Il mercato della previdenza complementare risulta indubbiamente condizionato dalla mano pubblica, fino a poter parlare di una sorta di azzardo morale. Il compito dei poteri pubblici non può quindi semplicemente esaurirsi nel preordinare meccanismi di controllo delle forme pensionistiche, a protezione dell’interesse degli iscritti. Si dovrebbe pensare seriamente alla necessità di avviare un efficace programma di educazione previdenziale rivolto all’intera popolazione. Le best practice internazionali indicano la strada da percorrere.
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I giovani avranno la pensione? E a quali condizioni? Come agiscono i coefficienti di trasformazione? Un’eventuale nuova riforma comporterebbe vantaggi o svantaggi per chi entra oggi nel mercato del lavoro? E quali conseguenze avrebbe la rimozione dello scalone? Interrogativi basilari, postici dal Forum Nazionale Giovani che chiedono risposte chiare. Ma l’unica via per non penalizzare troppo i più giovani è anticipare l’entrata in vigore delle nuove regole previdenziali. Come in Svezia, dove il sistema contributivo è stato adottato subito per tutti, escludendo solo gli ultrasessantenni.
L’avvento della formula contributiva, necessaria per garantire stabilmente la sostenibilità del sistema, implicherà coperture pensionistiche in progressiva diminuzione. Non potrà essere impedita, e neppure significativamente frenata, dall’aggiunta della pensione complementare generata dalla devoluzione del Tfr. Piuttosto, occorrerà un percorso di continui aumenti dell’età al pensionamento. Il modello contributivo ha gli strumenti per promuoverlo: basta “lasciarlo lavorare” non impedendo le revisioni dei coefficienti di conversione.
Doveva avere un carattere residuale, un’organizzazione agile e una gestione finanziaria limitata al breve termine. I decreti ministeriali trasformano invece FondInps1 in tutt’altro. Ma la presenza di una “normale” forma pensionistica complementare di natura pubblica avrà il progressivo effetto di rendere del tutto marginali le altre tipologie di fondi pensione perché incorporerà, senza penalizzazioni per gli aderenti, un’implicita assicurazione statale di rendimento minimo. Forse sono venuti meno i vincoli ad aggravi della spesa pensionistica pubblica?
La capitalizzazione nazionale estende a tutti l’accesso a uno stesso tasso di rendimento a rischio basso o nullo, grazie al finanziamento a ripartizione e al patto intergenerazionale su cui si regge. Al contrario, la capitalizzazione reale indirizza i capitali previdenziali verso le opportunità migliori, entrando direttamente nel processo di produzione di ricchezza reale. E’ necessario costruire un modello nuovo, fondato su di un mix dei criteri di calcolo e finanziamento, per produrre effetti positivi sia per il lavoratore-investitore sia a livello aggregato.
Undici milioni di lavoratori sono chiamati a decidere sulla destinazione del loro Tfr. Una scelta complessa per diversi motivi. Alla previdenza complementare spetta infatti il compito di compensare il minore livello di copertura fornito dal pilastro pubblico obbligatorio. Utile guardare all’esperienza degli Stati Uniti. Ma ancor di più sarebbe auspicabile il varo di un codice di autodisciplina volto a dettare norme di comportamento omogenee e tutti i soggetti che sollecitano l’adesione ai fondi pensione dovrebbero impegnarsi a osservarle.
Sulla base di stime macroeconomiche, le misure che la legge Finanziaria ha previsto a compensazione delle imprese per la perdita del Tfr sembrano più che adeguate. La soglia dei 50 addetti non sembrerebbe configurarsi, almeno dal mero punto di vista contabile, come un ulteriore vincolo alla crescita dimensionale. Il settore pubblico resta l’unico attore che potrebbe essere interessato a un andamento lento della previdenza integrativa, confermando l’esistenza di un “conflitto di interessi” su questo tema.
Benché le storie contributive dei lavoratori siano molto diverse tra loro, abbiamo tentato una valutazione di convenienza relativa delle alternative a disposizione di chi si trova di fronte alla scelta se lasciare il futuro Tfr in azienda oppure conferirlo a un fondo pensione. Il montante derivante da un fondo chiuso, a parità di contribuzione, è sempre preferibile al Tfr, particolarmente per orizzonti temporali lunghi. Per i fondi aperti, i risultati sono più incerti, perché si ha maggiore volatilità e maggiori costi di gestione. Gli effetti della diversa tassazione.
In Italia la prima rata di pensione arriva in media intorno ai 56,8 anni per gli uomini e 57,1 per le donne. I confronti internazionali mostrano che siano tra i paesi con l’età di uscita dal mondo del lavoro più bassa, addirittura al primo posto fra gli stati europei considerati. Vogliamo aumentare ancora questo divario? Senza prendere decisioni estreme, forse non sarebbe così sbagliato cercare almeno di allinearci alla media europea.
Aggiornare annualmente i coefficienti di conversione, come in Svezia, è il minimo che si possa fare per garantire il principio di corrispettività. Occorrono però ulteriori correttivi senza i quali i coefficienti resterebbero sopravvalutati. Per gli errori che derivano dal ritardo con cui sono approntate le tavole di sopravvivenza e dagli assestamenti cui sono soggette, le soluzioni sono da ricercare in collaborazione con l’Istat. L’errore da calcolo backward looking si elimina solo prevedendo in modo attendibile la sopravvivenza di ogni coorte.