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400 MILIONI PER FAR FALLIRE IL REFERENDUM *

Abbiamo in questo momento tre obblighi elettorali: elezioni europee, amministrative, referendum sulla legge elettorale. Il buon senso suggerisce di accorparle in un’unica scadenza. Ma il Governo ha deciso di abbinare in un’unica data soltanto le prime due consultazioni. E appare intenzionato a far tenere in data separata il voto referendario. Votare un altro giorno comporta un costo per la collettività di circa 400 milioni di euro. In tempi difficili come questi sarebbe bene utilizzare tali risorse per altri scopi.

COME SALVARE LE BANCHE *

La soluzione della crisi non passa attraverso la nazionalizzazione delle banche. Anzi, molto probabilmente sarebbe una scelta controproducente. Cosa fare allora? Lo Stato si impegni ad acquistare fino al doppio del numero di azioni oggi in circolazione al doppio del loro recente prezzo medio, ma fra cinque anni. Un improbabile intervento futuro con un impatto immediato. Si invertirebbero le dinamiche negative dei mercati azionari e le banche potrebbero tornare a raccogliere capitale privato. Senza costi per il contribuente.

NAZIONALIZZAZIONE: C’E’ DA FIDARSI?

Per riavviare le politiche di prestito occorre fare pulizia dei titoli tossici. Ma le banche sono in grado di farlo da sole oppure lo Stato deve gestire direttamente gli istituti, oltre che comprare i titoli? Si tratta di scelte pragmatiche, non ideologiche. E in Italia? Prima di tutto bisogna vedere se c’è davvero necessità di nazionalizzazioni. Poi dare adeguate garanzie sulla salvaguardia dell’autonomia della gestione delle politiche di credito e sulla durata dell’intervento statale. La storia passata e recente del nostro sistema bancario invita alla diffidenza.

IL COMPENSO DELL’ A.D. DI UNICREDIT

Riguardo l’ammontare della retribuzione complessiva riconosciuta dal Gruppo UniCredit al suo Amministratore delegato, Alessandro Profumo, val la pena precisare che effettivamente, nel bilancio 2007 del Gruppo, è stata iscritta una somma pari a  €5.950.000 quale premio variabile ma questa cifra era solo l’ammontare massimo potenzialmente erogabile ad aprile 2008 in relazione al raggiungimento degli obiettivi di Gruppo relativi all’anno 2007. In realtà la somma che è stata poi effettivamente erogata ad aprile 2008 è stata pari a  €5.528.000, quindi il totale della retribuzione dell’Amministratore delegato va ridotto di €422.000, il che porta la retribuzione pagata e percepita a €9.018.000.

Unicredit Group

Ringraziamo Unicredit della precisazione, legittima e comprensibile. Tuttavia giova ricordare che i dati riportati nella nostra tabella sono tratti da una fonte uniforme e Unicredit non fa eccezione. Si tratta di dati, come abbiamo precisato nell’articolo che accompagna la tabella, diretti a fornire un ordine di grandezza, non una misurazione precisa, non fosse altro per l’assenza del controvalore "teorico" delle stock option. In tale cornice la precisazione di Unicredit completa l’informazione ma non sposta la sostanza della questione, in quanto porta a un riduzione inferiore al 4,5 per cento rispetto al dato riportato.

MA I PATTI NON SONO ANCORA CHIARI

Rating e Var non sono gli strumenti più adeguati per decidere se un titolo sia o meno sicuro. Per indicarne il valore, i prezzi di mercato sono un miglior giudice del giudizio degli analisti. Meglio dunque orientarsi verso i Cds. Soprattutto se si introducono sostanziali aggiustamenti in grado di garantire liquidità e trasparenza, riducendo la possibilità di manipolazione di prezzo. Attenzione alla commistione banche-associazioni dei consumatori: mette a rischio l’indipendenza nell’opera di tutela contro eventuali negligenze degli istituti di credito.

QUANDO IL PADRINO SI RIPRENDE I BENI CONFISCATI

Il governo modifica la destinazione dei beni sottratti alle mafie. Non tornano più alla società civile, ma sono dirottati ai ministeri e alle spese correnti, tramite aste pubbliche. Si tratta di una norma frettolosa e incoerente sotto il profilo giuridico. E’ inefficiente dal punto di vista economico e amplia l’area di illegalità perché incentiva i mafiosi a cercare prestanomi in ambienti sempre più allargati. E i ricavi per lo Stato potrebbero essere davvero minimi. La logica sembra quella di sottrarre sequestri penali e misure di prevenzione al controllo del giudice.

IL FEDERALISMO COSTA SOLO SE FALLISCE

Il federalismo fiscale promette un risparmio, non maggiori spese. Perché il riferimento al costo standard elimina le inefficienze insite nella spesa storica. Il risparmio atteso sarà comunque quantificabile solo quando i decreti legislativi preciseranno le norme operative. Si trasformerà in costo solo in caso di fallimento della riforma e quindi di duplicazioni di funzioni e burocrazie o di irresponsabili sanatorie, come purtroppo già successo in passato. Il quesito di oggi riguarda quindi non le cifre, ma la probabilità di successo o di fallimento del progetto.

IL COMMENTO DI GIORGIO SANTINI *

Le argomentazioni di Boeri/Garibaldi nell’articolo Come cambia la contrattazione su lavoce.info rendono necessaria una risposta sui tre aspetti dell’accordo del 22 gennaio scorso che vengono maggiormente criticati.

  1. Nell’articolo si sostiene che con il nuovo accordo i lavoratori avranno una copertura contro l’inflazione inferiore rispetto al precedente modello.

Le motivazioni addotte appaiono per la verità abbastanza confuse e fanno riferimento a fattori molto diversi quali la riduzione generalizzata di almeno il 5% della base di calcolo e una ventilata ipotesi che “tutta la retribuzione di fatto” dovrebbe essere coperta dall’inflazione. La prima asserzione è sicuramente esagerata e fortemente pessimistica, poiché base di calcolo per i futuri aumenti contrattuali, risulterà dall’applicazione dell’accordo per alcuni settori migliorativa dell’attuale, per altri neutra, per alcuni  contratti (6) si continuerà con la base di calcolo già fissata da anni  nei CCNL.

La seconda tesi è particolarmente originale perché finora nessun contratto in nessun momento della pur lunga storia contrattuale italiana ha mai previsto una copertura dall’inflazione di tutta la retribuzione di fatto. Per la verità né la piattaforma CGIL CISL UIL su cui è avvenuto il negoziato né nessun soggetto presente al tavolo ha mai sollevato un problema simile. Noi possiamo sostenere con documentazione ufficiale che il nuovo indicatore di inflazione (IPCA depurata dall’energia) se fosse stato applicato negli ultimi 11 anni avrebbe garantito una copertura del tutto analoga (anzi leggermente superiore) all’indice ISTAT Famiglie Operai Impiegati (FOI), che, vogliamo ricordarlo era l’indice non per rinnovare i contratti (che avevano come parametro il Tasso di Inflazione Programmata), bensì per effettuare nel biennio contrattuale successivo i conguagli, tra l’altro con la depurazione delle ragioni di scambio.

Quindi possiamo dire senza ombra di possibile smentita che il nuovo indicatore IPCA se applicato negli ultimi 11 anni avrebbe garantito una piena copertura dell’inflazione reale rilevata ex-post dall’ISTAT.

Era esattamente la richiesta della piattaforma sindacale CGIL-CISL-UIL e ha trovato piena attuazione nell’intesa. Per il futuro, il nuovo indicatore sarà sicuramente migliorativo rispetto al parametro dell’inflazione programmata che in mancanza d’accordo resterebbe ancora il riferimento per rinnovare i CCNL.

  1. Nell’articolo viene criticata molto duramente l’incentivazione mediante la detassazione e la decontribuzione, del secondo livello di contrattazione, adducendo l’eccessivo costo a carico dei contribuenti.

Contemporaneamente si sostiene anche che con l’accordo non c’è nessuna sicurezza che avvenga l’estensione della contrattazione di secondo livello, dando a questa considerazione una connotazione molto negativa. Si può, quindi, presumere che anche gli autori pensino che sarebbe utile una maggiore diffusione della contrattazione di secondo livello.

E’ di tutta evidenza che proprio la consapevolezza della difficoltà di estensione della contrattazione aziendale (o territoriale) e contemporaneamente la comune valutazione della sua necessità per dare una spinta propulsiva alla produttività e alla competitività delle aziende, hanno spinto le parti a chiedere che venissero resi strutturali gli incentivi che riguardano sia le imprese (la decontribuzione) sia i lavoratori (principalmente la detassazione). Ora se l’obiettivo di sviluppare la contrattazione aziendale dei salari di produttività è ritenuto valido e necessario per il miglioramento del sistema, perché mai una incentivazione fiscale e contributiva dovrebbe essere talmente negativa, da essere così brutalmente stroncata?

Davvero non se ne vede la ragione. Tanto più che non vengono detassati salari tout court ma quella parte del salario legata alla produttività e ai risultati quindi per definizione la parte più economicamente fondata e sicuramente non inflazionistica.

  1. Si sostiene, infine, che non vanno confuse nella contrattazione collettiva la copertura contro l’inflazione con la ricerca di un legame più stretto fra salario e produttività, perché sono due problemi diversi che vanno affrontati con strumenti diversi. E lo si dice lasciando intendere che invece l’accordo contenga questa confusione.

Ora, tralasciando la considerazione che la proposta alternativa formulata dagli autori appare inestricabilmente intrecciata tra copertura dell’inflazione e retribuzione della produttività tutta in capo al Contratto Nazionale, configurando così un formidabile ritorno all’antico; se c’è una cosa chiara nella riforma è proprio quella che Boeri e Garibaldi  auspicano e cioè la separazione della dinamica retributiva legata alla copertura dell’inflazione, che è in capo al CCNL, dalla dinamica retributiva legata alla produttività che è in capo alla contrattazione di secondo livello. Si tratta di due strumenti diversi, esercitati da soggetti diversi, in luoghi diversi e in tempi diversi. E’ difficile pensare a qualcosa di più separato.
E’ una formula che ha il pregio della chiarezza e della semplicità ma soprattutto è una rivoluzione culturale in senso partecipativo delle relazioni sindacali nel nostro paese, fatto che da più parti e da molto tempo è stato sollecitato e che ora che si realizza viene poco valorizzato.
E’ ora importante che il sindacato si senta particolarmente impegnato a vincere questa sfida sul campo, individuando tutti quei percorsi negoziali che permettono un’effettività della contrattazione di secondo livello, aziendale o territoriale, collegata alla competitività e al buon andamento delle aziende, delle pubbliche amministrazioni, dei servizi, del terziario. In questo modo il lavoro può dare un grande contributo alla modernizzazione del nostro paese, così necessaria, anche per uscire in positivo da questadifficilissima fase di crisi economica.

* Segretario Confederale CISL

LA BANCA PAGA. I SUOI TOP MANAGER

La tabella riporta i compensi che le banche italiane quotate hanno corrisposto nell’esercizio 2007 agli amministratori delegati ed ai presidenti e vicepresidenti dei consigli di amministrazione e –nelle società con governance duale – dei consigli di gestione e di sorveglianza. I dati sono desunti dalla nota integrativa al bilancio civilistico che ogni società quotata è tenuta a pubblicare.

Per una corretta lettura della tabella è bene tener conto di alcune precisazioni.

–         Gli emolumenti comprendono sostanzialmente i compensi per la carica deliberati dall’assemblea o, talvolta, dal Consiglio di amministrazione. I benefici non monetari comprendono i fringe benefit; i bonus e altri incentivi comprendono le quote di retribuzione variabile, legata ai risultati aziendali o al raggiungimento di obiettivi di budget; gli altri compensi comprendono una moltitudine di altri possibili casi, dagli emolumenti per cariche in società controllate, agli stipendi percepiti in qualità di dipendenti (ad esempio, qualora cumulino con la carica di amministratore quella di direttore generale), alle indennità di fine carica, ad altri casi ancora (tant’è che lunghe e fitte note a piè di pagina spiegano sovente la composizione di tale voce).

–         Tra gli altri compensi può rientrare anche il controvalore “definitivo” delle stock option, effettivamente percepito dagli amministratori quando esse vengono esercitate (acquistando le azioni opzionate e, di solito, vendendole immediatamente). La tabella non riporta, invece, il controvalore “teorico” delle stock option ancora in essere, poiché esso non è riportato nella nota integrativa. Di conseguenza, il computo delle remunerazioni dei massimi dirigenti bancari fornito dalla tabella risulta indicativo ma “di prima approssimazione”.
–         Una visione d’insieme sui piani di stock option in essere si può ricavare da un prospetto distinto (pure riportato in nota integrativa) che evidenzia la dinamica numerica delle opzioni nel corso dell’anno e il relativo prezzo di esercizio (ma non – si è detto – il controvalore “teorico”, né la sua variazione nel corso dell’anno). La tabella riporta i cinque casi in cui gli amministratori delegati sono beneficiari di piani di stock option, ricavati dalla lettura del prospetto citato.
–         I dati si riferiscono a quanto effettivamente percepito dai top manager nell’esercizio 2007. In qualche caso, le cifre riportate sono riferite a periodi più brevi (in caso di entrata in carica o dimissioni in corso d’anno). Salvo nel caso del Banco Popolare, esplicitamente segnalato (e riferito al periodo post-fusione con la Banca Popolare di Lodi), nella tabella non sono riportati altri casi.
–         Si può notare che quattro top manager (De Censi, Innnocenzi, Leoni e Rampl) hanno cariche (e compensi) in più di una banca quotata. Non vengono invece evidenziati qui i casi (frequenti) in cui i banchieri che figurano nella tabella percepiscono anche compensi di “semplici” consiglieri in cda o in cdg/cds di altre banche.
Questo è dunque il quadro dei compensi dei banchieri italiani nell’anno in cui la crisi finanziaria non era ancora iniziata e nemmeno immaginabile. Un anno dopo qualcosa è sicuramente cambiato, in peggio, per coloro che sono compensati con stock option e bonus. Per gli altri, c’è da scommettere, la “busta paga” è rimasta immutata. Ma saranno i bilanci dell’esercizio 2008 a dircelo.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Grazie molte a tutti coloro che hanno commentato l’articolo ed espresso opinioni diverse dalla mie. Vorrei precisare molto brevemente:

1) Il tentativo di conciliazione non funziona da solo, come molti credono. Per farlo funzionareefficientemente occorre la presenza di due elementi (a) un conciliatore formato in tecniche di gestione del conflitto (diverso dal giudice titolare della causa) e (b) un organismo specializzato terzo neutrale. Purtroppo in Italia con lo stesso termine "conciliazione" si ci riferisce a procedure molto diverse. La conciliazione nel processo del lavoro si è ridotta ad un mero formalismo proprio perché gestita da
funzionari non specializzati. In poche parole, il tentativo obbligatorio di conciliazione non è una novità ed esiste da anni in Italia, ma non funziona perché lo fanno le persone sbagliate (o almeno non adeguatamente formate).
2) Non c’è nessuna statistica, in nessuna giurisdizione al mondo, che convalidi l’idea che il ricorso "volontario" alla conciliazione possa contribuire all’efficienza dell’amministrazione della giustizia. Tutte le
statistiche dimostrano esattamente il contrario. Il ricorso agli organismi di conciliazione deve essere introdotto per legge come condizione di procedibilità o su invito del giudice per poter ottenere un effetto positivo sull’efficienza della giustizia civile. Tutte le esperienze al mondo di progetti simili, indicano in non meno del 60% la risoluzione positiva di queste “settlement conferences” introdotte per legge in un sistema graduale e progressivo di risoluzione delle controversie. Anche l’Italia conferma questo dato. Occorre farsene una ragione.
3) Partecipare ad un tentativo di conciliazione non implica rinunciare ad un proprio diritto. Se non si è soddisfatti del possibile accordo si può sempre adire al giudice, che in una visione generale di ricorso sistematico alla conciliazione, riuscirà a decidere più velocemente.    
4) Il ricorso agli organismi di conciliazione è solo una – ma credo importante – possibile soluzione alla lentezza della giustizia. Sicuramente ce ne sono altre di cui, però, l’autore non è un esperto e non ha
competenze.    
5) In Italia ci sono circa 130 organismi di conciliazione e circa 7.000 conciliatori – in media 60 conciliatori per organismo –  già adeguatamente formati in tecniche di gestione del conflitto che sono largamente
inutilizzati. L’utilizzo di queste risorse già formate potrebbe contribuire grandemente a rendere più efficiente la giustizia civile senza alcun costo per lo Stato, che tra l’altro, ne certifica e vigila sulla loro serietà ed efficienza tramite un apposito Registro istituito presso il Ministero di Giustizia a cui progressivamente gli organismi di stanno iscrivendo. In questo campo, l’unica certezza è lo status quo. Iniziare anche una sperimentazione e valutare serenamente i risultati, di certo non può
peggiorare la situazione.    
Grazie molte,

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