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Categoria: Rubriche Pagina 134 di 256

Attenti a quei soldi

Servirebbe anche in Italia una autorità che abbia come specifico obiettivo la protezione del risparmiatore sull’esempio degli Stati Uniti? È una delle domande a cui cerca di dare risposta l’ultimo libro di Luigi Guiso (Università Bocconi Editore). Ne proponiamo qui un capitolo.

Il Punto

Si è detto che gli elettori pro e contro Brexit si differenziano per età, istruzione e territorio. A ben guardare però la discriminante più profonda è tra chi ha valori ostili all’inclusione e chi ha una concezione del mondo libertaria. I primi, i sostenitori del “Leave”, somigliano molto ai supporter americani di Trump. Proprio la Brexit sembra l’aggancio per costituire un governo in Spagna. Dove le recenti elezioni hanno confermato la frammentazione in partiti che non vogliono né possono allearsi. Eppure se popolari e socialisti si accordano sulla gestione dei drammatici problemi europei, una “grosse koalition” è possibile. In Italia, nelle animate discussioni sul referendum che potrebbe sancire la fine del bicameralismo perfetto si è parlato poco di come cambierebbe il potere d’influenza delle lobby. Che, con procedure legislative più spedite, avrebbero meno possibilità di insabbiare i provvedimenti.
Con il decreto banche appena diventato legge si mette una pezza tardiva alle perdite degli obbligazionisti delle quattro banche “salvate” a fine 2015. Un’autorità a difesa dei risparmiatori – separata dai controllori Consob e Bankitalia – potrebbe evitare il ripetersi di questi episodi.
Ce lo ricorda spesso la Commissione europea: siamo il paese che negli ultimi due anni ha più beneficiato della flessibilità nei conti pubblici. Ma quanto durerà il trattamento di favore? E ne stiamo facendo buon uso?
Con la voluntary disclosure di quasi 130 mila contribuenti italiani, le attività mobiliari e immobiliari riemerse e domiciliate all’estero possono essere rintracciate nel database dei beni pignorabili. E diventa più facile la rivalsa per il creditore con un titolo esecutivo.
All’Ocse li chiamano studenti resilienti. Sono quel 6,4 per cento di alunni che superano situazioni socio-economiche di svantaggio ottenendo buoni risultati scolastici. Ce ne sono meno nel Mezzogiorno dove la sfida è più difficile. Mettere più soldi per aumentare il numero di questi ragazzi è un buon uso del denaro pubblico.

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Il Punto

Mentre nell’ingovernabile Spagna torna il “voto utile” e vanno in soffitta le aspirazioni di governo di Podemos, la slavina Brexit produce i suoi effetti. In Gran Bretagna – dove scozzesi, nordirlandesi e londinesi hanno per lo più scelto il Remain – incombe lo spettro del Regno Disunito. Ma l’opzione di rimanere nella Ue è giuridicamente possibile solo per la Scozia. Il referendum inglese ha anche diviso le generazioni. I giovani che hanno votato volevano restare in Europa. Ma più del 50 per cento di quelli sotto i 25 anni sono rimasti a casa. In campo economico, l’aumento delle barriere al commercio internazionale potrebbe costare alle famiglie britanniche tra 850 e 1.700 sterline all’anno. Ed è incerto il futuro della piazza finanziaria di Londra poiché gli operatori con base sulle rive del Tamigi perderanno l’accesso al mercato comunitario. E così Cameron auspica per il suo paese un’Europa à la carte che Bruxelles vede come il fumo negli occhi.
Intanto, visti i tempi eccezionali, tanti chiedono alla Bce una politica monetaria non convenzionale al cubo: distribuire denaro ai cittadini (“helicopter money”). Sostituendo, di fatto, i governi in un’azione di politica fiscale. Meglio valutare prima le possibili conseguenze. Chi certo non innaffia di soldi la clientela sono le banche che piazzano i fondi d’investimento. E anzi si inventano modi per mungere i risparmiatori sotto forma di occulte commissioni di collocamento incassate giorno per giorno per un totale pari a un terzo dei loro utili.
Contribuiscono alla deflazione i salari in diminuzione (-0,7 per cento, -1,4 nella sola industria, primo trimestre 2016 su 2015). Difficile aumentarli quando la produttività ristagna. Se non riducendo il cuneo fiscale.

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Il Punto

La vittoria del sì alla Brexit porta la Gran Bretagna verso il Regno Disunito (Scotexit sarà il prossimo passo?) e il sistema finanziario entra in un tunnel. Come se non bastasse, altri rischi incombono. Ben vengano dunque gli stress test sulle grandi banche europee. La novità è che i risultati dei test non porteranno a bollini blu o rossi per le banche ma rimarranno nel back office delle autorità di vigilanza che potrebbero applicarli in modo differenziato tra paesi. Un grande problema dietro ai risultati del referendum inglese così incerto è il timore a fronte del flusso inarrestabile di profughi. L’Onu ne ha contati 65,3 milioni in tutto il mondo, di cui solo 1 milione è entrato nella Ue nel 2015. Pochi rispetto al totale. Molti per un’Unione che non ha una strategia condivisa nell’affrontare il problema. È luogo comune che con l’immigrazione aumenti la violenza. Ma nuovi dati dicono che, per il ventiquattresimo anno consecutivo, gli omicidi sono in calo fino al loro minimo storico nel nostro paese. E – ancora in barba agli stereotipi – la diminuzione è più marcata al Sud.
“Cara Enel, se fai soldi con la banda larga devi distribuirli anche ai tuoi utenti elettrici”. È questo in sostanza ciò che l’Autorità per l’energia è orientata a dire all’ex monopolista che ha deciso di fare una rete tlc in sinergia con quella elettrica. Una mossa che cambia gli assetti di mercato e anche il quadro di regole.
Che ne è dei patti per il Sud fondati sul Masterplan presentato dal governo sette mesi fa? Dovrebbero definire in ciascuna area territoriale gli interventi prioritari e trainanti per lo sviluppo. In realtà ripresentano progetti senza criteri di razionalità economica e non prevedono risorse aggiuntive. Un film già visto.
Passato l’esame di maturità di questi giorni, molti studenti cercano percorsi universitari che diano competenze subito spendibili in un lavoro, come chiedono molte imprese. Ma l’acquisizione di una preparazione generale rimane un’assicurazione contro la rapida e imprevedibile evoluzione delle tecnologie.

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Il Punto

Dopo una campagna piena di colpi bassi e anche tragica, si tiene giovedì il referendum sulla Brexit. Disinformazione e toni xenofobi da parte degli anti-Ue. Cifre catastrofiche poco documentate sull’altro fronte. Riproponiamo in un Dossier gli articoli pubblicati da Lavoce.info sul referendum fin dal gennaio 2013. E seguiamo i recenti sondaggi sulle mutevoli e incerte intenzioni di voto.
Per la prima volta Roma e Torino saranno governate da due donne grilline. Un’importante novità. Vecchie e nuove amministrazioni locali (come anche il governo centrale) dovranno misurarsi con un difficile banco di prova: l’assenza di sostegni monetari per quasi la metà delle famiglie in povertà assoluta e un terzo di quelle della fascia Isee più bassa.
A pesare sulle scelte dell’elettorato femminile – dice una ricerca su elezioni locali passate – può essere la capacità di offrire messaggi positivi, mentre agli uomini piacciono messaggi negativi, di attacco all’avversario. Tra pochi mesi ne avremo un test in America, con la contesa Trump-Clinton.
Continuiamo a raccontare come è cambiata la società italiana. Nel 1995 a praticare la religione era il 30 per cento degli uomini e quasi metà delle donne. Oggi siamo, rispettivamente, al 23,3 e al 34,3 per cento. Gradualmente, come altrove, scende la religiosità ma anche il divario di genere nel frequentare la chiesa.
Abuso di posizione dominante: su questa ipotesi ha aperto una procedura la Commissione europea contro Google-Android. Sotto accusa gli accordi vincolanti con i produttori di smartphone. Ma, a ben guardare, il caso è diverso da quello che costò a Microsoft una maxi-multa e lo spacchettamento di Windows.

300 parole: “Se c’è l’incendio non ti assumo” di Andrea Boitani e Salvatore Modica.

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Meno Europa, siamo inglesi

Il Punto

Alla vigilia della seconda votazione che eleggerà 120 sindaci (altri 22 sono passati al primo turno) nei comuni sopra 15 mila abitanti  rimane in parte aperta la questione su come stanno funzionando le coalizioni “a geometria variabile”, modello Milano e modello Roma.
Nelle settimane precedenti il terribile assassinio della deputata laburista Jo Cox, ha continuato a crescere nei sondaggi il supporto per la Brexit, l’uscita del Regno Unito dalla Ue. Che, in ogni caso, sarebbe tutt’altro che immediata. Tre i possibili scenari, tutti accidentati: adesione britannica a trattati esistenti, accordo ad hoc con l’Europa, riforma complessiva dell’Unione. Nel frattempo, anche a causa del referendum inglese, si consuma il fallimento di Janet Yellen, presidente della Fed, nel rialzare l’inflazione Usa verso il 2 per cento, e con esso anche il suo impegno di far salire i tassi d’interesse nel 2016.
Sempre modesta l’entità del risparmio degli italiani investito in previdenza complementare che rappresenta solo il 3,4 per cento delle attività finanziarie delle famiglie ed è raccolta da una pletora di fondi la metà dei quali ha meno di mille iscritti. Lo dice la Covip, l’autorità che vigila sul settore. La Consob, invece, da ente vigilante è sempre più vigilata. Non solo per gli errori del suo presidente Vegas ma anche perché da luglio dovrà vedersela con le nuove norme di Bruxelles che vietano il doppio binario tra authority e giustizia penale nella punizione degli abusi di mercato.
Lascia il tempo che trova la soddisfazione per la crescita dell’occupazione in Italia. Svanisce, infatti, appena si guarda a uno studio Ocse che confronta i dati pre-crisi (2007) con gli attuali e attesi nei diversi paesi. In breve: noi recuperiamo più lentamente degli altri.
È arrivato il tempo dell’auto tutta elettrica di massa? Dal crogiolo supertecnologico di Palo Alto, Tesla ci scommette. Con il suo nuovo modello di berlina premium a prezzo molto concorrenziale punta ai grandi numeri. Una sfida ad alto rischio ai costruttori tradizionali e di vetture ibride.

Alberto Donzelli e altri studiosi commentano (12) l’articolo “Epatite C: se il farmaco costa troppo per essere usato” di Cinzia Di Novi e Vincenzo Carrieri. Con la risposta degli autori.

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La risposta degli autori

La risposta degli autori a due articoli di commento (1 e 2).

Ringraziamo gli autori per i commenti. Ci teniamo a precisare che il dato che abbiamo citato nell’articolo su Lavoce.info fa riferimento ad uno studio epidemiologico pubblicato  dall’Università Tor Vergata. Nell’articolo abbiamo riportato il termine “malati” ma concordiamo sul fatto che il termine “infettati” sarebbe stato probabilmente più corretto.
Il nostro articolo non ha l’ambizione né di stimare l’efficacia del farmaco e neppure i differenziali di aspettative di vita tra trattati e non. Il riferimento alla fine dell’articolo ai farmaci innovativi che potrebbero contribuire a salvare vite umane o migliorare lo stato di salute dei pazienti rientra chiaramente nel dibattito più generale legato al trade-off tra protezione brevettuale e accesso ai farmaci innovativi.
Per quanto riguarda, infine, il terzo punto sollevato dagli autori, vogliamo ribadire che l’articolo evidenzia le problematiche relative all’accesso al farmaco dovute agli elevati costi della terapia. Tali costi impongono evidentemente delle liste d’attesa. Sulla possibilità che l’attesa possa essere o meno giustificata o auspicabile (in alcuni casi)  non ci siamo espressi poiché una valutazione di questo genere non è di nostra competenza.

Cinzia Di Novi e Vincenzo Carrieri

Epatite C: perché no a screening di massa*

Prevenire il cancro epatico

In un precedente commento si è parlato di fattori di rischio per Hcv e progressione delle complicanze, poco noti alla popolazione e trascurati dai sanitari. Completiamo l’informazione su fattori protettivi e screening.

Frazione di cancro epatico prevenibile nella popolazione associata a fattori protettivi

Caffè: circa -34 per cento, se tutti ne bevessero come il gruppo che gli studi classificano come maggior bevitore (e l’effetto-dose è stato stimato a circa -25 per cento per tazza). La protezione vale anche per altre epatopatie in vari stadi di gravità, secondo una revisione sistematica e metanalisi

– Fibra alimentare: -31 per cento se tutti ne consumassero come il quarto di popolazione che ne consuma di più, con -30 per cento di rischio per ogni 10 grammi di fibra al dì consumati

– Pesce: -24 per cento se tutti ne consumassero come il quarto di popolazione che ne consuma di più. Ogni 20 g/die in più di pesce si associano a -20 per cento del rischio di cancro epatico; un -14 per cento si osserva anche con la sostituzione di 20 g di pesce a 20 g di carne al dì. I risultati sono simili anche negli infetti con Hbv o Hcv

– Attività fisica: -19/-27 per cento (revisione).

Anche in questo caso potremmo proseguire a lungo, ma ci fermiamo, perché la somma già supera il 100 per cento. Ciò ovviamente non significa che l’adozione di questi comportamenti protettivi e l’evitare quelli a rischio azzeri le possibilità evolutive in tutti gli infetti da Hcv, ma certo queste si riducono in maniera sostanziale.

Purché la sanità investa per informarne la popolazione e dare il necessario supporto per applicare queste misure, a partire da malati e infetti.

Screening dei soggetti asintomatici?

La proposta è corollario della “offerta dei nuovi farmaci a tutti gli infetti” con “obiettivo eradicazione”. Restiamo ai fatti per l’Italia:

con le risorse attuali il Ssn ha assicurato le cure a 49mila pazienti, cioè circa 40mila pazienti/anno, e potrebbe in circa 4 anni trattare tutti i 160-180mila casi stimati da EpaC (tra cui si concentrano i casi gravi);

uno screening di popolazione potrebbe far emergere la parte sommersa dell’iceberg, secondo EpaC circa 10 volte più numerosa, di soggetti in prevalenza asintomatici, molti destinati però a restare tali nel resto della vita;

una volta consapevoli di essere portatori di Hcv e allarmati da informazioni non bilanciate sulla storia naturale dell’infezione e sul peso relativo di comportamenti protettivi o dannosi, molti pretenderebbero l’accesso ai “nuovi farmaci”, aggiungendo la loro pressione a quella dei pazienti noti, e non è chiaro come il Ssn potrebbe oggi farvi fronte. Se lo facesse nei confronti di questi nuovi casi (ai prezzi attuali dei farmaci) stornerebbe ingenti risorse finanziarie da altri programmi, di verosimile maggior rendimento in salute. Se non lo facesse, crescerebbero tensioni e disaffezione per un sistema sanitario nazionale che a parole tutti dicono di voler difendere…

C’è anche la possibilità teorica di imporre ai produttori prezzi di rimborso molto inferiori; ma ammesso che i governi siano in grado di farlo, l’ordine logico dovrebbe essere: prima si ottengono prezzi sostenibili, poi si considera lo screening, non viceversa;

per non parlare dei rischi (piccoli o grandi) cui si esporrebbero molti portatori senza certezza di avere davvero bisogno di tali farmaci.

I principi da considerare

Fatta salva la garanzia dei nuovi farmaci (ma anche di informazione/prescrizione e supporto competente all’attuazione dei comportamenti protettivi) per tutti i casi già inclusi nei criteri di priorità, non ci sembra irrazionale non affrettare le cure per chi non è in condizione evolutiva verso F3, specie se asintomatico (con alcune ragionevoli eccezioni), in base:

al principio di precauzione, finché non sia chiaro anche per loro dove si situa il miglior bilanciamento rischi/benefici attesi;

al principio di solidarietà verso tanti altri assistiti, oggi privi di cure efficaci e possibili per altri problemi, perché le risorse che la società ha assegnato al Ssn non lo consentono (un esempio tra cento, che interessa anche tanti infetti da Hcv, è il fumo, oggi responsabile del 25 per cento  circa dei cancri epatici, oltre che di tante malattie con nesso causale certo: 12 tipi di cancro, 6 categorie di malattie cardiovascolari, diabete, Bpco, polmonite, influenza; e inoltre associato a eccesso di mortalità da insufficienza renale, malattia cardiaca ipertensiva, infezioni, cancro prostatico e mammario. Smettere di fumare ha effetti sulla mortalità totale maggiori di quelli da complicanze dell’Hcv, anche nell’insieme dei soggetti cronicamente infetti e fumatori. Ma chi voglia intraprendere un percorso di cessazione (un’indagine Doxa conferma che molti lo vorrebbero) spesso non può contare su supporti competenti di facile accesso, e deve pagarsi farmaci di provata efficacia: Tsn, vareniclina, bupropione);

al principio di tutela della sostenibilità del nostro Ssn che, da quando è stato istituito, corre oggi i rischi più gravi di deriva privatistico-assicurativa, poiché potenti forze economiche fanno credere che risolverebbe l’accesso a prestazioni oggi razionate in tanti campi.

Siamo infine convinti che il punto di vista di generalisti di sanità pubblica possa ampliare l’orizzonte di specialisti delle discipline implicate e pazienti, in genere molto focalizzati sul loro specifico ambito disciplinare e sui comprensibili timori per la loro specifica condizione. Anche esperti di economia pubblica dovrebbero tenerne conto.

* L’articolo è firmato anche da Alberto Aronica, Franco Berrino, Antonio Bonaldi, Vittorio Caimi, Gianfranco Domenighetti, Giuseppe Fattori, Paolo Longoni, Giulio Mariani, Luca Mascitelli, Ernesto Mola, Alessandro Nobili, Alberto Nova, Gianfranco Porcile, Luisa Ronchi.

 

Epatite C: nuovi farmaci a tutti? Ragioniamo in base ai dati*

L’articolo “Epatite C: se il farmaco costa troppo per essere utilizzato” lamenta il costo esagerato dei nuovi farmaci anti Hcv, ma alcune affermazioni vanno discusse (Per una più ampia disamina dell’argomento e riferimenti bibliografici si vedano: http://bit.ly/1TVvdxM; http://bit.ly/1VMhRse; http://bit.ly/1Uf4j7C; http://bit.ly/1Xagogr).

1) Il costo impedisce di somministrare i nuovi farmaci al milione di malati?

I malati di epatite da Hcv o complicanze, cioè pazienti con sintomi che stanno compromettendo salute e qualità di vita, in Italia non sono un milione. Quelli citati da una ricerca di EpaC sono 160-180mila.
Altro è parlare di infettati da Hcv: sul sito di EpaC se ne stimano due milioni e qualcuno dice circa il 3 per cento degli italiani. Ma la maggior parte di loro ignora di essere infettata da Hcv e molti vivranno normalmente e moriranno di vecchiaia senza mai saperlo.
Una ricerca di coorte con lungo follow-up mostra che pazienti con cirrosi compensata che hanno ottenuto risposta virologica sostenuta/Svr con regimi a base di interferone (per i quali anche studi clinici randomizzati hanno già dimostrato efficacia su esiti finali di salute) hanno speranza di vita sovrapponibile alla popolazione generale. Questi pazienti hanno già oggi accesso ai nuovi farmaci (Aifa: criterio 1), come pure chi non ha cirrosi ma epatite cronica e fibrosi F3: per questi l’accesso ai nuovi farmaci non è in discussione.
Si considerano già eleggibili anche sottogruppi di pazienti F2 a maggior rischio personale o di trasmissione, e si valutano prossimi ampliamenti.

2) Si negano farmaci salvavita?

No, sia

  • per quanto richiamato al punto 1): a oggi non sembra che pazienti con F3 o anche cirrosi compensata che ottengono un’Svr abbiano aspettativa di vita ridotta;
  • perché non vi è ancora prova che, per soggetti stabili e asintomatici, 8-12 settimane di farmaci innovativi comportino vantaggi netti a lungo termine. La prova manca a maggior ragione per asintomatici che scoprirebbero l’infezione solo a seguito di screening.

Simili scoperte possono dare contraccolpi psicologici, oltre a stigma/discriminazione, in parte anche per l’equivoco che l’infettato sia infettante. Per fortuna non è così, a meno che non scambi strumenti taglienti/sangue; o, nel 2-8 per cento dei casi, da madre a figlio in gravidanza (più spesso in coinfezioni con Hiv).
La trasmissione sessuale tra partner eterosessuali che si dichiarano monogami è rarissima (su 500 coppie con media di 15 anni/cadauno di rapporti sessuali, solo tre casi certi di trasmissione: 1 su 190mila rapporti sessuali). La trasmissione è maggiore in rapporti omosessuali tra maschi (benché assai minore rispetto ad altre infezioni a trasmissione sessuale), ma in questo caso il 25 per cento di maschi Hiv+ con Svr da Hcv si reinfetta con Hcv entro 2 anni se continuano i comportamenti a rischio: ciò richiede di trattarli anche per evitare circolazione dell’Hcv, e insieme forti investimenti educativi per l’adozione di pratiche sessuali sicure.
Anche sulla sicurezza a lungo termine delle nuove terapie va espressa cautela. Per farmaci antivirali preoccupa una ricerca in Hong Kong su 45.300 pazienti con epatite B cronica. Rispetto ai non trattati pesati con propensity score, nei trattati con lamivudina ed entecavir, per alcuni tenofovir, l’insieme di tutti i cancri non si è ridotto (aHR 1,01). In particolare il cancro al fegato ha teso a diminuire, l’insieme degli altri ha teso ad aumentare (aHR 1,17), e i cancri colorettali (aHR 2,17) e cervicali (aHR 4,41) sono aumentati in modo significativo. Preoccupa ancor più che la mortalità totale sia stata 5,1 per cento tra i trattati e 3,3 per cento tra i non trattati, con un RR di 1,55, altamente significativo, e un morto in eccesso ogni 55 trattati. Certo, i virus B sono diversi, le probabilità di eradicare l’Hcv dal sangue con terapie di 12 settimane (presto di 8) sono molto buone, non così per l’Hbv. Ma i rischi dei trattamenti (compresi rischi a lungo termine, spesso ignoti) sono meno giustificati se estesi a pazienti in condizioni via via meno serie, in cui il bilancio rischi-benefici attesi e costi-opportunità va ponderato con molta attenzione.

3) Uniche alternative attendere un peggioramento o pagare in proprio?

È un messaggio sbagliato, disinformazione da contrastare. Fa l’interesse degli oligopoli farmaceutici e ne rafforza il potere contrattuale, creando fortissime pressioni sui decisori per distorcere valutazioni più razionali di costo-opportunità. E crea una massa di persone allarmate o disperate (non stiamo parlando di F3 o F4, ma di tanti con epatopatie lievi o semplici infettati in condizione non evolutiva), polarizzate su uno solo degli strumenti disponibili, che scaricano la frustrazione con grave disaffezione verso il sistema sanitario nazionale, a favore di sbocchi assicurativi, presentati come (illusorie) soluzioni.
Per la drammatica ma non frequente complicanza del cancro epatico, è grave errore pensare che “poiché il 60 per cento dei morti per tumori al fegato è Hcv-associato, l’Hcv causa ogni anno più di 6mila cancri al fegato in Italia”.

Frazione di cancri epatici attribuibile a livello di popolazione a diversi fattori di rischio

Ecco le associazioni riscontrate in letteratura, molte riferite alla ricerca prospettica Epic, su circa 500mila europei, che include coorti italiane:

Fumo di sigaretta: 25 per cento

– Diabete e obesità: 19-23 per cento. Per la sua diffusione, negli Usa il diabete sarebbe ormai la prima causa in assoluto di cancro epatico. Una revisione sistematica e metanalisi segnala anche il probabile rischio da insulina e protezione da metformina

– Alcol: 33 per cento negli uomini, 18 per cento nelle donne

– Carico totale di zuccheri: circa 33 per cento

– Alto consumo di latte e formaggi: circa 25 per cento (forse per aflatossine, o per effetti sull’IGF-I)

– Alto consumo di carne rossa: circa 10 per cento (aumento non significativo, ma indirettamente legato a fattori di rischio per cancro epatico come aumento di peso e diabete: revisione delle metanalisi pubblicate).

Potremmo proseguire, ma ci fermiamo perché la somma è già sopra al 130 per cento, senza aver ancora computato il contributo di Hbv e Hcv. Certo anche l’Hcv ha un ruolo importante, ma non indipendente da altri fattori di rischio, né per fortuna da importanti fattori protettivi. Di questi e dello screening diremo in un altro articolo.

* L’articolo è firmato anche da Alberto Aronica, Franco Berrino, Antonio Bonaldi, Vittorio Caimi, Gianfranco Domenighetti, Giuseppe Fattori, Paolo Longoni, Giulio Mariani, Luca Mascitelli, Ernesto Mola, Alessandro Nobili, Alberto Nova, Gianfranco Porcile, Luisa Ronchi.

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