposta e i tanti lettori per i loro incoraggiamenti e anche osservazioni critiche. Lo scopo del nostro articolo era proporre dei costi di base per un sussidio universale ai disoccupati. Riteniamo che sia utile, a questo stadio, avere stime un pò più precise su quello che potrebbe costare un sussidio unico. Una volta accettato il concetto, sarà importante e doveroso entrare in maggiori dettagli, e il commento di Anastasia e Trivellato va esattamente in quella direzione.
Con riferimento alla platea degli ammessi al sussidio, le stime del nostro articolo si riferiscono effettivamente a un sussidio da erogare a tutti i disoccupati con eccezione dei giovani disoccupati senza alcuna esperienza. Tra le eccezioni e le esclusioni previste da Anastasia e Trivellato, riteniamo che la più importante sia quella relativa ai disoccupati che precedentemente erano fuori dalla forza lavoro. Viceversa, sulla differenze tra cessazioni volontarie  e involontarie preferiremmo procedere con grande cautela, anche perché la distinzione tra le due è una delle più difficili questioni in economia del lavoro (quando si tratta davvero di dimissioni spontanee e quando invece di dimissioni spontanee?). Normalmente questo problema lo si affronta introducendo un periodo di attesa, prima della fruizione del sussidio, per chi formalmente ha volontariamente lasciato un’azienda.
Con riferimento alla relazione tra durata del sussidio e periodo contributivo, nel nostro calcolo di base non abbiamo inserito alcuna durata minima. Siamo d’accordo che si dovrebbe operativamente ipotizzare un periodo contributivo minimo, che riteniamo possa essere di sei mesi lavorativi nell’ultimo anno, in modo da evitare l’accesso al sussidio per il lavoro strettamente stagionale. 
Con riferimento alla stima dei costi, siamo effettivamente convinti che i 15,6 miliardi di stima ipotizzati nel nostro articolo siano ragionevoli. Come abbiamo indicato nellÂ’articolo, abbiamo utilizzato una retribuzione media per i dipendenti a tempo indeterminato pari a 22.000 euro, pari a 18.000 euro per i lavoratori a tempo determinato e pari a 8.000 euro per i lavoratori precari. Nelle nostre stime il sussidio medio pagato a queste tre categorie sarà pari a 716 euro mensili, ottenuto da una media ponderata (dai flussi in ingresso medi nel periodo 2003-7) di un sussidio di 1.000 euro per i lavoratori a tempo indeterminato, di 800 euro per i lavoratori temporanei e di 500 euro per i precari. Tra lÂ’altro, i nostri 15,6 miliardi sono il doppio dei costi attuali a cui fanno riferimento Anastasia e Trivellato. Non deve perciò sorprendere che, nonostante la platea aumenti da 600 mila attuali a 1,8 milioni circa, il costo totale raddoppi. Basta ad esempio ricordare che la probabilità che un lavoratore a tempo indeterminato perda il lavoro è di circa lÂ’1 per cento, mentre per un precario è del 15 per cento e – come ricordiamo sopra – la retribuzione di un precario è circa un terzo rispetto al lavoratore a tempo indeterminato.

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