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QUANDO LAVOCE.INFO VA SUL QUOTIDIANO

Qual è la copertura de lavoce.info sui quotidiani italiani? Una ricerca per parole chiave sugli archivi online che contengono i testi degli articoli provenienti dalla versione cartacea dei diversi giornali da giugno 2002 a metà dicembre 2008 mostra che La Stampa, Il Corriere della Sera e, soprattutto, La Repubblica dedicano al sito più articoli rispetto al Sole 24Ore e al Giornale. Per il Sole 24Ore si nota però un trend ascendente di attenzione. E sempre sotto il profilo dinamico, il Corriere è la testata con la maggiore crescita nelle citazioni, mentre gli altri quotidiani non mostrano alcuna variazione temporale significativa.

UNA BUONA NOTIZIA: CALA L’INTERESSE

Con l’ulteriore recente calo dei tassi, il risparmio della spesa per interessi sul debito sale a 6 miliardi di euro. E sono stime per difetto, perché non tengono conto della possibile diversa composizione delle emissioni. Sono però anche risultati da prendere con cautela, perché i comportamenti dei risparmiatori potrebbero cambiare in breve tempo. Al Tesoro offrirne di migliori. O spiegare perché la spesa prevista per gli interessi resta invariata da mesi nei documenti ufficiali.

L’UNIVERSITA’ DELLE CATTEDRE GRIGIE

I professori universitari italiani sono i più vecchi d’Europa e godono del privilegio di andare in pensione più tardi dei colleghi europei senza dover produrre risultati scientifici. Il decreto legge 180/08 del ministro Gelmini fissa le quote d’immissione dei giovani ricercatori nel sistema universitario, ma non affronta il nodo dell’età pensionabile dei docenti ordinari. All’università serve una riforma che diminuisca rapidamente il numero degli ordinari, preservando al contempo la trasmissione del sapere fra le generazioni.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Rispondo alle osservazioni, ringraziando chi è intervenuto.

Una parte delle critiche riguarda la condizione di sfruttamento degli immigrati (qualcuno dice "schiavismo"). Osservo che il nostro paese dispone di importanti risorse di tutela, come i contratti collettivi nazionali di lavoro, gli ispettorati del lavoro, i sindacati. Quando gli immigrati sono in regola, sono pagati come gli italiani e non fanno concorrenza a nessuno.
Il problema è fare in modo che possano lavorare in regola. Ma il governo, tra i suoi primi provvedimenti, ha indebolito gli ispettorati e reso meno incisiva la loro già non brillante azione repressiva. Avete mai sentito di un imprenditore condannato severamente per aver sfruttato degli immigrati?
Una sentenza dell’anno scorso, a Como, ha mandato assolto un imprenditore che faceva lavorare degli immigrati senza documenti. La motivazione: essendosi introdotti in modo fraudolento sul territorio dlelo Stato, non avevano diritto a chiederne la tutela. Un bell’esempio di colpevolizzazione delle vittime, e di appoggio a chi le sfrutta.
In generale, la carenza di azione repressiva sui datori di lavoro è il principale punto debole del pacchetto di misure governative di contrasto dell’immigrazione irregolare.
Per l’assistenza domiciliare, anch’io preferirei un sistema più nord-europeo di assistenza degli anziani. Ma dovremmo: 1) accettare di mandarli in strutture protette; 2) accettare di dedicare molte più risorse, pubbliche e private, al settore. Giacché non mi pare che queste condizioni siano prossime a realizzarsi, specie la seconda, dovremmo incentivare l’emersione dei rapporti sommersi nell’ambito delle famiglie. Per esempio, accettando che famiglie e lavoratrici si accordino e possano stipulare subito regolari contratti, con il versamento dei contributi. Senza la farsa dei decreti-flussi. Ricordo comunque che neppure l’attuale governo, malgrado la recessione, ha avuto il coraggio di ridurre il numero degli ingressi
autorizzati per attività di assistenza.
Per il lavoro nelle imprese, ribadisco: non sono 20.000 nuovi ingressi in meno, ma 20.000 persone in più che continueranno a lavorare in nero, forse in condizioni ancora peggiori. Sfruttati loro, e danneggiati gli italiani che lavorano in regola nelle stesse occupazioni. La soluzione non è lasciarli senza diritti, ma farli emergere. Via non andranno, l’esperienza lo dimostra. Qualcuno ricorda le misure di Zapatero, di cui non conosciamo ancora gli effetti. Secondo me, anche quella è propaganda. Negli anni ’70, all’epoca della prima crisi petrolifera, i paesi del Centro e Nord Europa tentarono di convincere gli immigrati ad andarsene con incentivi analoghi.
Fu un fallimento, anzi l’immigrazione aumentò: non potendo più circolare liberamente, gli immigrati ricongiunsero le famiglie. Gli immigrati non ritornano indietro da sconfitti, con quattro soldi in tasca. Vogliono tornare da vincitori.

Molti cordiali saluti

COMMENTO A “UNA POLITICA FISCALE CONTRO LA CRISI”

L’interessante nota del Fondo Monetario Internazionale (Link), sull’uso della politica fiscale per combattere la crisi finanziaria, spinge ad alcune riflessioni e a domande che possono aiutare i lettori a meglio comprendere il merito della politica fiscale che il Fondo sta proponendo.
La prima domanda è: C’è qualche esperienza convincente che dimostra che una politica fiscale del tipo proposto abbia dato i risultati che il Fondo spera di ottenere? Se c’è, sarebbe utile per i lettori conoscerla.
La seconda è una riflessione che riguarda un’osservazione della nota: siccome è difficile identificare precisamente la medicina di cui ha bisogno il malato (cioè l’economia), è meglio utilizzare tutte le medicine a disposizione sperando che ce ne sia qualcuna che dia l’effetto desiderato. Bisogna riconoscere che in certi casi ci possono essere effetti negativi nell’uso di medicine sbagliate.
Una terza osservazione su cui sarebbe interessante soffermarsi è quella secondo cui i pacchetti di stimolo dovrebbero includere più che in passato aumenti della spesa pubblica in beni e servizi. L’acquisto di beni e sevizi, nella maggior parte dei paesi, consiste principalmente in tre categorie: salari per gli impiegati pubblici, investimenti pubblici e spese militari; ciò vuol dire che il Fondo Monetario sta proponendo aumenti salariali, più investimenti e spese militari. Allo stesso tempo la nota afferma che l’aumento di spesa non dovrebbe ”comportare un aumento permanente del deficit (e del debito?) pubblico”. Alcune domande: è una buona idea aumentare gli stipendi pubblici e le spese militari? L’aumento di stipendi non è equivalente nel suo effetto ad una diminuzione di imposte che la nota respinge? Sarà possibile ridurre in futuro gli aumenti di stipendi per non far peggiorare permanentemente la situazione dei conti pubblici? E’ possibile aumentare immediatamente la spesa per gli investimenti senza causare sprechi? Cosa possiamo imparare dall’esperienza giapponese degli anni novanta a riguardo?
Sarebbe utile avere risposte precise a queste domande per meglio conoscere il merito della proposta del Fondo Monetario ed eliminare qualche dubbio.

UNA POLITICA FISCALE CONTRO LA CRISI: RISPOSTA AL COMMENTO DI VITO TANZI

Vito Tanzi, nel suo commento al nostro contributo sul ruolo della politica fiscale nella attuale congiuntura, solleva domande importanti. Le risposte sono in buona parte contenute nella versione completa della nostra nota: che inviteremmo i lettori interessati a consultare per ulteriori dettagli.
Vito Tanzi osserva che è inappropriato somministrare al malato “tutte le medicine a disposizione sperando che ce ne sarà qualcuna che avrà l’effetto desiderato”. Siamo naturalmente d’accordo. Infatti, la nostra nota identifica chiaramente una serie di medicine che non debbono essere usate (si veda anche la prima appendice alla nota). Tra queste si citano per esempio i condoni fiscali o i sussidi generalizzati. Sconsigliamo anche l’uso di  un aumento indiscriminato dei salari dei dipendenti pubblici e proprio per le ragioni spiegate da Vito Tanzi (che causano aumenti permanenti della spesa e che hanno effetti simili a tagli di tasse non adeguatamente mirati). La nostra nota conclude, sì, che è opportuno dare al paziente un cocktail di medicine, ma queste vanno scelte, ovviamente, tra quelle “buone” (sia sul lato della spesa che su quello della tassazione) ed evitando quelle che si sono dimostrate nocive in passato.
Vito Tanzi si chiede anche se aumenti della spesa pubblica siano appropriati. Di nuovo, la nostra nota non sostiene che sia appropriato aumentare indiscriminatamente la spesa pubblica (inclusi i salari). Tuttavia, in molti paesi, anche paesi avanzati, la spesa per investimenti pubblici è stata negli anni passati insufficiente a garantire un ammodernamento delle infrastrutture: accelerare lavori in corso, o l’iniziazione di buoni progetti già allo studio sembra un modo utile non soltanto a sostenere la domanda aggregata, ma anche a soddisfare esigenze di crescita di lungo periodo.
Quanto efficace sarà in pratica un’espansione fiscale? Qual è l’evidenza empirica in proposito? Esistono varie stime dei moltiplicatori fiscali in presenza di fluttuazioni cicliche “normali”. Il problema, peró é che la crisi attuale non è di proporzioni “normali” (in termini di intensità e, soprattutto, globalità) ed è quindi difficile trovare un confronto adeguato. L’unico paragone è quello della Grande Depressione, che viene discusso in una delle appendici alla nota. In particolare, l’insistenza ad applicare in quella occasione politiche fiscali “ortodosse” durante la presidenza Hoover è stata una delle cause dell’inasprimento della Grande Depressione. E, almeno secondo alcuni studi, l’espansione fiscale nella seconda parte degli anni ‘30 contribuì in modo decisivo alla ripresa.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Tutti i commenti confermano l’opportunità di affrontare congiuntamente, nella discussione ma soprattutto nelle politiche, la questione dell’età alla pensione e quella del modo in cui va trattato il lavoro di cura (e i bisogni cui corrisponde). Ci sono tuttavia alcuni malintesi che occorre chiarire. Io non sostengo affatto che l’attribuzione alle donne del lavoro di cura (e ancor più di quello domestico) sia qualche cosa di inevitabilmente naturale. Ciò che è inevitabile, naturale, anche in epoca di fecondazione assistita, è che sono le donne a portare letteralmente al mondo i nuovi esseri umani e ciò non è senza conseguenze, non solo sul loro corpo, ma anche sul tipo di legame che si instaura tra madre e bambino durante la gravidanza e nei primi mesi di vita. Ma da questo non discende che solo le donne abbiano capacità e responsabilità di cura, che si presentano ben oltre quei primi mesi e anche non solo verso i bambini piccolissimi. Ciò che sostengo è che sia il bisogno di cura che il lavoro effettuato per rispondervi va riconosciuto per chi lo fa (donne e uomini): non con un salario per il lavoro domestico (incluso quello che si fa per il proprio marito o figli grandi), ma con congedi adeguatamente remunerati e di durata ragionevole (molte ricerche segnalano in un anno il punto di equilibrio che consente tempo per la cura ma non disincentiva dal ritorno nel mercato del lavoro) e contributi figurativi per lo meno con gli stessi criteri che si adottano per il servizio militare. Il lavoro di cura va anche in parte sostituito tramite una offerta di servizi di qualità e a prezzo accessibile. L’investimento in servizi, tra l’altro, oltre a incoraggiare le donne (ma auspicabilmente anche gli uomini) con responsabilità di cura a rimanere nel mercato del lavoro, avrebbe anche due altri effetti positivi: creerebbe domanda di lavoro e offrirebbe ai bambini quegli spazi educativi in età pre-scolare che molti studi segnalano essere necessari per contrastare lo sviluppo di disuguaglianze cognitive dovute alle disuguaglianze nell’ambiente famigliare.

Quanto alla mia affermazione che le donne che hanno carichi famigliari e sono anche occupate hanno una vita lavorativa complessivamente più lunga, se misurata in ore lavorate,  di quella degli uomini, non è una mia invenzione, ma sta nei dati empirici, italiani e non. Basta sommare – sia per gli uomini che per le donne in analoghe condizioni famigliari – l’orario di lavoro remunerato e quello del lavoro non remunerato famigliare, di cura e domestico. Questa differenza c’è in tutti i paesi, ma in Italia è tra le più alte, stante la più squilibrata divisione del lavoro famigliare tra uomini e donne e stante la più esigua disponibilità di servizi.

REDDITO MINIMO ALLA FRANCESE

L’estate prossima entrerà in vigore in Francia il Revenu de Solidarité Active, un nuovo sussidio pubblico ideato per semplificare la giungla delle misure di sostegno, lottare in modo efficace contro la povertà ed evitare fenomeni di disincentivazione al lavoro. Anche in Italia da tempo circolano proposte di reddito minimo garantito. La riforma francese può essere un esempio anche per noi? Due i problemi: i costi per le esangui casse statali e l’imponente tasso di lavoro sommerso e di evasione fiscale, che potrebbero mettere in dubbio l’efficacia di un simile strumento.

SE IL PETROLIO NON INFIAMMA L’INFLAZIONE*

Dal 2002 al 2008 l’economia americana si è trovata nella morsa di uno shock petrolifero comparabile per entità alle due crisi provocate dai paesi Opec negli anni Settanta e Ottanta. Eppure gli effetti sono stati molto diversi, a partire da un’inflazione core rimasta sostanzialmente stabile. Un risultato che dipende da una lunga serie di fattori, nessuno dei quali sembra predominante, ma ognuno dei quali gioca un ruolo. Con un po’ di fortuna e politiche sagge, non è più necessario che gli shock alimentari ed energetici abbiano quegli effetti devastanti che invece hanno avuto in passato.

LA PENSIONE? A 65 ANNI PER TUTTI

Gli italiani sono uno dei popoli più longevi del vecchio continente. Paradossalmente, però, siamo anche un paese con un’età di pensionamento tra le più basse. E che meno incentiva la partecipazione femminile al mercato del lavoro. Esistono dunque ottimi motivi per portare l’età pensionabile, per tutti e subito, a 65 anni, agganciandola poi davvero all’evoluzione dell’aspettativa di vita. La riduzione di spesa ottenuta consentirebbe di alleviare la pressione fiscale e di finanziare nuovi strumenti di protezione sociale. Esigenze ancor più importanti in periodo di crisi.

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