Alle prese con il devastante tira-e-molla con la Grecia, i politici europei e il Fmi dimenticano la lezione del decennio perduto dell’America Latina negli anni ’80. A paesi in default fu inizialmente imposta un’austerità troppo dura. Ma poi arrivò il Piano Brady con il quale banche creditrici e stati sovrani si accordarono sulla riduzione del debito richiesta per ripartire. Impossibile però – come ci racconta una lettera da Atene – una svolta prima dello svolgimento del referendum indetto da Tsipras con una mossa spregiudicata e avventata. Rimane un cruciale problema di democrazia in Europa, dove i ministri delle finanze dell’area euro decidono la sorte di un intero popolo con una legittimità molto dubbia. Che ci voglia una riforma della governance della Ue lo dice anche il rapporto dei “cinque presidenti”. Ma – irrisolto il problema greco – non si può riformare un bel niente, a partire dall’Unione monetaria.
Con l’annunciata fusione tra Linate-Malpensa (controllati dalla Sea) e Orio al Serio nascerà una posizione dominante negli aeroporti lombardi. Con benefici per la redditività degli enti pubblici azionisti di maggioranza e forse a discapito dei cittadini. Per privatizzare i quattro aeroporti di Londra si scelse una strada diversa. Da cui si potrebbe imparare.
È alle battute finali la riforma del catasto. Con una grossa contraddizione: vuole ristabilire l’equità del prelievo fiscale sugli immobili e allo stesso tempo impone l’invarianza di gettito a livello locale. Creando iniquità tra comuni. Ci sarebbe più redistribuzione se l’invarianza di gettito fosse stabilita a livello nazionale.
Al via una nuova architettura delle politiche attive per il lavoro, che finora non hanno dato prova di grande efficienza. Sarà la volta buona con l’Agenzia che accentra competenze prima disperse sul territorio? Potremo misurarne il successo guardando a come funzionerà l’assegno di ricollocazione per la categoria di disoccupati che cercano lavoro da sei mesi.
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Come in ogni tragedia greca che si rispetti, c’è qualcosa di inevitabile negli eventi degli ultimi giorni. Un giovane presuntuoso e i suoi collaboratori, ubriachi dal trionfo, si comportano con arroganza in patria e all’estero, insistendo che tutti devono piegarsi alla loro volontà, perché il loro mandato vale più di quello altrui. Cinque mesi dopo, il nuovo governo greco si ritrova con le spalle al muro. Nel frattempo è riuscito ad alienarsi le simpatie di chi sperava che il suo arrivo in scena avrebbe allentato i vincoli di austerità, facilitando un ripensamento della politica economica a livello europeo. Invece no: l’unico risultato sostanziale delle buffonate di Yanis Varoufakis e dei suoi colleghi è stato quello di ricompattare la fragile unità europea, ma nel senso “sbagliato”: rafforzando la linea ordoliberale di chi come Wolfgang Schäuble vedrebbe di buon occhio un’Europa senza la Grecia. Per il resto, grande amicizia con la Russia di Putin (con tanto di inchino del ministro dell’Energia greco al dirigente di Gazprom in diretta televisiva), continuità assoluta con le peggiori tradizioni corrotte e clientelari (dalle ondate di assunzioni di cugini, nipoti, amici e amanti, ai primi grossolani conflitti d’interesse) e svolta autoritaria (con inasprimento della retorica forcaiola e uso disinvolto delle istituzioni statali a fini strettamente di parte). Per quanto riguarda la politica sociale, le tanto attese misure contro la “crisi umanitaria” si sono presto rivelate meno generose di quelle palesemente inadeguate dei governi precedenti. Sul fatto che solo uno su dieci disoccupati percepisce qualsiasi prestazione sociale di sostegno al reddito (nel paese campione europeo della disoccupazione) regna il silenzio assoluto. Il reddito minimo, promosso dalla Commissione europea, viene bollato dal ministro responsabile come “roba africana voluta dall’Fmi”. Allo stesso tempo, secondo gli ultimi dati ufficiali, tra chi è andato in pensione a maggio 2015, uno su quattro ha un’età inferiore a 55 anni (addirittura, è uno su tre nel settore pubblico). Ma “le pensioni non si toccano”, e visto che quelle basse non le vuole comunque toccare nessuno, vengono difese a spada tratta soprattutto quelle baby e d’oro. Dopo cinque anni di austerità e sette anni di depressione, l’economia greca era tornata a crescere nel 2014. Si trattava di una ripresa timida e pallida: +1 per cento. Ma intanto la disoccupazione cominciava a scendere, seppure di poco. Ora non più: nei primi mesi del 2015 la Grecia è ancora una volta in recessione e la disoccupazione sta di nuovo crescendo. Alexis Tsipras è arrivato al potere promettendo agli elettori una medicina miracolosa e indolore: “Stracceremo gli accordi con la Troika, aboliremo l’austerità con un atto parlamentare”. A chi chiedeva “Se è così facile, come mai nessun governo l’aveva pensato prima?” rispondeva “Perché chi era al governo prima era servo dei creditori. Al contrario di loro, noi nelle trattative saremo duri”. “E se i creditori non cedono?” “La probabilità che succeda qualcosa del genere è meno di una su un milione” aveva dichiarato Tsipras in una ormai famosa intervista televisiva pochi giorni prima delle elezioni di gennaio scorso. Adesso è successo quello che non sarebbe mai dovuto accadere. Il governo che avrebbe messo fine all’austerità ha offerto ai creditori un programma di 8 miliardi di euro (cioè poco meno di quello proposto dai creditori stessi), ma molto meno credibile, composto al 93 per cento di improbabili aumenti di tasse. A questo punto, invece di sporcarsi le mani con un nuovo accordo, Tsipras e Varoufakis hanno preferito passare la patata bollente agli elettori, anche a rischio di Grexit, lasciando scadere il programma attuale (martedì 30 giugno) e dando la colpa all’Europa “lontana dalle radici democratiche”. Grazie alla decisione di Mario Draghi di non peggiorare la situazione, la Banca centrale europea non ha staccato la spina al sistema bancario (come presumibilmente imporrebbe il suo statuto), ma non ha neanche aumentato l’iniezione di liquidità (come un po’ incoerentemente chiedeva il governo greco). Risultato: capital controls, limite di prelevamento a 60 euro al giorno, code di pensionati e casalinghe. E sgomento, rabbia, paura. La scommessa di Tsipras è che, con un richiamo da manuale al ferito orgoglio nazionale, la vittoria al referendum sarebbe assicurata. E puntualmente, lo schieramento a favore del “no”, oltre ai nazionalisti di Panos Kammenos, ministro alla Difesa, si è allargato a comprendere i nazionalsocialisti di Alba Dorata. Cosa mai potrebbe andare storto per il governo?
Certo, il Consiglio di Europa, che non si occupava della Grecia dai tempi dei colonnelli, ha espresso il suo allarme per le (tante) irregolarità di questo referendum e per la mancata imparzialità delle istituzioni dello Stato. Ma (come hanno subito spiegato gli opinionisti del regime) tanto si sapeva già che l’Europa non sopporta più il governo greco. Quello che invece non hanno potuto prevedere Tsipras e i suoi, era il risveglio della Grecia europeista – quasi del tutto priva di rappresentanza politica, ma decisa lo stesso a difendere le conquiste più nobili degli ultimi quaranta anni: democrazia avanzata, orientamento europeo e (nonostante tutto) prosperità e coesione sociale. Le masse di cittadini che hanno riempito Piazza Costituzione, non per insultare il governo, né tantomeno per rompere vetrine o bruciare macchine, ma semplicemente per dichiarare pacatamente la loro appartenenza greca e europea (“Restiamo in Europa!”), complicano i calcoli del governo.
E fanno sperare che un’altra Grecia sia possibile.
Mentre il governo greco continua a pretendere dai partner europei la firma su un assegno in bianco con nuovi aiuti, l’Europa si ostina su stupidi dettagli di un programma che richiederà anni per essere attuato. Intanto la Grecia è vicina al default e, forse, all’uscita dall’euro. Nella dannosa confusione di ruoli nell’Eurozona di questi mesi l’unica istituzione che ha fatto politica (cioè compromessi) è stata quella che dovrebbe essere solo un organismo tecnico: la Bce guidata da Mario Draghi. Forse le si può chiedere di più: riammettere Atene tra i beneficiari del Quantitative easing di 60 miliardi al mese e scongelare l’attuale soglia di 89 miliardi di liquidità di emergenza. Se torna la liquidità, il rischio insolvenza si allontana.
Riconoscendo il matrimonio delle coppie omosessuali, la Corte suprema degli Stati Uniti ha affermato che sposarsi è un diritto fondamentale che nemmeno necessita di una legge per regolare unioni dello stesso sesso. Una lezione di libertà su cui è bene riflettere in Italia.
Un po’ di diseguaglianza nella distribuzione dei redditi e della ricchezza serve a creare incentivi a far meglio. Ma se gli squilibri distributivi sono troppi si blocca l’ascensore sociale. Anche negli Usa, la “terra delle opportunità”, dove il 93 per cento dei guadagni della ripresa del 2009-2010 è andato all’1 per cento delle persone più ricche.
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Difficile da capire l’irrigidimento del Fondo monetario sul salvataggio greco. Dai dati viene fuori che Atene ha fatto molti tagli e alcune riforme anche in campo pensionistico. Con risparmi di spesa solo graduali nel tempo. È ora che i creditori ammettano che servono dieci anni, non tre, per aggiustare la Grecia.
Come sono cambiati i servizi idrici a quattro anni dal referendum sull’acqua? Non c’è più l’obbligo di mettere in gara o privatizzare, ma nemmeno di lasciare per forza alla gestione pubblica. Basta che l’attività sia in equilibrio economico. Insomma, si è cristallizzato lo status quo.
Il malaffare di Mafia capitale si è tanto diffuso anche perché nei comuni sono inefficienti i controlli su appalti, sovvenzioni, concessioni, concorsi. A vegliare sulla legalità di questi atti il segretario comunale, figura né indipendente né autonoma. Ma indipendenza e autonomia sono requisiti minimi per esercitare i controlli.
Gioco d’azzardo e investimenti finanziari hanno in comune l’inconsapevolezza dei consumatori che coinvolgono. Per tutelarli davvero non basta la foglia di fico degli avvertimenti sui rischi della dipendenza, per i primi, o sui rischi di mercato per i secondi. Meglio partire dal basso con l’educazione finanziaria.
Entrano in circolazione sempre più farmaci nuovi e molto efficaci, ma anche molto costosi. Si aprono così una serie di problemi su cui si interroga anche l’Organizzazione mondiale della sanità: da come garantirne l’universalità di accesso al ripensamento del sistema dei brevetti in modo da incentivare l’innovazione.
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La crisi ha mandato in frantumi il modello di sviluppo europeo, basato su crescita e welfare per tutti con alta tassazione e alta redistribuzione. I paesi Ue sono oggi incapaci di scongiurare il rischio povertà di una grossa parte della loro popolazione. E ciò vale per chi non è cresciuto (Italia e Spagna) ma anche per chi è riuscito a crescere (Regno Unito, Germania e Svezia). Con la punta più drammatica in Grecia. Che, anche questa settimana, è sull’orlo del default. Nel frattempo a Bruxelles l’inevitabile salvataggio viene rinviato mentre i mercati per ora credono che – grazie alla Bce – tutto vada a posto con limitati costi di aggiustamento.
Ha senso – seppure con alcuni limiti – la proposta della Commissione europea di ripartire il numero dei richiedenti asilo tra i vari paesi dell’Unione in base a dimensione e forza economica. Ma, contrariamente alla disinformazione seminata dai politici italiani, non dobbiamo pensare che dovremo ospitarne meno. Anzi, saranno di più.
Appena reintrodotto, va in soffitta il reato di falso in bilancio. La nuova formulazione della norma ammette di riportare cifre sballate se soggette a valutazione degli amministratori. Tana libera tutti. Eppure tra lasciare impunita una frode e mandare in galera chi fa un errore ci sarebbe una ragionevole via di mezzo.
Tra il 2012 e il 2013 il traffico sulle autostrade è diminuito oltre il 10 per cento. Non così i profitti delle società concessionarie al riparo dal rischio operativo grazie alle revisioni tariffarie da parte dello stato. Ora questo Bengodi dei concessionari rischia di essere esteso alle infrastrutture ferroviarie. Per una direttiva europea.
Emanuele Ranci Ortigosa commenta l’intervento di Massimo Bordignon e Francesco Daveri “Consulta: i custodi del diritto. E del rovescio”
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Da qui a dicembre, quando si terrà a Parigi la conferenza sul clima, ci aspettano mesi di negoziati bilaterali per stabilire quali paesi dovranno fare più sforzi nella riduzione del riscaldamento globale. Un buon esempio è il recente accordo Cina-Usa che, se attuato, potrebbe portare a ridurre i gas serra di almeno un quarto.
C’è disorganizzazione ma anche un segreto di Pulcinella nel lasciare che i profughi arrivati sulle coste italiane non vengano identificati in tempi rapidi. In realtà si spera che per le leggi vigenti in Europa sul diritto di asilo sia un altro paese Ue a prenderli in carico. Va bene sfruttare le pieghe delle norme europee. Però non sulla pelle dei rifugiati.
Difficile individuare qual è l’interesse del consumatore di servizi telefonici mobili. Sullo “zero rating” – l’accesso illimitato ad applicazioni e siti web senza il limite di traffico normalmente imposto – l’Europa è oggi divisa. La pragmatica soluzione americana che porta il regolatore a decidere caso per caso eviterebbe di soffocare l’innovazione sul nascere.
Nel sistema pensionistico, il metodo contributivo dovrebbe garantire la parità di trattamento rivalutando i contributi di tutti in base alla media quinquennale di crescita del Pil. Ma la lunga crisi post 2007 e le scelte conseguenti del governo hanno portato rendimenti negativi. Per ristabilire l’equità del calcolo meglio allungarne a dieci anni il periodo di computo.
È all’esame delle Camere il decreto delegato che riordina i servizi per il lavoro. Si riporta dalle regioni al centro il coordinamento degli strumenti che dovrebbero consentire ai disoccupati di reinserirsi nel mercato del lavoro. Il rischio è di non utilizzare l’assegno di ricollocazione come politica attiva.
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Se entro il 30 giugno la Grecia non restituisce 1,6 miliardi al Fondo monetario – creditore con prelazione nei confronti di tutti – è come se facesse default. L’Europa può metterci una pezza e rinviare una resa dei conti che comunque prevede scenari da incubo: la Grexit invisa ai politici greci o la chiusura delle banche in stile cipriota. A meno di sorprese dell’ultim’ora.
Ancora una volta viene fuori che l’università discrimina le donne docenti. La sostanziale parità di genere uscita dai concorsi per l’Abilitazione nazionale è stata messa da parte quando gli atenei hanno scelto tra gli idonei. La piccola parte degli abilitati diventati professori associati o ordinari è fatta soprattutto da uomini.
Norme scritte male si prestano ad abusi, spesso perpetrati proprio dalla pubblica amministrazione. Vale anche per la voluntary disclosure: gli uffici delle Entrate hanno dato un’interpretazione estensiva ai termini di accertamento che rischia di togliere anche la minima convenienza all’evasore che si vuole ravvedere. A peggiorare la situazione si aggiungono troppe leggi e regolamenti – un cappio soffocante di costi amministrativi per le Pmi e per i cittadini. Tanto che la stessa Ue – gran produttrice di regole, peraltro – ci chiede di semplificare il quadro normativo.
Si fa presto a dire “investiamo sui porti”. Poi bisogna scegliere su quali traffici marittimi puntare. In Italia si sono privilegiate le infrastrutture per container con la convinzione di favorire l’export. A conti fatti, però, abbiamo facilitato soprattutto l’ingresso di merci estere sul mercato nazionale.
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Le nuove regole del Jobs act sul congedo post-maternità introducono più flessibilità a vantaggio dei lavoratori. Dovrebbero disincentivare l’abbandono del lavoro delle donne dopo la nascita dei figli (oggi succede in un caso su quattro). È però necessario – ma non c’è nel provvedimento – anche un potenziamento dei nidi, insufficienti e distribuiti in modo eterogeneo sul territorio.
Prima della crisi 70 europei su cento dichiaravano la loro fiducia nella Ue. Ora siamo sotto a 50, con picchi negativi a 30 dove la recessione è stata più dura. L’Europa non vuol più dire prosperità economica e democrazia; semmai, disoccupazione. Tocca alle istituzioni comunitarie e ai governi nazionali re-innescare un circolo virtuoso che ridia senso e dignità all’ideale europeo.
Oggetto di una diffusa campagna ostile priva di base scientifica, l’uso universale dei vaccini ha debellato il vaiolo, la polio e ridotto del 75 per cento le morti per morbillo. Per i molti altri in arrivo nel prossimo decennio una duplice sfida: sostenere i costi di quelli davvero utili e organizzare il Servizio sanitario per garantire la loro diffusione.
Nelle province con maggiore immigrazione> si è mantenuto il vantaggio competitivo ed è così aumentato il valore aggiunto dei settori manifatturieri che impiegano lavoro con mansioni semplici e routinarie. Con un rovescio della medaglia: il rinvio del cambio di pelle dell’industria verso produzioni più avanzate.
Una legge recente stabilisce l’obbligo per i piccoli comuni – fino a 5 mila abitanti – di associarsi tra loro per cogestire tante funzioni importanti, dalla polizia municipale ai servizi sociali. Per ora i pochi che si sono mossi sono molto indietro. Anche perché il governo né premia i virtuosi né punisce gli inadempienti.
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Vaccini attualmente sottoposti alle diverse fasi di sperimentazione clinica (trial clinici) suddivisi per classi di patologie
I diritti ignorati dalla sentenza della Consulta
Di Emanuele Ranci Ortigosa
il 22/06/2015
in Commenti e repliche
La sentenza 70/2015 della Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale della legge 214 del 2011 laddove limita o annulla la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici superiori a tre volte il minimo Inps. Il rimborso integrale dei trattamenti bloccati – comprendendo tutto è stimato in circa 18 miliardi – metterebbe in seria difficoltà la nostra finanza pubblica.
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