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CONFINDUSTRIA E LA RIBELLIONE ALLA MAFIA

La presenza della criminalità organizzata è il principale fattore che limita lo sviluppo economico e civile del mezzogiorno. Nei mesi scorsi è avvenuto in Sicilia un fatto rivoluzionario, unico nella storia italiana, la cui importanza è stata finora sottovalutata: la Confindustria siciliana con il suo presidente, Ivan Lobello, si è ribellata alla mafia, imponendo l’espulsione dalla associazione non solo di chi dovesse colludere ma anche di chi non si ribellasse ad essa accettando di pagarne il pizzo. E’ come se il fisico da lungo malato avesse d’improssivo prodotto i suoi anticorpi per scacciare il virus che lo soggioga. Ma la produzione di anticorpi deve essere sostanziale per vincere la malattia, che per difendersi cercherà di trasferirsi ad altre parti del corpo. Emma Marcegaglia, designata ieri con voto plebiscitario nuovo presidente di Confindustria, avrà il compito di coltivare questi anticorpi. Imponga l’adozione del “codice Lobello” a tutte le confidustrie regionali – a cominciare da quelle della Calabria, delle Puglie e della Campania – dove maggiore è la minaccia della criminalità organizzata.

RICALA IL DEBITO PUBBLICO

Nel 2007 il debito pubblico in rapporto al PIL ha invertito la tendenza a salire dei due anni precedenti calando di 2 punti e mezzo. E’ un evento raro. Dagli inizi degli anni ’80, da quando l’Italia ha iniziato ad accumulare debito come negli anni di guerra, è solo la seconda volta che si assiste a un marcata inversione della tendenza del debito ad aumenatare. La prima volta fu tra il 1996 e il 1999, Ministro del Tesoro Carlo Azaglio Ciampi. La seconda nel 2007, Ministro del Tesoro Tommaso Padoa Schioppa. Vi fu un accenno di stabilizzazione una terza volta durante il breve ministero Dini. Cosa hanno in comune queste persone? Certamente la coscienza, maturata nella Banca d’Italia, dell’importanza del contenimeno del debito per assicurare stabilità finanziaria ed economica al paese. Ma ancor più l’indipendenza dagli “indici di popolarità” che legano le mani dei ministri politici, inducendoli a fare ciò che raccoglie consenso aniziche ciò serve all’Italia.

LA CINA E LA CRESCITA

Con grande prevvegenza nel 1816 Napoleone sentenziò che il giorno i cui la Cina si sarebbe risvegliata il mondo avrebbe tremato. Quel giorno è arrivato e molti oggi tremano di fronte alla concorrenza cinese. Da noi la paura della Cina ha preso una strana piega: alla Cina si imputa la colpa degli elevati prezzi. LÂ’argomento è che, mentre prima i cinesi vivevano di autoconsumo e di agricoltura, oggi “consumano come noi”. Ai cinesi si attribusce la colpa di aver improssivamente accresciuto la domanda mondiale e di aver messo pressione sui prezzi. C’è un po’ di verità e molta falsità in questa affermazione. LÂ’elevata e sostenuta crescita della Cina sicuramente ha contribuito ad accrescere la domanda e il prezzo di alcune materie prime, tra cui il petrolio. Ma la massiccia produzione cinese a bassi costi ha enormemente contribuito a calmierare i prezzi dei manufatti. Senza la pressione competitiva cinese oggi tanti beni che acquistiamo quotidianamente costerebbero molto di più. Contingentare le importazioni dalla Cina, come alcuni propongono, comporterebbe – questo sì – un forte aumento dei prezzi con grave nocumento per i nostri consumatori.

LA SPAGNA CONFERMA ZAPATERO*

Due mesi fa i sondaggi prevedevano la sconfitta del Psoe. Il risultato del voto è stato diverso anche perchél Pp ha cambiato strategia proprio nell’ultimo mese, focalizzando la sua campagna elettorale sulla riduzione delle tasse e sul contrasto all’immigrazione. Zapatero non deve la vittoria alle elezioni di domenica agli elettori di centro, ma gli ex sostenitori dell’estrema sinistra. Che soprattutto in Catalogna e nei Paesi Baschi hanno apprezzato i tentativi di concedere maggiore autonomia e di mettere fine alla violenza.

NESSUNA INFORMAZIONE DAL PARADISO

La vicenda Liechtenstein ha mostrato la pericolosità di un segreto bancario impenetrabile alle legittime richieste delle autorità fiscali nazionali. Ma per dimensione e rilevanza, il problema dei paradisi fiscali non può essere affrontato dai singoli stati, sulla base di accordi bilaterali, come quello che l’Italia cerca di stipulare con San Marino. Servono invece azioni multilaterali. Per esempio, l’Ocse ne ha messe in atto alcune dal 2000 al 2008. E ha ottenuto più trasparenza e maggiore disponibilità allo scambio di informazioni.

PDL TRA MUTUI, CONTI CORRENTI E INESSENZIALI

Il programma del Pdl parla di ristrutturazione dei mutui, ma non specifica chi ne siano i destinatari. Il rischio è di introdurre elementi distorsivi nel funzionamento dei mercati con pratiche onnicomprensive che finiscono con il tutelare poco o niente chi ne avrebbe effettivamente bisogno e diritto. Importante il progetto di generalizzare il principio della portabilità a tutti i rapporti bancari, compresi i conti correnti. Vaga invece la proposta di liberalizzare i servizi privati e pubblici e soprattutto di liquidare le società pubbliche non essenziali.

IL MERCATO VISTO DA SECOND LIFE

Second Life replica molte situazioni della vita reale. Ma ha un sistema economico diverso. E dunque può essere visto come un microcosmo utile per testare empiricamente le assunzioni classiche della self regulation dei mercati finanziari. Le regole imposte per la quotazione sono ben poche e la concorrenza ha spinto il regolatore privato alla creazione di una normativa essenziale che mira a soddisfare due fondamentali condizioni: l’accesso e la permanenza delle imprese sul mercato e la sicurezza e la fiducia degli investitori nelle imprese quotate.

CICLO O CRESCITA: IL PROBLEMA DELL’ITALIA

Ieri l’Istat ha reso noto che a gennaio la produzione industriale è aumentata dello 0.5% rispetto a un anno prima, recuperando parte del calo marcato di dicembre. E’ una notizia che fa piacere. Ma non c’e molto di cui rallegrarsi. Le variazioni positive o negative da un mese all’altro non sono il problema su cui focalizzare l’attenzione. Il problema italiano è la bassa crescita di medio termine. Negli ultimi 10 anni il paese è cresciuto sistematicamente meno degli altri. In Germania la produzione industriale è oggi 20 punti piu’ elevata che nel 2001, nell’area dell’euro 12 punti in più. In Italia è ferma al livello del 2001. Questa stasi è il riflesso dei limiti strutturali dell’Italia. Una economia avanzata non può alla lunga reggere senza un sistema giudiziario efficiente, un sistema di istruzione di elevata qualità, una amministrazione rapida e amica dell’iniziativa privata, una rete di infrastrutture adeguata. Il prossimo governo, qualunque sia il suo colore, dovrà affrontare questi nodi. Mentre infatti poco possiamo fare per stabilizzare il ciclo economico il superamento di questi nodi dipende solo da noi.

LA RECESSIONE USA

Gli ultimi dati confemano che l’economia americana sta con tutta probabilità andando incontro a una recessione di cui ad oggi è difficile prevedere la gravità e le conseguenze per le economie europee. A sorpresa il numero degli occupati è calato a febbraio di 63,000 unità. Evidentemente la crisi finanziaria sta facendo sentire i suoi effetti prima e più intensamente di quanto ci si aspettasse. Che cosa accadrà nel prossimo futuro?  E’ arduo dirlo. Da un lato gli effetti della crisi finanziaria si devono ancora esplicare; per ora ne abbiamo osservato solo i primi impatti. Dall’altro, la crisi finanziaria stessa può riservare altre sorprese ed essere a sua volta aggravata dal rallentamento dell’economia. Al momento le speranze di evitare una recessione profonda dipendono solo dalla reazione dell’economia al rapido calo dei tassi di interesse deciso dalla FED.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Nel mio intervento sul tema della precarietà sostenevo tre punti:

1. la rigida tutela del lavoratore fornita dalle regole vigenti negli anni Â’70 ha assecondato una visione del rapporto di lavoro come centro o sede di esclusivi conflitti di interesse;
2. le modifiche di quel quadro normativo, dagli anni ’80 ad oggi, non sono state guidate dall’obiettivo di un corpo coeso di regole attorno a una visione meno semplicistica e radicale del rapporto di lavoro. Il percorso di revisione fino ad oggi compiuto, per quanto profondo, non è mai approdato a una diversa ispirazione del quadro normativo. Non è mai approdato a un principio di efficienza del mercato a cui legare le regole, o a un principio di tutela del lavoro tramite l’efficienza del mercato del lavoro. La creazione di flessibilità attraverso una revisione molto frammentata delle regole ha prodotto una artificiosa segmentazione del mercato del lavoro e una iniqua stratificazione di tutele.
3. Il raggiungimento di un corpo coeso di regole – fondato su principi di efficienza e di equità e su una visione del rapporto di lavoro che riconosca aree di interesse comune a impresa e lavoratore – richiede che si affronti esplicitamente anche il tema dei licenziamenti individuali.

In modo alquanto diverso, i commenti a questo intervento sono tutti significativi. Alcuni fanno riferimento al modello danese, per negarne l’applicabilità all’Italia a motivo della insostenibilità finanziaria di adeguati ammortizzatori sociali o per sollecitare un uso più efficiente e rigoroso della spesa sociale. Si tratta di argomenti seri. Personalmente sono più sensibile al secondo che al primo, ma temo che entrambi spostino un po’ il focus del mio argomento: il problema degli ammortizzatori sociali rende forse meno utile fare chiarezza sulle distorsioni delle attuali regole del mercato del lavoro e sull’esigenza di porre in discussione alcuni principi generali a cui esse queste regole restano comunque legate?
La debolezza degli ammortizzatori e il timore di una revisione dell’art. 18 fanno temere, in altri commenti, una “riduzione delle tutele” e una conseguente “generale precarizzazione del mercato del lavoro”. Rimango perplessa davanti a questi commenti.  La precarizzazione del mercato del lavoro c’è già, con il suo pesante carico di iniquità e ingiustizia sociale.  Il richiamo a un principio di efficienza del mercato è esattamente l’indicazione di una via più efficace per combattere la precarizzazione. Per quanto riguarda l’art. 18 poi, è fin troppo ovvio che l’efficienza del mercato non passa solo per la sua correzione, ma questa correzione è un passo ineludibile se si vuole davvero fare i conti con la complessità del rapporto di lavoro.
In un commento si parla anche di “presunte ‘efficienze’ di presunti ‘mercati’ del lavoro” e non si ritiene che possa esser messa in discussione la visione del rapporto di lavoro come centro o sede di esclusivi conflitti di interesse. Sorvolando sul presunto mercato, sottolineerei a questo lettore che una visione esclusivamente conflittuale è giustificata solo nell’ipotesi di livelli di produzione dati e di tecniche date, un contesto a cui fortunatamente non siamo ancora arrivati. Temo, però, che in questa semplificazione il lettore sia in folta compagnia.
Condivido totalmente, infine, il commento, amaro, di una lettrice che “opera nel settore del lavoro dipendente”. C’è oggi un rischio nel nostro mercato del lavoro: l’abuso delle tutele da parte del lavoratore e l’abuso di tutti i possibili margini di flessibilità da parte delle imprese può innescare una sorta di gioco perverso che può finire col danneggiare tutti. In che misura il tessuto produttivo del paese sta correndo questo rischio? Scongiurarlo, portando efficienza, semplificazione e coerenza nelle regole, dovrebbe essere un impegno prioritario dei nostri governanti.

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