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Se l’Iva è rivista

L’Italia parte da un’aliquota Iva ordinaria fra le più elevate. Finisce però per avere una aliquota implicita al di sotto della media europea. Una revisione dei regimi ad aliquota ridotta permetterebbe probabilmente di raggiungere diversi obiettivi: da un lato garantire una maggiore neutralità ed equità dellÂ’imposta. Dall’altro ottenere una parte del gettito necessario per il risanamento dei nostri conti pubblici. Dimensione e struttura di un eventuale intervento devono tener conto dell’impatto redistributivo e sul tasso di inflazione.

E vinca il più furbetto

Tutta colpa della pay-tv se il calcio italiano si trova in un circolo vizioso in cui i divari sportivi ed economici si alimentano a vicenda. Più le grandi squadre si rafforzano, più aumenta lo squilibrio, peggiore risulta l’equilibrio competitivo. A migliorare la situazione, poi, non ha certo contribuito la “sospensione” delle leggi ordinarie, come è accaduto al codice civile con il decreto salvacalcio. Intanto, lo Stato aspetta dalle società 650 milioni di imposte arretrate. Soluzioni? La supelega europea, terne arbitrali scelte a livello europeo, il salary cap per i calciatori. O lÂ’applicazione di un sistema fortemente progressivo alle quote d’iscrizione a Lega e campionato, per rispttare le regole antitrust.

Una gerontocrazia solo presunta

A differenza di quanto accade per i politici, i manager italiani non sono sistematicamente più vecchi dei loro colleghi stranieri. Però i dati indicano anche la presenza di una notevole eterogeneità nell’età dei nostri dirigenti. La presunta gerontocrazia dell’impresa italiana maschera dunque una situazione differenziata e di non ovvia interpretazione. Dove l’unica certezza è la riluttanza a usare criteri di selezione meritocratici.

Previdenza professionale tra equilibri ed equilibrismi

I saldi positivi tra contributi e prestazioni previdenziali espressi oggi dalle casse dei liberi professionisti sono un vantaggio provvisorio. La loro sostenibilità finanziaria deve essere rafforzata in modo concreto. Le riforme parametriche introdotte hanno garantito buoni risultati, ma non sono decisivi per ridare equilibrio alle gestioni. Si dovrebbe seguire l’esempio dei dottori commercialisti, che hanno sostituito la formula retributiva con quella contributiva, più equa e rispettosa del vincolo intergenerazionale.

Pensioni: 10 correttivi al posto di uno scalone

Ritoccare le regole di un sistema previdenziale è operazione molto delicata. Si deve dare il tempo ai lavoratori coinvolti di rivedere i propri piani di lavoro e risparmio, evitare di generare nuove sperequazioni e nuovi interventi in futuro. Il Governo Prodi dovrà rimediare agli errori commessi nella scorsa legislatura rivedendo la normativa con orizzonti lunghi, guardando alla sostenibilità del sistema, alla necessità di dare spazio a un secondo pilastro, piuttosto che all’esigenza di fare cassa da subito. Ecco dieci possibili correttivi che mirano ad anticipare l’entrata in vigore del sistema introdotto dalla riforma del 1996.

Le pensioni e l’eredità del centrodestra

I risparmi nella spesa pensionistica si devono per intero ai meccanismi del sistema contributivo, cioè alla legge Dini del 1995. Gli effetti finanziari della riforma Maroni sono circoscritti alla fase di transizione, al periodo in cui gradualmente il sistema contributivo sostituisce il precedente calcolo retributivo. I risparmi ricollegabili all’innalzamento rigido dellÂ’età pensionabile iniziano nel 2008 e assumono una certa consistenza nei vent’anni successivi. Grave non aver rideterminato nel 2005 i coefficienti di trasformazione.

L’accademia che piace a Confindustria

Un documento comune delle associazioni imprenditoriali propone una strategia di riforma dell’università italiana. Se è indubbio che gli atenei debbano essere valutati da un organismo indipendente composto da scienziati di fama internazionale, meno chiaro è perché debbano partecipare alla valutazione esperti del mondo produttivo. Le aziende traggono i principali vantaggi assumendo buoni ricercatori in grado di sviluppare innovazioni di processo e di prodotto. Mentre troppa attenzione agli interessi tecnologici di breve periodo, fa male alle imprese stesse.

Se il ministro sale in cattedra

A Mussi basterebbe una riforma a costo zero per rendere più trasparente e concorrenziale il reclutamento dei docenti nelle università italiane: dovrebbe introdurre l’obbligo che i bandi per posti di professore siano aperti a tutti, senza alcuna specificazione riguardo alla tipologia del candidato. Sarebbe un primo passo verso lÂ’internazionalizzazione e lÂ’adozione del principio di eccellenza anche nei nostri atenei. E permetterebbe il rientro di molti “cervelli in fuga”. Le procedure attuali, soprattutto lÂ’idoneità nazionale, contrastano con questi obiettivi.

Come promuovere l’Italia. E il commercio

Torna il vecchio ministero del Commercio estero. Ma il problema principale non è tanto stabilire in quale dicastero debbano confluire le burocrazie competenti, quanto piuttosto individuare un assetto complessivo delle politiche per l’internazionalizzazione più ordinato ed efficiente di quello attuale. Una possibile riforma corre lungo quattro linee: ridare allo Stato centrale la competenza esclusiva della promozione internazionale, costituire una cabina di regia, trasformare l’Ice in una agenzia governativa, proseguire nella creazione di “sportelli unici” all’estero.

Un’università allo stremo

E’ coralmente accettato che l’Università italiana è allo stremo. Al di là di sporadiche voci a difesa dettate da interessi di bottega, gli osservatori indipendenti – a cominciare dal Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi – concordano sul decadimento della nostra accademia. Nelle graduatorie internazionali non vi è traccia delle università italiane: scomparse. Non ve ne è alcuna tra le principali dieci al mondo; ma neanche tra le principali dieci in Europa

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