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Banche di nebbia

Nei rapporti tra banche e clienti, il problema numero uno è l’informazione. Nel libro pubblicato da Università Bocconi Editore, Angelo Baglioni accende un faro sulle insidie nascoste nei prodotti finanziari e non solo. Ecco un estratto della introduzione.

Vantaggi di un’imposta che considera l’età

Il Punto

Il Documento di economia e finanza 2017 conferma il quadro degli ultimi anni. Deficit in calo (molto) graduale verso lo zero e un debito che fatica a stabilizzarsi. I conti tornano – come sempre nel Def di primavera – con largo uso di clausole di salvaguardia, da disinnescare in autunno nella legge di bilancio.
Continua a far discutere il caso della tesi di dottorato della ministra Madia. Si mescolano fatti, sospetti e pregiudizi, anche per incolpare senza pezze d’appoggio. In questo secondo intervento presentiamo prove sull’inconsistenza di alcune accuse. Altre rimangono in piedi e richiedono risposte.
L’istituto del referendum – oggi marchio di fabbrica del M5s – spacchetta un tema specifico dalla delega generale data solitamente ai politici nelle democrazie rappresentative. Con il rischio di sottoporre problemi tecnici a scelte viscerali. A usarli più spesso sono i paesi più ricchi e socialmente coesi.
Nessuno chiede allo stato e alle amministrazioni pubbliche di fare profitti. Perché allora si continuano a costituire Spa a capitale pubblico specialmente nel settore dei trasporti? Il sospetto è che, grazie alla loro natura privatistica, siano utili per aggirare molti vincoli di bilancio o di trasparenza chiesti dall’Europa.
Niente paura, la riduzione dell’aspettativa di vita in Italia registrata dall’Istat è dovuta a fattori contingenti che non incidono sul trend di lungo periodo. I progressi scientifici e tecnologici ci condannano a vivere sempre di più. Piuttosto il problema è che anche qui non c’è equità: né territoriale né tra fasce di reddito.
Insieme al bilancio umano che registra oltre 400 mila morti e 5 milioni di profughi, la guerra civile in Siria ha causato pesantissime conseguenze economiche. In un paese che solo sei anni fa presentava disoccupazione stabile, Pil in crescita e un basso debito pubblico. Dall’Africa subsahariana in Europa arrivano pochi rifugiati e tanti migranti che cercano migliori opportunità di reddito. In numeri crescenti. Una politica lungimirante da parte nostra sarebbe quella di spingere la crescita economica nei paesi di origine.

Manuela Ghizzoni, parlamentare Pd e ricercatrice universitaria, commenta l’articolo di Daniele Checchi e Maria De Paola “Da dove verranno i nuovi insegnanti

Nel momento della scomparsa della sorella di Giuseppe Pisauro, la redazione si stringe attorno all’amico e collega.

15 anni de lavoce.info: feste-convegni 5 giugno a Milano e 6 giugno a Roma
Nel 2017, lavoce.info compie 15 anni. Festeggeremo il compleanno con i nostri affezionati lettori e sottoscrittori la mattina di lunedì 5 giugno a Milano e il pomeriggio di martedì 6 giugno a Roma. Intanto: SAVE THE DATE! A breve comunicheremo il come e il dove.
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Buoni docenti per una Buona scuola

Nuovo modello per le assunzioni

Nel loro intervento pubblicato l’11 aprile sul nuovo sistema di assunzione e formazione iniziale degli insegnanti della scuola secondaria, Daniele Checchi e Maria De Paola hanno espresso un giudizio sostanzialmente positivo, accanto al quale non manca comunque la critica ad alcuni specifici aspetti che possono rappresentarne punti di debolezza e quindi infirmare la positività dei risultati.
Prima di dimostrare l’infondatezza delle critiche, ricordo che la riforma rappresenta un vero cambio di paradigma. Ormai da decenni si diventava insegnanti – con modalità cambiate più volte – tramite esperienze dirette sul campo (insegnamenti per supplenza) ed esperienze formative presso le università (Ssis, Tfa, corsi abilitanti, Pas); conseguita l’abilitazione, c’era poi da superare uno dei rari ed erratici concorsi per l’assunzione in ruolo, oppure attendere l’assunzione diretta dalle graduatorie in lento scorrimento. Un sistema che ha causato lunghi e defatiganti precariati, la caccia ai punteggi più che alle competenze, la disaffezione delle persone più brillanti, senza dimenticare gli effetti della presenza nelle scuole di insegnanti ancora non ben formati e i costi economici a carico degli aspiranti docenti.
Il nuovo modello inverte l’ordine: prima un concorso per merito, a cadenza biennale, che selezionerà coloro che hanno la migliore preparazione disciplinare e un buon orientamento metodologico e psico-pedagogico; poi un percorso triennale, retribuito, di formazione alle competenze professionali e tirocinio (Fit) riservato ai vincitori del concorso e cogestito da università e scuole. Chi supererà positivamente il percorso Fit sarà assunto a tempo indeterminato come docente.

Nessun nuovo precariato

Una preoccupazione di Checchi e De Paola è che il concorso possa generare un numero di vincitori eccedente il fabbisogno reale di docenti. È forse sfuggito loro che non sarà messo a concorso alcun posto di insegnante che non corrisponda a un posto che si renderà vacante e disponibile al termine del periodo di formazione dei vincitori del concorso e che non ci saranno altri vincitori oltre quelli in numero pari ai posti messi a concorso. Non si alimenterà, quindi, nuovo precariato e, soprattutto, non ci saranno gli abilitati senza cattedra, che hanno rappresentato, incolpevoli, una sorta di incubatore di frustrazione e di precariato.
Molta dell’efficacia del sistema dipenderà dal rigore del lavoro valutativo delle commissioni, chiamate a giudicare soprattutto competenze professionali maturate nel triennio dai vincitori di concorso. Le commissioni saranno costituite da personale della scuola e del mondo accademico, per superare l’ingiustificata separazione di funzioni che ha contraddistinto fino ad ora la formazione iniziale e il reclutamento dei docenti: all’università la formazione e alla scuola la selezione, senza una solida condivisione degli obiettivi formativi e professionali da raggiungere. A questa nuova collaborazione strutturata e paritetica tra scuola e università spetterà anche la responsabilità di intercettare, per tempo, coloro i quali non dimostrassero attitudini e competenze adeguate alla funzione docente.
Come ogni riforma profonda, anche questa dovrà affrontare una fase transitoria che terrà conto della varietà dei docenti precari, generati dalla stratificazione di scelte pregresse e disorganiche. Il decreto legislativo tiene dunque conto di coloro che sono inseriti nelle graduatorie poste a esaurimento nel 2007, dei vincitori e idonei del concorso 2016, nonché dei già abilitati all’insegnamento e di coloro che, pur non essendo abilitati, insegnano da anni. In alcune regioni e discipline queste categorie sono già esaurite o in esaurimento (tanto che sono chiamati a insegnare anche neolaureati), in altre contengono ancora migliaia di persone. Per loro non sono previste sanatorie, bensì uno specifico percorso valutativo e formativo, differenziato in base alle esperienze già maturate e ai diversi titoli conseguiti, che consentirà nel tempo, a chi lo supererà, di essere assunto in ruolo su quote riservate di posti. Tutte le assunzioni saranno effettuate esclusivamente sulle disponibilità dell’organico attuale, frutto del turn-over o della trasformazione di posti dell’organico di fatto (insegnamenti ora coperti da precari) in organico di diritto. Non avverrà dunque alcuna “infornata”. Allo stesso tempo, per non privarsi dell’apporto dei laureati più giovani e motivati, ogni concorso, sin dal primo del 2018, riserverà loro una quota di posti, che crescerà progressivamente nel tempo, via via che la fase transitoria si andrà esaurendo nelle varie regioni e classi di concorso.
Merito, formazione, ricerca educativa integrata alla quotidianità della scuola, valutazione e programmazione sono i principi direttivi della riforma che è, innegabilmente, organica: ad essi sono parimenti ispirati il nuovo regime ordinario e quello transitorio, con l’obiettivo di assicurare buoni docenti per una buona scuola.

Manuela Ghizzoni, Parlamentare Pd e ricercatrice universitaria

Il Punto

Aspettando il Def (in ritardo), parliamo d’altro. Ad esempio del fatto che, nella sua tesi di dottorato, la ministra Marianna Madia ha fatto ampio uso di copia e incolla e omesso di citare debitamente le sue fonti e i nomi di chi aveva lavorato con lei. Tante però le falsità scritte dai media sul caso. Rimangono vari aspetti non chiariti dall’esponente del governo.
I decreti attuativi della “Buona scuola” mettono le premesse per selezionare i nuovi insegnanti come si deve: mediante concorso e con un’adeguata formazione. Tuttavia, senza una programmazione nazionale del fabbisogno di docenti e con una popolazione studentesca stagnante, arriveranno solo nuove legioni di precari. Fino a ieri si riteneva che i bambini cresciuti in un buon asilo nido maturassero un vantaggio cognitivo per il resto della vita, specie se provenienti da famiglie svantaggiate. Nuovi studi dicono che l’effetto, invece, svanisce in pochi anni. Rimangono esiti positivi su personalità, autostima, autocontrollo.
Mentre a Ivrea si è celebrato il suo co-fondatore Gianroberto Casaleggio, a Roma il M5s che guida la giunta vuole generalizzare la democrazia diretta con petizioni on-line, referendum su tutto e bilanci comunali partecipativi. Ma è più marketing politico che una vera rivoluzione.
Mario Draghi ha spiegato che si parlerà di aumento dei tassi in Europa solo una volta che l’inflazione sarà ritornata stabilmente al 2 per cento anche senza i massicci stimoli monetari degli ultimi anni. Condizioni ancora lontane dal verificarsi, secondo la Bce.
I dazi che Trump minaccia d’imporre sulle merci europee sono il riaffacciarsi di una controversia sull’import di carni americane tra Washington e Bruxelles iniziata nel 1989 e su cui il Wto aveva dato ragione agli Usa. Il Ttip avrebbe sanato il conflitto. Ma ora l’accordo transatlantico non c’è più e così il presidente Usa ha riaperto rudemente il file.

Tommaso Monacelli risponde ai commenti al suo articolo “Inflazione, la tassa occulta che piace allo stato

Nel momento della scomparsa della sorella di Giuseppe Pisauro, la redazione si stringe attorno all’amico e collega.

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Perché l’inflazione resta comunque una tassa patrimoniale

Famiglie, imprese e redistribuzione

Ringrazio molto i lettori per i commenti al mio articolo “Inflazione, la tassa che piace allo stato”. Riassumendo, ci sono tre tipi di considerazioni: 1. l’articolo ignora la redistribuzione all’interno del settore delle famiglie; 2. ignora il settore imprese; 3. se è vero che l’inflazione è una tassa che redistribuisce ricchezza reale dalle famiglie allo stato, cosa impedisce allo stato di redistribuirla a sua volta, magari a favore di famiglie più bisognose?
Sul primo punto, è certamente vero che non mi sono soffermato sulla redistribuzione all’interno del settore delle famiglie, ma ciò è dovuto a mere ragioni di spazio. Se è vero che l’inflazione ha potenti effetti di redistribuzione della ricchezza reale dai creditori ai debitori, è altresì vero che esistono famiglie “debitrici” e famiglie “creditrici”. Di solito, le prime sono famiglie di giovani che fanno un mutuo per la prima casa e si indebitano nella prospettiva di crescita di reddito futuro. Le seconde sono famiglie mature che risparmiano in vista della vecchiaia. Il lavoro di Klaus Adam e Junyi Zhu citato nell’articolo riporta dati anche su questa dimensione della redistribuzione. Invito quindi i lettori interessati a consultare quello studio.
Quanto al secondo rilievo, in realtà il settore imprese è conteggiato nella misura in cui la posizione finanziaria netta del settore famiglie include (secondo un conteggio complesso, i cui dettagli si trovano nello studio di Adam e Zhu) la partecipazione in aziende.
Sul terzo punto, certamente nulla vieta che lo stato decida di redistribuire la tassa da inflazione (che, si noti bene, è diversa dalla tassa da inflazione dovuta al signoraggio della banca centrale) in favore di settori specifici della popolazione. Ma questo vale per ogni altro tipo di tassa ed è quindi un problema del tutto separato. Il punto dell’articolo è sottolineare che anche tassi di inflazione moderati possono corrispondere a vere e proprie tasse patrimoniali. Che poi si possa decidere, a monte, di tassare il patrimonio per ragioni, a valle, di tipo redistributivo è un problema di politica fiscale concettualmente separato. Ripeto: ciò non toglie nulla all’implicazione logica che l’inflazione, di per sé, sia una tassa patrimoniale.

Il Punto

La politica (anti)ambientale di Trump manda in soffitta gli impegni Usa-Cina per la riduzione del CO2 e quelli successivi presi alla Conferenza di Parigi. E permette a Pechino di guidare la lotta per il clima. All’interno del paese illude i lavoratori dell’industria del carbone, la cui estrazione costa più delle alternative.
Per i politici in cerca di popolarità a buon mercato la proposta di abolire i ticket sanitari è un classico, ricomparso in questi giorni. Il rischio è di far salire la spesa sanitaria non coperta. Meglio sarebbe riformare il sistema delle compartecipazioni alla spesa e delle esenzioni. C’è chi non paga nulla e chi moltissimo, senza tetti. Anche sul territorio il sistema è squilibrato, dato che ogni regione fa la propria politica dei ticket. Spesso determinata in funzione di esigenze di cassa piuttosto che per ridurre l’eccessivo consumo di farmaci.
In calo continuo per cinque anni, il numero di banconote in circolazione in Italia ha ricominciato a crescere l’anno scorso dopo l’innalzamento del limite all’uso di contante da mille a 3 mila euro deciso dal governo Renzi. Senza accompagnarsi a un pari aumento dei consumi delle famiglie. Tutto quel “cash” è finito altrove.
Sono passati otto anni dal terremoto dell’Aquila, quasi cinque dal sisma in Emilia, pochi mesi da quelli in Italia centrale. La successione dei disastri ha portato a migliorare marginalmente gli aiuti alle famiglie per le necessità economiche del giorno dopo: mutui e bollette da pagare, auto distrutte, tasse. Manca però una legge generale sulle emergenze. Anche in tema di ricostruzioni trasparenti post-calamità arrivano le nuove norme sugli appalti. In linea con le direttive europee, la procedura per le gare pubbliche ora tiene conto di un rating sui comportamenti passati delle imprese. Chissà come sarà tradotta nei nostri regolamenti: dando più discrezionalità alle stazioni appaltanti, oppure, come in Francia e Germania, con una rigida applicazione delle norme Ue?

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Il Punto

I dati Ocse mostrano che l’economia italiana ha bisogno di tagliare le tasse sul lavoro. E infatti il governo sta studiando l’ipotesi di una sforbiciata al cuneo fiscale. Ma una riduzione delle aliquote Irpef accompagnata allo sfoltimento della giungla delle attuali agevolazioni sarebbe meglio capita dai contribuenti. Sullo sfondo, la minaccia dei dazi di Trump e i più recenti dati Istat sul lavoro. Scende la disoccupazione non per la crescita degli occupati ma perché aumentano le persone che hanno smesso di cercarlo.
Gli ulivi pugliesi, con i conflitti associati al loro “espianto”, fanno ombra alle questioni politico-strategiche sollevate dalla realizzazione del Tap, gasdotto tra Azerbaijan e Italia. Che non sarà la soluzione alla nostra eccessiva dipendenza energetica dalla Russia ma è comunque un’infrastruttura utile. Da mettere dove stabilito, sulla base di controlli e verifiche di ogni genere. Ma a poco serve l’analisi di impatto delle opere infrastrutturali di fronte a contestazioni di principio.
Talvolta si dice che anche i ricchi piangono. In Italia non è vero per tutti. Tra le categorie in cima alla piramide professionale, i dirigenti ammettono di essersela cavata bene durante la crisi degli ultimi anni. Mentre il malessere sociale di imprenditori e professionisti è pari a quello di operai e autonomi. Nello stesso periodo è anche cambiato lentamente il modo di impiegare la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane. Più risparmio gestito (34 per cento del totale) – cioè fondi comuni e strumenti assicurativi e pensionistici – e meno “fai da te”, mentre i depositi bancari e postali restano alti, al 32 per cento del totale. Dati che confermano l’allarme sull’analfabetismo finanziario lanciato qualche giorno fa dal governatore di Bankitalia Ignazio Visco. Ma le iniziative istituzionali per uscirne sembrano episodiche e insufficienti. Ci vorrebbe una grande campagna nazionale. Qualcosa tipo il “Non è mai troppo tardi” del maestro Manzi negli anni del boom.

Occhio a chi esce dal mercato del lavoro

A febbraio il tasso di disoccupazione è sceso all’11,5 per cento, -0,3 punti rispetto al mese precedente. Lo dice l’Istat, che allo stesso tempo sottolinea come questa riduzione sia da attribuire maggiormente a un aumento degli inattivi tra i 15 e i 64 anni, ossia coloro che sono fuori dalla forza lavoro, piuttosto che a un aumento degli occupati. Infatti, a fronte di una riduzione dei disoccupati di 83 mila unità, gli occupati crescono solo di 8 mila. Mentre gli inattivi registrano un aumento di 51 mila unità.
Tuttavia, andando oltre le oscillazioni mensili, si nota che la tendenza di medio periodo degli inattivi è significativamente decrescente. Oggi le persone fuori dalla forza lavoro sono il 9,8 per cento in meno rispetto a inizio 2011. Segno che comunque, nonostante gli anni di crisi, in Italia si è continuato a ricercare un’occupazione.

Il Punto

Con l’inizio ufficiale della Brexit, Ue e Regno Unito hanno due anni per negoziare le modalità del divorzio e i contenuti delle loro future relazioni commerciali. Passando per l’approvazione delle istituzioni britanniche ed europee. Una strada accidentata che potrebbe anche riportare a un ripensamento sulla decisione.
Torna un po’ di inflazione, e con essa i suoi effetti redistributivi poco visibili. A guadagnarci sono i debitori (che restituiscono denaro dotato di un minor potere d’acquisto) a discapito dei creditori. Da noi, il principale debitore è lo stato mentre i creditori sono le famiglie. Ecco perché l’inflazione è una tassa.
Transparency international accusa la Bce di Mario Draghi di essere andata oltre il proprio mandato in casi come il salvataggio della Grecia o del Montepaschi. Se lo ha fatto, è perché si è assunta compiti (e rischi) che nessun altro voleva prendersi. Per salvare la moneta unica.
Se i vitalizi agli ex-parlamentari sono generosi – anche dopo la riforma di cinque anni fa – è perché le loro indennità durante il mandato sono molto alte (forse troppo). Ma dal punto di vista attuariale ora sono corretti. La vera iniquità è nei trattamenti pre-2012, non basati sul sistema contributivo. È lì che bisogna tagliare.
Ritorniamo al confronto sull’ipotesi di aliquote Irpef legate all’età del contribuente. Tra i possibili vantaggi indicati da alcuni studi c’è quello di legare la loro entità a una caratteristica certa del contribuente. E anche che il trattamento, alla lunga, riguarda tutti i cittadini.
Qual è la situazione dei servizi idrici a sei anni dal referendum? Gli investimenti cominciano a prender piede, da parte sia delle multiutility quotate sia delle società a controllo pubblico. Ma – è il caso di dirlo – con il contagocce.

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