Fca rischia di pagare una multa di 4 miliardi di dollari – un quarto del suo valore di borsa – perché l’Epa (l’agenzia di protezione dell’ambiente che ha colto in castagna Volkswagen) la accusa di aver usato un software che trucca le emissioni. Ma a Washington qualcosa potrebbe cambiare con l’insediamento di Trump.
Ubi compera al prezzo di un caffè quel che rimane di Etruria, Marche e Carichieti, le tre “good bank” (virgolette d’obbligo). Giungono così al capolinea istituti considerati pochi anni fa campioni del localismo bancario. In realtà centri di erogazione del credito secondo gli interessi dei ras locali. Al primo posto quelli delle costruzioni. Intanto arrivano i piani individuali di risparmio (Pir). Strumenti d’investimento nell’economia reale senza tasse ma con rischiosi vincoli di durata minima di cinque anni. Speriamo non si rivelino l’ennesimo regalo a banche e intermediari che per il disturbo incassano laute commissioni.
Il 2017 festeggia i 60 anni del Trattato di Roma con tanti appuntamenti elettorali nei paesi Ue: si vota in Francia (due volte), Germania, Paesi Bassi e forse in Italia. Alta probabilità che si affermino partiti anti-establishment, euroscettici e in qualche caso xenofobi. E alti rischi per l’Europa che abbiamo visto finora.
Grandi gruppi francesi comprano imprese italiane a mani basse ma quando noi proviamo a entrare nel capitalismo transalpino troviamo mille difficoltà. Non tanto per una questione di protezionismo. Piuttosto come produttori e investitori loro sono più internazionalizzati di noi. Un protezionismo che solleva timori è invece quello annunciato da Trump. I paesi emergenti, a partire dal Brasile sono giustamente preoccupati e temono che possibili turbolenze finanziarie dirottino la liquidità da loro agli Usa.
Ha una laurea con 110 in una disciplina scientifica nel Nord Italia, un’esperienza Erasmus, va in Germania, Francia o Inghilterra per guadagnare il 36 per cento più che da noi, con prospettive di carriera molto migliori. È, secondo i dati Istat, l’identikit tipico di uno dei 14 mila giovani che emigrano ogni anno.
Una precisazione di Gabriele Toccafondi, sottosegretario al Miur, relativa all’articolo di Massimo Greco “Scuole paritarie: la sentenza che blocca i contributi statali”. E la replica dell’autore.
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Il Miur e le scuole paritarie
Di Desk
il 12/01/2017
in Commenti e repliche
In merito al commento dal titolo “Scuole paritarie: la sentenza che blocca i contributi statali”, a firma di Massimo Greco, pubblicato il 5 gennaio scorso sulla testata giornalistica lavoce.info, si ritiene di dover fornire alcuni chiarimenti.
La legge 296/2006 art.1, commi 635 e 636, come è noto, stabilisce che, “al fine di dare il necessario sostegno alla funzione pubblica svolta dalle scuole paritarie nell’ambito del sistema nazionale di istruzione”, il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca definisce annualmente, con apposito decreto, i criteri e i parametri per l’assegnazione dei contributi alle scuole paritarie e, in via prioritaria, a quelle che svolgono il servizio scolastico senza fini di lucro.
Sulla base di tale norma, i contributi sono stati assegnati alle scuole paritarie “senza fine di lucro”, individuate sulla base di un criterio soggettivo-formale, ovvero sulla base della struttura sociale o delle disposizioni statutarie delle medesime scuole.
Come riferito nell’articolo, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 292/2016, ha ricondotto i criteri di individuazione delle scuole paritarie beneficiarie dei contributi in via prioritaria ai parametri europei, ovvero riconoscendoli in favore di quelle scuole paritarie che svolgono il servizio pubblico scolastico senza scopo di lucro inteso in senso oggettivo.
Sulla base del criterio oggettivo le attività didattiche possono considerarsi effettuate con modalità non commerciali, quando la scuola paritaria svolge il servizio scolastico “a titolo gratuito o dietro versamento di un corrispettivo tale da coprire soltanto una frazione del costo effettivo del servizio”. Il parametro è quindi quello di una retta inferiore al costo medio per studente stabilito annualmente dall’Ocse e pubblicato dal Miur; criterio già previsto dal Regolamento sull’esenzione dell’imposta comunale degli immobili degli enti non commerciali (DM 200/2012).
Le scuole paritarie, pertanto, stabilendo rette inferiori al costo medio per alunno, svolgono un servizio pubblico che giustifica l’erogazione dei contributi da parte dello Stato.
Infine, la sentenza n. 296/2016 è stata attuata dal Miur, essendo stato peraltro rigettato il ricorso presentato dall’Aninsei avverso il decreto adottato dal Ministro pro tempore, relativo ai contributi per l’anno scolastico 2015-2016. Il Consiglio di Stato, con sentenza n.5259/2016 del 17 novembre 2016, ha dichiarato inammissibile il predetto ricorso, accogliendo le tesi difensive dell’Amministrazione e della Fism intervenuta nel giudizio, ponendo fine al predetto contenzioso.
I contributi alle scuole paritarie, pertanto, non sono “bloccati”, ma in corso di assegnazione.
Si deve evidenziare, inoltre, che i medesimi contributi, annualmente assegnati, pari a circa 500 milioni di euro, consentono un risparmio di spesa per lo Stato pari a 6 miliardi, considerato che il costo medio per studente di scuola statale è di 6.800 euro circa e quello per studente di scuola paritaria è di 500 euro l’anno.
Tali erogazioni consentono di fornire un servizio pubblico, in considerazione dei costi che lo Stato dovrebbe sostenere e che non potrebbe garantire se non attraverso le 13 mila scuole paritarie.
Gabriele Toccafondi, Sottosegretario, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
La replica dell’autore
Pur condividendo le motivazioni di opportunità politica e finanziaria che animano la scelta ministeriale, la questione rimane aperta in punto di diritto. Soprattutto per la rinnovata esigenza di conformare il nuovo “parametro di misurazione” – adottato dal MIUR col DM n. 367/2016 per definire l’attività didattica esercitata con modalità non commerciali delle Scuole paritarie per l’anno 2015/2016 – alla giurisprudenza europea in materia di aiuti pubblici. E nulla innova l’ultimo pronunciamento del Consiglio di Stato.
Massimo Greco