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NEBBIA IN VETTA A TELECOM

Riproponiamo la lettera aperta che il presidente di Assogestioni ha inviato al presidente di Telecom Italia e al presidente di Telco per chiedere maggiori chiarimenti sulle nomina dei vertici Telecom e diffusa dal Corriere della Sera.

LA SCARSA FIDUCIA FA CRESCERE L’INFLAZIONE

Perché i consumatori percepiscono un’inflazione molto più elevata della realtà? Una recente ricerca mostra che nella media del periodo febbraio 2003-settembre 2007, quella percepita dagli italiani è stata del 23,7 per cento annuo. I consumatori sembrano aver sofferto negli ultimi anni di una sorta di disillusione monetaria, imputando una crescita insoddisfacente del potere d’acquisto, legata al più generale ristagno del reddito e della produttività, a un aumento abnorme dei prezzi. Che tuttavia non ha alcun riscontro nei dati ufficiali.

A BALI PER UN CLIMA MIGLIORE

La Conferenza di Bali sul cambiamento climatico è un passaggio che darà i suoi frutti più concreti nei mesi a venire. I paesi che hanno firmato e ratificato il protocollo di Kyoto sono all’alba di una scadenza istituzionale rilevante: il primo gennaio 2008 inizia ufficialmente il primo periodo di impegno. L’Europa a 15 sembra sulla buona strada per rispettare gli impegni. Convincere Stati Uniti, Cina e India a intraprendere una strada negoziale è comunque indispensabile, anche se non semplice, perché richiede di saper guardare al di là del proprio interesse immediato.

RAI-MEDIASET: UN RUOLO PER L’ANTITRUST

Le notizie di questi giorni confermano che certamente serve una riforma radicale del sistema televisivo e dei media. Ma esiste già una norma che può efficacemente intervenire su molti dei comportamenti tenuti dai più alti dirigenti di Rai e Mediaset, la legge antitrust del 1990. Ed esiste un’autorità che può far rispettare i divieti di comportamenti anticoncorrenziali, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato. La presidenza Catricalà è molto attenta alle preoccupazioni dei consumatori, ora saprà cogliere l’inquietudine dei contribuenti al canone.

PRECARIATO: UNA PERCEZIONE?*

L’uso del termine precariato, forma deteriore della parola flessibilità, si è venuto a sviluppare negli ultimi dieci anni.
La percezione di un mondo del lavoro precarizzato non è supportata dai dati quantitativi che la statistica ci propone, ma l’economia è fatta di analisi anche qualitativa, ed è bene fare delle osservazioni sul perché nella società italiana si avverta quello del “lavoro” come un problema, che causa insicurezza nei giovani (e non solo).
Chi scrive pensa spesso alla storia dello statistico che annega nel lago alto mezzo metro, in media, ed il povero statistico oggi rischia spesso di trovarsi dal lato del fondale alto due metri, e rischia quindi di non vedere i fenomeni nella loro interezza, in una società sempre più variegata, nella quale le forme del lavoro sono tante.
Gli indicatori statistici sono indizi per comprendere i fenomeni, informazioni, e per comprendere le problematiche nella loro interezza occorre considerarli nel tempo e non isolatamente, per costruire così la “conoscenza” dei fenomeni.

Ad esempio, l’osservazione dei dati forniti dagli ultimi dati dell’indagine ISTAT sulle Forze Lavoro (concernente il trimestre  che va dal 2 aprile all’1 luglio 2007) ci indica che il tasso di disoccupazione si è posizionato al 5,7 per cento (6,5 per cento nel secondo trimestre 2006) e si è ridotto in tutte le ripartizioni geografiche (Nord, Centro, Mezzogiorno). A tale dato si contrappone però la discesa su base annua dell’occupazione nel Mezzogiorno (-0,9 per cento), mentre a livello Italia essa cresce dello 0,5 per cento.
Occorre quindi chiedersi se la normativa sul mercato del lavoro esistente riesca a produrre effetti in una situazione complessa come quella del Sud, dove forse le problematiche prioritarie da risolvere (come la legalità e le infrastrutture) sono altre.
Senza entrare nel merito del diritto di ogni lavoratore a migliorare, perché un paese “felice” è probabilmente un paese con alta mobilità sociale, e l’Italia non vive questa situazione, il tempo determinato può essere talvolta un’esigenza aziendale legata anche alla produttività.
La quota di contratti a termine sul totale dell’occupazione, aumentata dal 12 al 14% nel corso degli anni ‘90, è rimasta stazionaria tra il 2001 ed il 2005.
Penso che la flessibilità sia vista in Italia come precariato per i seguenti motivi che cerco di sintetizzare:

-   l’economia è abbastanza ferma, infatti i consumi concernenti la spesa delle famiglie residenti, ai prezzi dell’anno precedente, crescono con percentuali vicine allo 0,5 per cento nel secolo in corso, con una ripresa  nel 2006 (+0.9%); i lavoratori precari ne possono risentire psicologicamente più degli altri, perché al problema dell’insicurezza del lavoro si aggiunge quindi quello della difficoltà a fare la spesa;
-        gli ammortizzatori sociali nel nostro paese sono ridicoli (ad oggi il 40% dell’ultimo stipendio per 6 mesi) come percentuale dell’ultimo stipendio e come durata, che andrebbe almeno triplicata. Per fare ciò bisogna ovviamente ridurre la spesa previdenziale, ed il sistema a capitalizzazione è ideale per ciò, perché ognuno ottiene al ritiro in proporzione a quanto ha versato. Poiché il sistema a capitalizzazione dipende dal rendimento del capitale, ci si potrebbe assicurare contro i rischi ricorrendo all’aiuto dello Stato. Un sistema a capitalizzazione sarebbe però da proporre a livello europeo, perché più ampio è il mercato dei capitali, maggiore è la diversificazione e minore il rischio;
-        i centri dell’impiego non fanno incrociare domanda e offerta di lavoro, che rimangono spesso sole nella ricerca di professionalità l’una e di impiego l’altra: i centri dell’impiego dovrebbero, tramite selezioni adeguate, creare il legame di fiducia e rimediare all’asimmetria informativa nella rispettiva del lavoratore e del lavoro, e potrebbero così permettere ai dipendenti a tempo determinato di migliorare, dal punto di vista dei salari e/o della stabilità del lavoro;
-        l’esistenza di onerosità ed impedimenti nella ricongiunzione contributiva tra esperienze lavorative appartenenti a gestioni diverse, per la stessa persona  (e   mi richiedo se non converrebbe passare ad un sistema pensionistico a capitalizzazione, usando il TFR a tale scopo per una fase di transizione);
-        le scelte economiche a favore degli svantaggiati, dei bassi redditi e delle imprese, da parte dei governi “precari”, perché incapaci di decidere, sono omeopatiche, a seguito dei vincoli di Maastricht, ed a causa della volontà di accontentare un po’ tutti, senza così compiere atti significativi per alcuno; le decontribuzioni per assunzioni a tempo indeterminato, ad esempio, dovrebbero essere più visibili e quindi consistenti. Con Maastricht cambia la politica economica dei governi che devono considerare i vincoli della politica monetaria (stabilita dalla BCE) e del deficit pubblico (in particolare) intervenendo su altre variabili a disposizione per fare politica economica (politica fiscale, industriale, del welfare). 
-        l’assenza di un chiaro ed automatico pacchetto di prestazioni gratuite automatiche per precari e  disoccupati (in sintonia con i Servizi per l’impiego), come la formazione superiore ed universitaria, l’aggiornamento, ed esenzioni selettive da tasse e imposte;
-        l’assenza di una politica del part time, che permetterebbe ad alcune categorie (donne, studenti) di essere più libere e vedere positivamente la flessibilità. L’Italia rimane ancora indietro nelle classifiche d’Europa quando si parla di part time, con circa il 13,5% della forza lavoro; i contratti part time sono ovviamente più diffusi al Nord che nel Mezzogiorno ed i risultati in termini di occupazione si vedono. Servono quindi aziende pronte a mutare le modalità organizzative, ma anche accordi collettivi che limitino meno la concessione del part time, con l’obiettivo di evitare la iperflessibilità (part time più tempo determinato). Un’idea potrebbe essere quella di inserire nella legislazione un limite ai rinnovi dei contratti a tempo determinato: dopo i primi tre contratti il rapporto si trasformerebbe a tempo indeterminato, con la possibilità per l’azienda ed il dipendente di optare, al bisogno, per il part time.

Senza formazione e sviluppo ed in assenza della possibilità di rivendere le professionalità acquisite non si può uscire dalla spirale del precariato, e quindi non bastano le leggi sul mercato del lavoro per ottenere ciò, ma serve essere protagonisti di una maggiore produttività, e la politica può fare tanto, come si è evidenziato nei punti precedenti, senza illudere  bamboccioni e non.

MEGLIO L’ASSICURAZIONE*

Se ne discute da decenni, ma la vicenda della Northern Rock sembra aver chiuso il dibattito una volta per tutte: l’assicurazione sui depositi è essenziale per la stabilità finanziaria. Il prestito di ultima istanza infatti richiede valutazioni discrezionali basate su informazioni che nel corso di una crisi sono incomplete, mentre l’assicurazione è un insieme di regole predefinite. Ma come costruire un sistema efficace? Garantendo alle autorità di vigilanza il potere di chiudere un istituto prima di arrivare all’insolvenza e ai correntisti soluzioni rapide e senza conseguenze.

LE CONSEGUENZE DEL VASSALLUM

Cosa accadrebbe se la riforma Vassallo fosse applicata? Stimare gli effetti di una formula elettorale che non esiste è complicato, perché le strategie di partiti ed elettori dipendono dal sistema che regola le elezioni. E qui molto dipende dal disegno delle circoscrizioni. Tuttavia, le stime dicono che a parità di voti la soglia di sbarramento si riduce al crescere della dimensione della circoscrizione. Non necessariamente a vantaggio dei partiti minori. Il sistema sembra poi avere una forte spinta interna verso la bipartitizzazione del quadro politico.

LA CERTEZZA DI UNA VIA DI USCITA

Il contratto unico che superi il dualismo attuale fra assunzioni permanenti e temporanee è una soluzione proposta per risolvere il problema della precarietà. Si concentra però sull’ingresso sul mercato del lavoro, senza affrontare le problematiche dal lato delle uscite. Ma se si vuole ridurre il ricorso ai contratti atipici e la polarizzazione fra insider e outsider non ci si può dimenticare di razionalizzare le procedure di licenziamento. Con l’introduzione di costi magari altissimi, ma predefiniti e certi. O il ricorso all’arbitrato obbligatorio.

SE MANCA LA TRASPARENZA

La Bce decide di lasciare i tassi di interesse invariati. In una fase di grande incertezza come quella attuale, è una scelta che non fa chiarezza. Soprattutto perché è di difficile comprensione sulla base del mandato esplicito affidato alla Banca. Le sue previsioni descrivono un panorama di chiare pressioni inflazionistiche. Eppure decide di non muoversi. Una strategia che si può seguire solo a patto di agire con totale trasparenza. Ovvero pubblicando un sentiero futuro dei tassi, con margini di incertezza ragionevoli e ben specificati, che la giustifichi.

AMMINISTRATORI IN CONDOMINIO *

Nel periodo 1998-2006 la grande maggioranza delle società quotate italiane è stata collegata in un’unica rete attraverso una piccola minoranza di amministratori. Un gruppo, questo, che mostra grande stabilità nel tempo e con componenti che spesso appartengono alle stesse famiglie. Assai alto il grado di connettività per le blue chips e in particolare per quasi tutte le principali società bancarie e finanziarie. Negli ultimi anni tende a ridursi il numero dei collegamenti, ma non delle società coinvolte, con una maggiore centralità di Mediobanca. E la concorrenza?

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