E’ stato raggiunto l’accordo sulla riforma delle pensioni. Analizzeremo in dettaglio il pacchetto. Purtroppo non sembra prevista alcuna revisione automatica dei coefficienti di trasformazione, l’unico strumento in grado di garantire al tempo stesso sostenibilità finanziaria ed equità tra le generazioni. Il sistema pensionistico resta governato dalla discrezionalità politica ciò che in passato ha prodotto debito, inefficienza e iniquità. Forniamo ai lettori il testo delle delibere del nucleo di valutazione della spesa previdenziale che stabilisce i criteri per la revisione automatica dei coefficienti. Non c’è bisogno di istituire una nuova commissione e rinviare ulteriormente il problema.
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Un ruolo importante nella determinazione della copertura finanziaria dell’accordo sulle pensioni è attribuito a un “piano industriale volto a razionalizzare il sistema degli enti previdenziali e assicurativi”. In dieci anni dovrebbe garantire risparmi finanziari per 3,5 miliardi di euro. Che di per sé non sarebbero impossibili, ma solo difficili da realizzare, soprattutto per le probabili resistenze politiche e sindacali. Ma a far sorgere più di un dubbio sulla loro reale consistenza è la genericità del progetto. Non a caso è stata prevista una clausola di salvaguardia.
Il “dibattito” in corso sulla riforma delle pensioni sembra preludere a esiti che accresceranno il disordine già imperante. I temi che si affastellano meriterebbero, ciascuno, un’accurata analisi per poi trovare collocazione in un disegno organico di riordino che tenga conto delle interazioni fra i singoli interventi. E quelli riguardanti la fase transitoria andrebbero coordinati con gli altri, di più lungo periodo, inerenti il perfezionamento del sistema contributivo. Invece, la scena è irrimediabilmente dominata dagli interessi immediati.
Laccordo sullincremento delle pensioni basse non va soltanto a favore dei più poveri. Avendo scelto, come criterio per la determinazione del beneficio, il reddito individuale e non quello familiare, una parte del trasferimento totale finisce in famiglie dai redditi complessivi anche molto elevati. Circa il 25% dellincremento complessivo delle pensioni andrà a favore di famiglie appartenenti alle fasce di reddito più alte.
Il presidente del Consiglio presenta la “sua” proposta sulla riforma delle pensioni. Sarebbe un vero peccato se vertesse soltanto sullo scalone, che pure si può ammorbidire. A patto di saper progettare il futuro e di riaffermare il metodo contributivo, il punto forte della riforma del 1995. E l’unico in grado di garantire al tempo stesso sostenibilità finanziaria ed equità tra le generazioni. Essenziale perciò approvare subito i nuovi coefficienti di trasformazione. Altrimenti si torna a un sistema pensionistico governato dalla discrezionalità politica.
Il tavolo delle pensioni sembra incapace di rivolgere uno sguardo al futuro. La dinamica demografica è lenta, ma i suoi effetti sul sistema previdenziale si faranno sentire drammaticamente quando i baby-boomers italiani inizieranno a lasciare il lavoro. Aspettare che anche l’Inps vada in disavanzo prima di agire è sicuramente inefficiente e miope. Ed è anche iniquo verso le generazioni future, che saranno chiamate a sostenere l’intero costo dellinvecchiamento della popolazione. Se le risorse ci sono, utilizziamole pensando ai giovani di oggi.
Una simulazione sui quattro diversi modi di adesione alla previdenza complementare disponibili per i lavoratori italiani mostra che il risultato ottenuto con i fondi pensione è generalmente superiore a quello conseguibile con il Tfr per tutti gli orizzonti d’investimento. I benefici della previdenza complementare possono però essere pesantemente decurtati, e in taluni casi annullati, dalle commissioni sopportate dai lavoratori. E nella scelta si dovrebbe anche tener conto della disponibilità ad accettare rischi sugli investimenti previdenziali.
Il meccanismo del silenzio-assenso doveva servire a indirizzare il risparmio cristallizzato nel Tfr verso impieghi più redditizi. Invece, sulla base di una precisa disposizione di legge, è stato avviato in una direzione intrinsecamente contraddittoria con il fine dichiarato. In più, almeno in prima battuta, i lavoratori “silenti” non beneficeranno del contributo datoriale al fondo pensione. E’ necessaria una adeguata opera di informazione sulle diverse opzioni disponibili, per consentire a ciascuno una scelta esplicita e coerente con il proprio effettivo interesse.
Ancora una volta il dibattito pensionistico italiano è interamente assorbito dalle preoccupazioni di breve periodo. Ma per chi sappia guardare lontano, i risparmi generati dallo “scalone” non sono la vera priorità. Ciò che importa è il completamento della riforma contributiva per la definitiva costruzione di un sistema pensionistico equo e sostenibile. E lelenco degli interventi da fare è davvero lungo.
I lavoratori italiani non sembrano percepire il trattamento fiscale particolarmente favorevole attribuito alla previdenza complementare. I calcoli mostrano che già dopo dieci anni di contribuzione al fondo pensione il valore dell’investimento supera del 14,2 per cento quello ottenibile con una pensione “fai da te” conseguita acquistando titoli. Dopo trenta anni lo scarto è del 23,8 per cento. Il risparmio d’imposta è tanto più alto quanto più elevata è l’aliquota marginale Irpef. L’unico rischio è che in futuro questo regime venga rivisto.