Arriva la legge di Stabilità. Per ora non un testo, ma slide colorate, tweet e un comunicato stampa con qualche numero. Cominciamo a vedere il provvedimento sul part-time per i lavoratori vicini alla pensione. Un classico provvedimento “topolino”. Farà salire il costo del lavoro orario per le imprese e scardinerà il legame tra contributi versati e valore della pensione percepita. Rischia anche di essere molto costoso. E l’impianto generale della legge conferma quanto si temeva: qualche taglio di tasse non compensato da riduzioni di spesa. Con l’equilibrio dei conti rimandato a un futuro migliore che forse verrà o forse no, dipende dalla crescita dei prossimi anni e dal permanere di bassi tassi d’interesse sul debito pubblico. Tra gli altri provvedimenti, il canone Rai nella bolletta elettrica. L’idea (buona) è quella di far pagare quel 27 per cento di utenti che lo evade. La tecnologia consentirebbe però di addebitare in modo meno rudimentale il costo delle trasmissioni della tv pubblica a chi davvero ne fa uso.
Primo bilancio della Naspi, l’ammortizzatore sociale entrato in vigore nel maggio scorso. Se ne avvantaggiano i giovani che perdono l’occupazione, mentre ci rimettono coloro – come gli stagionali – che alternano frequentemente periodi di lavoro e non lavoro.
Un rapporto di cooperazione fisco-impresa basato su equità e trasparenza era tra le buone intenzioni della riforma fiscale. In pratica è stato istituito un regime sperimentale in cui solo pochissime grandi società collaborano con l’Agenzia delle entrate per ottenere una certezza fiscale preventiva. Se però ciò non accade, prevale comunque e ancora l’interesse dell’erario.
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Dai lavori in corso per definire la legge di stabilità emergono già chiare le linee generali: rimandato al futuro il pieno riequilibrio dei conti, con meno tasse e meno tagli di spesa, dunque più deficit. Tutte le caratteristiche di una manovra pre-elettorale.
“Il cambiamento siamo noi” recita senza autoironia la pubblicità di Poste Italiane che va in borsa. Sembra invece la solita minestra di una privatizzazione accompagnata da provvedimenti che perpetuano le nicchie di monopolio. Alla faccia della concorrenza e dei cittadini che – alla fine – pagano.
Per l’economia il Nobel 2015 va ad Angus Deaton. Un economista e statistico completo che ha spiegato una cosa ovvia per tutti ma non per la macroeconomia e cioè che non esiste “un” consumatore rappresentativo di tutti gli altri. Nei suoi lavori ha anche mostrato perché i consumi – specie quelli delle famiglie meno abbienti – non ripartono se le persone hanno paura del futuro. E ha enfatizzato come tra mancanza della salute e mancanza di reddito ci possa essere una relazione di concausa, soprattutto nei paesi più poveri.
Si discute alla Camera una riforma delle norme sulla cittadinanza che ne faciliti l’acquisizione per chi nasce in Italia da genitori stranieri o per chi arriva ancora minorenne. Una buona proposta con qualche ombra. Soprattutto sulla nozione di “residenza legale” e sulle barriere frapposte ai disabili.
Una riduzione delle cause civili del 20 per cento era la previsione del Guardasigilli Orlando in virtù della spinta alla mediazione extragiudiziale e allo scoraggiamento delle tattiche dilatorie nel processo. In effetti i risultati – anche se più lenti del previsto – stanno arrivando. Vale quindi la pena di rafforzare le nuove regole.
Economie emergenti in rallentamento (con Brasile e Russia in recessione), Stati Uniti in crescita stabile sopra il 2,5 per cento e l’Europa in ripresa dell’1,5 solo grazie alla Bce. Per rafforzare la crescita ed evitare la stagnazione chi può permetterselo (Usa e Germania) dovrebbe investire in infrastrutture.
Ciò che pudicamente si definisce flessibilità in uscita è, più brutalmente, l’espulsione dalle aziende degli ultra-cinquantenni considerati vecchi o troppo cari. Fa comodo all’impresa e può interessare il lavoratore. Solleva però un problema complicato: di quanto dev’essere il taglio della sua pensione anticipata?
La frode commessa da Volkswagen manipolando i sistemi di disinquinamento sul suo motore diesel rivela un fallimento non solo della governance aziendale ma anche del sistema delle regole europee. Influenzato pesantemente dalle lobby delle grandi imprese. Però a questo punto ci si deve anche chiedere in parallelo se la regolazione delle emissioni non sia diventata eccessivamente restrittiva. Il dubbio è legittimo.
Stiamo per recepire nel sistema italiano le nuove regole sulle crisi bancarie. Principale novità, il bail-in che fa pagare le perdite della banca ai suoi azionisti e creditori senior, mentre i correntisti fino a 100 mila euro saranno risparmiati. In futuro dunque meno faville in borsa per i titoli bancari. Ma almeno si chiude l’epoca dei salvataggi di istituti di credito con soldi pubblici.
Portandola in quotazione a New York, Fiat Chrysler cede la Ferrari ai propri azionisti. Senza però trattarli tutti allo stesso modo. Ce n’è uno – Exor, la finanziaria della famiglia Agnelli – la cui quota, grazie al voto plurimo all’olandese, avrà il controllo di fatto del cavallino rampante. Nel capitalismo italiano, come sempre, le quote azionarie non si contano, si pesano.
All’ultimo momento, per fare cassa, è stata prorogata al 30 novembre la scadenza dell’adesione alla voluntary disclosure per l’emersione dei capitali all’estero. L’Agenzia delle entrate si è anche presa un anno in più per chiudere in modo tombale i dossier su attività e redditi oggetto della collaborazione volontaria. Lasciando fuori dalla sanatoria ciò che non è stato dichiarato.
Ancora una volta, dopo la strage in Oregon, Obama deve accettare la propria impotenza: una maggioranza di stati che costituiscono una minoranza della popolazione impedisce il controllo sul commercio delle armi. Una Lettera dagli Usa racconta perché è molto più facile vietare per legge il telemarketing.
Con i gravi incidenti di fine luglio, all’aeroporto di Fiumicino sono emerse carenze e trascuratezze dello scalo. Dove la società di gestione sfrutta in modo intensivo questa infrastruttura sottodimensionata, puntando al massimo profitto di breve periodo. Anche grazie a una regolazione distratta o accomodante.
A un anno e mezzo dalla soppressione delle province, solo tre o quattro regioni stanno dandosi da fare per assorbire le loro competenze. Ora una legge obbliga tutte a riorganizzare le funzioni degli enti aboliti.
Come sopravvivere alla guerra del vino in competizione con i nuovi paesi produttori, mentre crolla il consumo nell’Europa mediterranea? Gli elementi su cui impostare una buona strategia sono qualità, marketing, prezzi, cultura enologica, carichi fiscali, semplificazione della mappa dei vitigni.
A causa dei suoi impegni accademici, Nicola Persico ha deciso di lasciare l’impegno diretto nella redazione de lavoce.info. Ci ha promesso comunque la prosecuzione della sua collaborazione, dandocene subito prova. A Nicola il ringraziamento per quanto ha fatto per questo sito e l’augurio di buon lavoro da tutta la redazione. In parallelo, diamo il benvenuto in redazione ad Alessandro Lanza che i lettori già conoscono attraverso i suoi numerosi interventi e che si occuperà di mercati energetici e ambiente.
Un’altra strage di innocenti in America. Questa volta, dieci vittime in Oregon. I mass media sono costernati, il presidente Obama è frustrato ma dice che purtroppo lui non può farci niente perché il Congresso non vuole. Stragi simili si susseguono con regolarità agghiacciante negli Stati Uniti.
La condanna in primo grado di Cimoli e altri tre amministratori colpisce i manager ritenuti responsabili del dissesto di Alitalia. Non i mandanti della sua scellerata gestione. Da individuare tra chi – nella politica e nel sindacato – ha utilizzato la società per interessi ben lontani da quelli aziendali.
A volte ritornano! È il caso del progetto faraonico del ponte sullo Stretto di Messina. Finito in soffitta, viene ora riproposto (in versione solo ferroviaria) dall’Ncd di Angelino Alfano “per far ripartire il Mezzogiorno”. Meno male che il ministro Delrio ha congelato il progetto: “Ci sono altre priorità”. Davvero.
Aumentare la produttività: è il mantra recitato da tutti. Serve a far crescere l’economia, si ripete. Ma, alla fine di una lunga recessione, vale esattamente il contrario: è la crescita della produzione alimentata dal rinnovato impulso di consumi e investimenti a favorire – almeno per un po’ – l’aumento della produttività.
Impietoso, l’algoritmo di Google suggerisce la parola “scandalo” quando si digita Volkswagen. È solo uno dei pesanti effetti collaterali che ricadono sulla casa automobilistica dopo i suoi imbrogli. La casa del maggiolone ha di fronte una strada tutta in salita per recuperare la fiducia di consumatori e investitori.
L’Europa è in ritardo nell’attuazione dell’accordo per la ripartizione dei rifugiati. Nel frattempo ha dichiarato guerra agli scafisti e concesso consistenti aiuti ai paesi vicini alla Siria che accolgono masse di profughi. È una Ue globale nella coltivazione dei suoi interessi ma che torna molto locale quando si tratta di diritti umani. Fermo restando che con i vari aspetti della globalizzazione bisogna fare i conti. Anche in Italia. Dobbiamo provare a integrare i nuovi arrivati con regole condivise. Ma non possiamo aspettarci che diventino “come noi” con uno schiocco delle dita. Cultura e religione d’origine contano. Per esempio, nella scelta delle donne se lavorare o curare la casa.
Una risposta di Giulio Formoso e Anna Maria Marata, autori di “Epatite C: quando la speranza ha un costo alto”, al commento di Alberto Donzelli
Come ogni anno, qualche avvicendamento negli incarichi de lavoce.info. Quest’anno le new entry sono tutte donne. Nel comitato di redazione Michele Pellizzari passa il testimone a Maria De Paola che va ad affiancare Angelo Baglioni, Massimo Bordignon, Francesco Daveri e Michele Polo. Alessandra Casarico assume la funzione di tesoriera.
L’esito del voto catalano non risolve nulla. I secessionisti hanno vinto per numero di seggi, è vero, ma non per voti: non hanno ottenuto quel plebiscito cui aspiravano e di cui avevano bisogno (e che pure, a elezioni concluse, quotidiani del calibro del New York Times continuano ad accreditare.
Quella appena arrivata a compimento è una riforma fiscale poco ambiziosa. La legge delega mirava a più equità, certezza e semplificazione. Con i decreti attuativi l’equità è stata messa da parte stralciando la riforma del catasto, base di una tassazione immobiliare equilibrata. Risultati più concreti su certezza e semplificazione: migliora il dialogo tra stato e contribuente e si chiarisce meglio che cos’è elusione.
È servita quest’anno a risollevare il mercato del lavoro. Ora la decontribuzione dei contratti a tempo indeterminato verrà rinnovata ma non si sa come. Solo per il Sud? Solo per le donne? Per tutti, ma meno generosa? Di sicuro, per evitare il ritorno in auge del lavoro precario, deve rimanere un incentivo ad assunzioni senza limite di tempo. E conta anche che le politiche attive del lavoro non diventino uno spreco di risorse. In particolare il voucher di ricollocazione, introdotto dal Jobs act, destinato al reinserimento professionale di chi è stato licenziato. Si può prendere esempio dalla Lombardia, dove la Dote unica del lavoro (Dul) dà risultati misurabili e valutabili.
Grazie anche a Expo e al meteo, riparte il turismo in Italia. Di quanto cresca difficile a dirsi con precisione. Prendono sempre più piede forme alternative di prenotazione (attraverso siti internazionali), di alloggio (B&B, spesso non in regola), di trasporto (Blablacar, car sharing, Uber) che le statistiche faticano a rilevare.
Voci autorevoli (Amnesty, The Economist) suggeriscono di depenalizzare la prostituzione, anche per i clienti. In effetti una ricerca mostra che le politiche proibizioniste aumentano i rischi di chi vende prestazioni sessuali. E rende più difficile la lotta alla tratta e allo sfruttamento dei minori.
Spaventato dalle conseguenze economiche della secessione, una parte dell’elettorato moderato catalano ha voltato le spalle al fronte indipendentista. Una Lettera da Barcellona spiega che adesso diventa più facile un compromesso con Madrid.
Una precisazione di Stefano Sacchi e Filippo Taddei all’articolo di Vitalba Azzollini sui congedi parentali
Dobbiamo segnalare una importante inesattezza apparsa nell’articolo sui congedi parentali di Vitalba Azzolini. In quell’articolo l’autrice afferma, a margine della sua analisi, che il decreto legislativo. n. 80/2015 che prevede l’estensione e il potenziamento del congedo parentale “introduce misure a carattere sperimentale, la cui prosecuzione oltre il 2015 è condizionata all’individuazione di adeguate coperture finanziarie: è dubbio, tuttavia, che in pochi mesi possano essere testate sufficientemente.”
Questo è inesatto e un po’ sorprendente perché, sin dall’11 giugno 2015, data dell’approvazione in via preliminare da parte del Consiglio dei Ministri del decreto legislativo di riforma degli ammortizzatori sociali, il Governo ha ripetutamente chiarito che le disposizioni a cui la Azzolini fa riferimento sarebbero state rese strutturali, cioè estese anche oltre il 2015.
L’impegno del governo ha avuto infatti puntuale riscontro con l’entrata in vigore, il 24 settembre 2015, del dlgs n. 148 del 14 settembre 2015, recante disposizioni di riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali (il cosidetto “decreto CIG”). Questo decreto infatti assicura il finanziamento strutturale. In conclusione, per la massima trasparenza su un tema di questa importanza, vogliamo chiarire che le misure di conciliazione lavoro famiglia discusse nell’articolo non sono sperimentali, bensì strutturali. Alla comunità scientifica, oltre che a tutti noi, rimane il compito di valutare in modo rigoroso l’impatto di misure che speriamo abbiamo effetti rilevanti per le opportunità di vita e il benessere di molte famiglie italiane.
* Stefano Sacchi – Consigliere Economico del Ministero del Lavoro
Filippo Taddei – Responsabile Economia e Lavoro, Partito Democratico
La risposta di Vitalba Azzollini
L’articolo “Non bastano i congedi per avere più mamme al lavoro” è stato pubblicato in data 23 settembre, dunque il giorno precedente l’entrata in vigore del decreto n. 148/2015. Peraltro, l’osservazione relativa alla strutturalità “condizionata” dello strumento in discorso è una mera nota a margine dell’esame condotto nell’articolo, vale a dire lo scarso impatto della misura sull’occupazione femminile sulla base delle risultanze di studi condotti al riguardo: quindi, non incide sulle conclusioni.
Quanto all’affermazione di Stefano Sacchi e Filippo Taddei, secondo i quali “rimane il compito di valutare in modo rigoroso l’impatto di misure che speriamo abbiamo effetti rilevanti per le opportunità di vita e il benessere di molte famiglie italiane”, si osserva che tale impatto avrebbe potuto essere valutato: ex ante, avvalendosi delle conclusioni di appositi studi – alcuni citati nell’articolo – in base a cui vi sono misure di conciliazione aventi un effetto più rilevante; ex post, a seguito di un adeguato periodo di sperimentazione, atto a dimostrare la concreta efficacia della misura in relazione ai fini per i quali era stata prevista. Dunque, oltre alle conclusioni degli studi sul tema, si è reputato non fossero necessari neanche i dati empirici rivenienti dalla sperimentazione inizialmente prevista nel decreto n. 80/2015, al fine di verificare l’impatto del congedo parentale sulla conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro.
Nota della redazione. L’articolo è stato sottoposto a lavoce.info a fine luglio ed è stato pubblicato con un certo ritardo – risultando non perfettamente aggiornato – a causa dei molti articoli in giacenza. Ce ne scusiamo con gli interessati.
Epatite C: ma i farmaci posso essere decisivi
Di Giulio Formoso e Anna Maria Marata
il 02/10/2015
in Commenti e repliche
L’adozione di stili di vita salutari va sempre incoraggiata e l’articolo di Alberto Donzelli bene fa a sottolineare quali sono le strategie da adottare per preservare la salute del fegato, aggiungendo un ulteriore elemento alla discussione sull’approccio all’epatite C che nel nostro articolo era incentrata sulle terapie farmacologiche e sulla loro sostenibilità.
Riguardo ai farmaci, l’articolo di Donzelli indica correttamente come l’efficacia dei nuovi antivirali contro l’epatite C non sia dimostrata su esiti clinicamente rilevanti (in questo caso mortalità, cirrosi o tumori epatici), come sarebbe indubbiamente preferibile, ma sia per ora dimostrata solo in termini di risposta virologica. Va tuttavia sottolineato che diversi studi (metanalisi e singoli studi osservazionali) che riguardano i trattamenti antivirali disponibili fino ad un anno fa – meno efficaci di quelli attuali nell’annullare la viremia – hanno evidenziato che la risposta virologica ottenuta è associata a una riduzione dell’evoluzione della malattia e della mortalità, soprattutto nei pazienti con danno epatico. È estremamente probabile quindi che i pazienti attualmente trattati, e cioè quelli con danno epatico in atto, potranno evitare una ulteriore evoluzione della malattia grazie ai nuovi trattamenti. L’eliminazione del virus in questi pazienti riduce inoltre la possibilità di una sua ulteriore diffusione. La stessa Organizzazione mondiale della sanità, sulla base di un’analisi delle prove disponibili, ha incluso tutti questi farmaci nella sua lista dei farmaci essenziali, cioè quelli che dovrebbero essere disponibili ai sistemi sanitari di tutti i Paesi (indipendentemente dalle capacità di acquisto); questo nonostante i prezzi attuali di questi farmaci siano elevatissimi.
In questo senso pensiamo che sarebbe auspicabile un progressivo accesso ai nuovi farmaci per un maggior numero di pazienti rispetto ai 50 mila attualmente previsti per l’Italia perché, pur in assenza di dati epidemiologici precisi, si stima che siano in diverse centinaia di migliaia i pazienti positivi al virus dell’epatite C che hanno già danni epatici in evoluzione, per i quali l’adozione di stili di vita salutari non potrà bastare. Siamo invece d’accordo che attualmente non è opportuno pensare a un (oneroso) screening di massa perché molte persone che sono positive al virus senza avere danni epatici non avranno nessuna evoluzione della malattia.
A nostro giudizio è lodevole (di più, è fondamentale) mantenere un approccio critico nel valutare l’efficacia e il valore aggiunto delle nuove terapie; tuttavia, per i motivi illustrati, l’efficacia clinica dei nuovi antivirali contro l’epatite C non va negata o ridimensionata. Sarebbe piuttosto necessario rendere l’accesso a questi farmaci possibile per un più ampio numero di pazienti, in base a criteri che devono essere rigorosamente definiti, favorendo una decisa riduzione dei loro prezzi.