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L’Antitrust in campo

I dati confermano che il calcio italiano soffre di un grave problema di competitive balance. Dovuto al regime di ripartizione dei proventi dei diritti televisivi. Nel 1999 il passaggio alla titolarità individuale era stato favorito anche da un’istruttoria dell’Agcm. Ora si pensa di tornare alla contrattazione collettiva, già autorizzata dalle autorità europee per la Champions League. Un’altra soluzione rispetta le regole antitrust: mantenere i diritti soggettivi, applicando però un sistema fortemente progressivo alle quote d’iscrizione a Lega e campionato.

La deriva americana del calcio italiano

Nel campionato italiano esiste un equilibrio competitivo alquanto modesto. Ma nel calcio il monopolio non paga, tende ad aver effetti sistemici destabilizzanti. Se si riduce l’interesse, si riducono anche le risorse. E il passo successivo potrebbe essere la formazione di leghe alternative, come è infatti avvenuto negli Stati Uniti. Ciò che serve è un meccanismo chiaro, trasparente, predefinito e condiviso di distribuzione degli introiti del calcio tra le diverse squadre, che appare poco dipendente dalle modalità di vendita dei diritti televisivi.

53 ragioni per non aspettare il 53

Il ministro Siniscalco invita a giocare al Lotto “con cervello”. Meglio allora non scommettere sul 53: cognizioni elementari di calcolo delle probabilità consentono di comprendere la debolezza delle strategie di chi gioca sui ritardi nel lotto.

Cronaca di un 2 a 2 annunciato

Il pareggio per 2 a 2 tra Danimarca e Svezia agli europei veniva dato 5 a 1 (5 euro per ogni puntato) dai bookmakers inglesi.  Mai un risultato di questo tipo era stato dato a prezzi così bassi.  Ma sorprende soprattutto il fatto che le quotazioni siano cambiate e di molto anche dopo la partita Italia-Svezia che aveva fornito nuove informazioni agli scommettitori.  Perchè?  Forse perchè è stato il volume delle scommesse a far rivedere le quotazioni bruscamente al ribasso.  Esempio di aspettative razionali e di comportamento razionale dei giocatori nordici.  Consoliamoci col fatto che i più maliziosi (e razionali) di tutti sono stati gli italiani: da noi il pari 2 a 2 era dato a 3,5.  Forse perchè molti nostri concittadini hanno voluto trovare una consolazione monetaria di fronte alla probabile eliminazione della loro squadra. Lo chiamano hedging.

Le soluzioni in campo

La più semplice è seguire il diritto societario e mettere in amministrazione controllata le squadre mal gestite. Anche il lodo Petrucci impedisce alle società con debiti verso il fisco o i giocatori di fare nuovi acquisti. Più dubbi solleva l’idea del salary cap o di una superlega europea, mentre sarebbe auspicabile una sorta di mutualità, che ristrutturi la divisione dei ricavi all’interno dell’industria del calcio in modo che anche i club più piccoli abbiano parti sostanziali degli introiti. Resta comunque il problema di un’autorità di controllo credibile.

E la chiamano crisi

Contrariamente a quanto si crede, i numeri dicono che il calcio è uno dei settori più fiorenti e a più rapida crescita negli ultimi anni. Mai caratterizzato da sane gestioni, è anche un settore che affronta una profonda trasformazione. Ma proprio l’avvento della pay-per-view evidenzia il vero problema: lo squilibrio competitivo fra squadre di grosso richiamo e piccoli club, come dimostrano le vicende dell’estate scorsa sui diritti televisivi. Tutto il resto è normale legge del mercato: alcune aziende sopravvivono e si rafforzano, mentre altre falliscono e scompaiono.

La crisi del calcio

La crisi del calcio nuovamente sotto i riflettori. Riproponiamo ai lettori alcuni contributi che affrontano la genesi del problema e ne discutono possibili soluzioni. Gli interventi di Marco Gambaro (Il calcio è di rigore), Luca Enriques (Ma il problema è il Codice civile), Carlo Scarpa (Stadi vuoti, conti in rosso) e Giuseppe Pisauro (Finale di partita senza pareggio, Un calcio al fisco)

Il calcio è di rigore

Negli ultimi sei anni i costi delle società di calcio sono stati superiori ai ricavi. Le perdite, che superano i tre miliardi e mezzo, sono state ripianate con le plusvalenze generate dalla compravendita di giocatori. Le regole Uefa impongono ora vincoli di bilancio stringenti, compreso un tetto per gli stipendi dei calciatori. Ma per il calcio italiano, il necessario risanamento deve partire dalla ricostruzione di una cornice di regole e istituzioni adatta alla nuova interazione tra dinamiche sportive e concorrenza economica.

Il calcio aspetta il suo Bondi

Lungi dall’essere conclusa, la stagione degli intrecci tra banche, affari e società calcistiche prosegue e si rafforza. Avvicinando pericolosamente il mondo del pallone al baratro del fallimento. I rimedi devono perciò essere drastici e l’opera di risanamento affidata a “facce nuove”. Una profonda riforma che individui meccanismi credibili ed efficaci di controllo e di sanzione per un grande business, che finora ha operato in un mercato senza regole.

Ma il problema è il Codice civile

A rendere necessario il decreto salva-calcio è un articolo del codice civile. Tutela i creditori imponendo la liquidazione o la ricapitalizzazione di una società sulla base di soli dati contabili. Garantisce pochi benefici, ma ha alti costi perché scoraggia l’attività imprenditoriale attraverso società di capitali. Oltre alle squadre di calcio penalizza molte piccole e medie imprese. E infatti una simile regola non esiste nella maggior parte dei paesi europei. Sarebbe perciò più opportuno abolirla del tutto dal nostro diritto societario.

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