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Corbyn, un leader ad alto rischio per il Labour

Il previsto Tsunami nel Labour ha spazzato via gli ultimi residui di Blairismo, ed eletto Jeremy Corbyn alla guida del partito. È difficile prevedere i futuri sviluppi e le possibile profonde conseguenze per il Regno Unito e l’Unione Europea.

Come ho votato per il leader del Labour

A giorni chiudono le urne per l’elezione del leader del Labour party britannico, un partito forse mai così diviso come oggi. Tony Blair teme che stia per essere premuto il pulsante di auto-distruzione: qui spiego come e perché ho scelto tra i quattro candidati.

La Grecia decide il proprio futuro

Come in ogni tragedia greca che si rispetti, c’è qualcosa di inevitabile negli eventi degli ultimi giorni. Un giovane presuntuoso e i suoi collaboratori, ubriachi dal trionfo, si comportano con arroganza in patria e all’estero, insistendo che tutti devono piegarsi alla loro volontà, perché il loro mandato vale più di quello altrui. Cinque mesi dopo, il nuovo governo greco si ritrova con le spalle al muro. Nel frattempo è riuscito ad alienarsi le simpatie di chi sperava che il suo arrivo in scena avrebbe allentato i vincoli di austerità, facilitando un ripensamento della politica economica a livello europeo. Invece no: l’unico risultato sostanziale delle buffonate di Yanis Varoufakis e dei suoi colleghi è stato quello di ricompattare la fragile unità europea, ma nel senso “sbagliato”: rafforzando la linea ordoliberale di chi come Wolfgang Schäuble vedrebbe di buon occhio un’Europa senza la Grecia. Per il resto, grande amicizia con la Russia di Putin (con tanto di inchino del ministro dell’Energia greco al dirigente di Gazprom in diretta televisiva), continuità assoluta con le peggiori tradizioni corrotte e clientelari (dalle ondate di assunzioni di cugini, nipoti, amici e amanti, ai primi grossolani conflitti d’interesse) e svolta autoritaria (con inasprimento della retorica forcaiola e uso disinvolto delle istituzioni statali a fini strettamente di parte). Per quanto riguarda la politica sociale, le tanto attese misure contro la “crisi umanitaria” si sono presto rivelate meno generose di quelle palesemente inadeguate dei governi precedenti. Sul fatto che solo uno su dieci disoccupati percepisce qualsiasi prestazione sociale di sostegno al reddito (nel paese campione europeo della disoccupazione) regna il silenzio assoluto. Il reddito minimo, promosso dalla Commissione europea, viene bollato dal ministro responsabile come “roba africana voluta dall’Fmi”. Allo stesso tempo, secondo gli ultimi dati ufficiali, tra chi è andato in pensione a maggio 2015, uno su quattro ha un’età inferiore a 55 anni (addirittura, è uno su tre nel settore pubblico). Ma “le pensioni non si toccano”, e visto che quelle basse non le vuole comunque toccare nessuno, vengono difese a spada tratta soprattutto quelle baby e d’oro. Dopo cinque anni di austerità e sette anni di depressione, l’economia greca era tornata a crescere nel 2014. Si trattava di una ripresa timida e pallida: +1 per cento. Ma intanto la disoccupazione cominciava a scendere, seppure di poco. Ora non più: nei primi mesi del 2015 la Grecia è ancora una volta in recessione e la disoccupazione sta di nuovo crescendo. Alexis Tsipras è arrivato al potere promettendo agli elettori una medicina miracolosa e indolore: “Stracceremo gli accordi con la Troika, aboliremo l’austerità con un atto parlamentare”. A chi chiedeva “Se è così facile, come mai nessun governo l’aveva pensato prima?” rispondeva “Perché chi era al governo prima era servo dei creditori. Al contrario di loro, noi nelle trattative saremo duri”. “E se i creditori non cedono?” “La probabilità che succeda qualcosa del genere è meno di una su un milione” aveva dichiarato Tsipras in una ormai famosa intervista televisiva pochi giorni prima delle elezioni di gennaio scorso. Adesso è successo quello che non sarebbe mai dovuto accadere. Il governo che avrebbe messo fine all’austerità ha offerto ai creditori un programma di 8 miliardi di euro (cioè poco meno di quello proposto dai creditori stessi), ma molto meno credibile, composto al 93 per cento di improbabili aumenti di tasse. A questo punto, invece di sporcarsi le mani con un nuovo accordo, Tsipras e Varoufakis hanno preferito passare la patata bollente agli elettori, anche a rischio di Grexit, lasciando scadere il programma attuale (martedì 30 giugno) e dando la colpa all’Europa “lontana dalle radici democratiche”. Grazie alla decisione di Mario Draghi di non peggiorare la situazione, la Banca centrale europea non ha staccato la spina al sistema bancario (come presumibilmente imporrebbe il suo statuto), ma non ha neanche aumentato l’iniezione di liquidità (come un po’ incoerentemente chiedeva il governo greco). Risultato: capital controls, limite di prelevamento a 60 euro al giorno, code di pensionati e casalinghe. E sgomento, rabbia, paura. La scommessa di Tsipras è che, con un richiamo da manuale al ferito orgoglio nazionale, la vittoria al referendum sarebbe assicurata. E puntualmente, lo schieramento a favore del “no”, oltre ai nazionalisti di Panos Kammenos, ministro alla Difesa, si è allargato a comprendere i nazionalsocialisti di Alba Dorata. Cosa mai potrebbe andare storto per il governo?
Certo, il Consiglio di Europa, che non si occupava della Grecia dai tempi dei colonnelli, ha espresso il suo allarme per le (tante) irregolarità di questo referendum e per la mancata imparzialità delle istituzioni dello Stato. Ma (come hanno subito spiegato gli opinionisti del regime) tanto si sapeva già che l’Europa non sopporta più il governo greco. Quello che invece non hanno potuto prevedere Tsipras e i suoi, era il risveglio della Grecia europeista – quasi del tutto priva di rappresentanza politica, ma decisa lo stesso a difendere le conquiste più nobili degli ultimi quaranta anni: democrazia avanzata, orientamento europeo e (nonostante tutto) prosperità e coesione sociale. Le masse di cittadini che hanno riempito Piazza Costituzione, non per insultare il governo, né tantomeno per rompere vetrine o bruciare macchine, ma semplicemente per dichiarare pacatamente la loro appartenenza greca e europea (“Restiamo in Europa!”), complicano i calcoli del governo.
E fanno sperare che un’altra Grecia sia possibile.

Ddl concorrenza: l’Armageddon dei notai

Un contratto non è mai a costo zero. L’istituzione-notaio è quella piattaforma che stabilizza le aspettative e riduce incertezze e costi, mentre il giudice è il vero utente finale del rogito dove il plusvalore economico-legale è quindi dato dalla migliore tenuta in causa. Si chiama marketability: nel mercato, ma non-di-mercato.

La lotta per il salario minimo negli Usa

Mercoledi 15 aprile, In quasi 200 città degli Stati Uniti migliaia di lavoratori “a basso salario”, o  low-wage workers, hanno scioperato, durante una giornata di protesta nazionale nell’ambito della campagna #fightfor15. “Fifteen” sta per i 15 dollari all’ora che i lavoratori chiedono come salario minimo, un aumento stellare rispetto all’attuale salario minimo federale di 7,25 dollari, in realtà superato, in genere di poco, in quasi tutti gli stati.

Ma che bel castello…peccato sia chiuso!

I Castelli occupano da sempre un ruolo peculiare nell’immaginario che travalica i confini e le lingue, al centro di innumerevoli narrazioni pur non avendo la stessa geografia globale: infatti sono solo in Europa.

Previdenza e incertezza normativa

Il DDL Concorenza insinua che i Fondi Negoziali siano detentori di rendite a scapito dei loro aderenti. Perciò dispone la portabilità del contributo datoriale, frutto della contrattazione collettiva. In mancanza di qualsiasi dimostrazione che il problema esista e che la proposta sia migliorativa.

Perché chi delinque non paga sanzioni ?

In questi tempi amari di crisi economica e finanziaria, vengono chiesti ai cittadini, magari bravi padri di famiglia ed onesti lavoratori, sempre maggiori sacrifici: aumento delle tasse e delle tariffe dei servizi pubblici, incremento del prezzo del carburante, congelamento delle buste paga e così via dicendo.
Mentre, appare assai strano che ad un governo innovatore non venga in mente di adeguare le pene pecuniarie penali stabilite nel nostro codice penale del 1930 per i diversi reati a carico di chi ha trasgredito alle regole del vivere civile.

Scontro di civiltà o insufficienze della politica?

Gli attacchi terroristici che hanno colpito la Francia turbano per due motivi: la violenza che sprigionano e il bersaglio verso cui si dirigono. Al primo aspetto i media ci hanno quasi abituati, più difficile (ma questo è positivo) è metabolizzare il secondo. Non si può aggredire un giornale, non si può uccidere chi scrive e chi disegna. Indipendentemente da che cosa scrive e disegna. Su forme e contenuti scelti e praticati da Charlie Hebdo esistono pareri differenti. Nello stesso mondo occidentale, alle immagini “in libertà” (è il caso di dire) della tradizione libertaria alcuni preferiscono l’autocontrollo, ai toni forti l’understatement.

Ristrutturazioni pericolose: I tagli dei consiglieri comunali

Una seria riforma del sistema delle autonomie locali avrebbe richiesto lo studio di tutte le problematiche che orbitano attorno al mondo degli Enti locali e non solo di quelle rappresentate dall’anello istituzionale debole: le province.

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