Nel terzo trimestre 2006 l’economia italiana è cresciuta dell’1,7 per cento rispetto allo stesso periodo del 2005. Più della Francia che, dal 1995 a oggi, ha sempre registrato risultati migliori dei nostri. Tuttavia, i dati tendenziali per Germania, Regno Unito e Stati Uniti superano quelli italiani per più di un punto percentuale. La scarsa crescita di più lungo periodo non è un problema europeo, ma sostanzialmente di Italia e Germania. Che hanno ancora molto lavoro da fare per risolverlo. Dopodichè forse scopriremo che l’Europa è capace di crescere quasi come gli Stati Uniti.
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Le barriere all’entrata avvantaggiano le imprese già operanti nel mercato, generando prezzi più alti per i consumatori, minor crescita della produttività e dell’occupazione, minor tasso di adozione di nuove tecnologie, strutture distributive più antiquate. Per la distribuzione commerciale lo mostra levidenza empirica post-decreto Bersani del 1998. Invece di demandare alle amministrazioni locali la possibilità di liberalizzare, si dovrebbero prevedere requisiti minimi per l’apertura dei mercati vincolanti per i governi regionali.
Le norme comunitarie hanno liberalizzato un notevole segmento del mercato postale, ma sinora in Italia la concorrenza di fatto è invisibile. Ne è una riprova l’abolizione del francobollo di posta ordinaria e la trasformazione di tutte le corrispondenze in “prioritarie”. Se il sonno del regolatore genera mostri tariffari, quello del liberalizzatore impedisce miglioramenti di benessere collettivo facilmente realizzabili. Si deve allora puntare a una completa apertura del mercato ancor prima del 2009 previsto dell’Unione Europea.
Dopo le elezioni di mid-term, è cambiato molto, perché s’è arrestata l’onda reazionaria. Nello stesso tempo, è cambiato poco, perché l’ideologia conservatrice è viva e vegeta, come mostra la campagna elettorale dei democratici. Sull’Iraq dobbiamo aspettarci una politica di grandi annunci e pochi fatti. Non mancheranno però indagini sulle violazioni più palesi dei diritti umani. In economia, possibili modesti incrementi delle imposte. Certo invece un simbolico aumento del salario minimo federale. Ma la partita vera si gioca nel 2008, questa è stata solo l’ouverture.
Quello dei servizi pubblici locali è stato, per due legislature, uno dei casi più clamorosi di riforma abortita. Al di là delle incertezze dei governi nazionali, le maggiori resistenze sono venute proprio dagli amministratori locali. A luglio, il nuovo esecutivo ha presentato un disegno di legge delega per riprendere il cammino delle liberalizzazioni. Positivo, ma non privo di ombre che potrebbero farlo naufragare. Manca infatti un coerente disegno di incentivi, con spese e tagli condizionati a comportamenti virtuosi. Una speranza dal “documento Rutelli“.
Due episodi rivelano come il mercato del gas sia ben lungi dall’essere liberalizzato. E se il ministero fa bene a prendere provvedimenti tampone per garantire le forniture, non possiamo però attendere oltre per incidere sulla posizione dominante delle imprese dei settori energetici. Bisogna arrivare alla separazione delle infrastrutture dal servizio. E’ tardi per inserire qualche provvedimento “strutturale” nella Finanziaria. Ma il paese va avanti, ed è dovere del suo ceto politico favorirne lo sviluppo.
Se gli studi di settore devono essere uno strumento per combattere l’evasione fiscale, non solo devono funzionare meglio, ma devono anche fornire le informazioni “giuste”. Il generico inserimento nei modelli statistici dei nuovi indicatori di coerenza non è sufficiente ad ampliare la base imponibile. Bisogna risolvere il paradosso dei costi, che non entrano nella definizione dei ricavi, ma intervengono nella determinazione della base imponibile. Altrimenti, avere più contribuenti congrui equivale a crescita dell’evasione. Come è accaduto dal 2000 al 2003.
La riforma della tassazione in senso ambientale del settore dei trasporti conosce un nuovo capitolo. A essere radicalmente cambiata è la tassa sui Suv, ora trasformata in un aggravio aggiuntivo del bollo auto commisurato alla potenza degli autoveicoli. Una nuova versione che va giudicata molto negativamente sia nel merito che nella forma. Perché rende manifesto il fatto che non si avevano le idee chiare. E perché le modifiche sono state guidate unicamente dall’esigenza di reperire risorse finanziarie aggiuntive, andando a prelevarle laddove la domanda è più inelastica.
I lavori di manutenzione infiniti sulla Cisa e le linee ferroviarie dell’alta velocità: due casi problematici, ed emblematici, che ripropongono la questione del controllo dei costi delle infrastrutture di trasporto. E sembrano suggerire che l’impegno contenuto nel programma di governo di costituire un’autorità indipendente per la regolazione delle infrastrutture e dei trasporti in generale, per i comparti non esposti alla concorrenza, non sia davvero più procrastinabile. Anche al fine di “liberare” risorse pubbliche per gli interventi urgenti nel settore.
La giunta lombarda ha avviato l’iter per l’ottenimento di maggiori competenze rispetto a quanto riconosciuto alle Regioni a statuto ordinario. Una possibilità prevista dall’articolo 116 della Costituzione. Che pone però molte questioni. Da quali motivazioni siano ammissibili per il riconoscimento del federalismo differenziato al suo finanziamento. Dalle modalità di monitoraggio dell’efficienza delle Regioni rafforzate nelle materie per cui sono fissati livelli essenziali al problema del debito pubblico e ai processi di decisione politica.