La fine del patto di stabilità per i comuni permette di superare il blocco dei pagamenti delle spese in conto capitale e di utilizzare risorse che altrimenti sarebbero state risparmiate. La maggiore capacità di spesa sarà effettivamente destinata agli investimenti? Una stima delle cifre in ballo.
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Non ha messo fine all’influenza della criminalità organizzata sulla politica locale, ma la norma sullo scioglimento dei comuni per infiltrazione mafiosa sembra avere effetti positivi sulla selezione della classe politica. Mentre i partiti colpiti ottengono meno voti alle elezioni successive.
La normativa sul sistema contabile degli enti locali ha introdotto l’obbligo di redigere un rendiconto semplificato per i cittadini. Aumenterà la trasparenza, soprattutto nei comuni più piccoli. Il nuovo strumento non ha i difetti che hanno portato al sostanziale abbandono del bilancio sociale.
Il Parlamento si appresta a discutere un disegno di legge per limitare l’utilizzo di terreni agricoli per finalità diverse dalla coltivazione. Prevede meccanismi complessi e rischia di consolidare la mappa del consumo disegnata a livello locale. La riduzione in valore percentuale genera un paradosso.
La revisione del patto di stabilità interno è utile, ma non risolutiva. Perché per i comuni resta comunque il vincolo sulla competenza per le spese finali. E perché i municipi hanno perso l’autonomia impositiva. Bisognerà trovare altri modi per finanziare gli investimenti, almeno quelli meritevoli.
Nel 2014 il parlamento ha votato una legge contro l’occupazione abusiva delle case di proprietà pubblica. Anche sindaci e sindacati ne condivisero gli obiettivi. Ora però da più parti se ne chiede una revisione. Ma non bisogna dimenticare le ragioni di equità, oltre che di legalità, violate.
La partita delle gestioni associate obbligatorie giocata da governo e piccoli comuni produce per ora un solo risultato: il continuo allungamento dei tempi per gli enti inadempienti. Ecco i motivi per cui la riforma non decolla e i percorsi per farla diventare un’ opportunità di cambiamento.
Una seria riforma del sistema delle autonomie locali avrebbe richiesto lo studio di tutte le problematiche che orbitano attorno al mondo degli Enti locali e non solo di quelle rappresentate dall’anello istituzionale debole: le province.
Mentre sparisce nel nulla la spending review, falliscono uno dopo l’altro i tentativi di accorpare i comuni. Il presidente dell’Anci, Piero Fassino, ora ci riprova con l’obiettivo di passare da 8.100 enti a 2.500, abolendo quelli sotto i 15 mila abitanti. Per riuscirci davvero, sarebbe bene prevedere sanzioni e incentivi di carattere finanziario.
Come ridurre il carico fiscale sul lavoro e renderlo al contempo più progressivo, spostando il prelievo sulle imposte indirette. Discutiamo una proposta di riforma fiscale che costa quasi 15 miliardi da coprire con un inasprimento dell’Iva.
La Camera discute l’introduzione nel nostro ordinamento del reato di autoriciclaggio. Importante che non esca una norma annacquata: sarebbe un regalo ai grandi evasori fiscali.
Per ridurre la spesa sanitaria bene centralizzare gli acquisti, adottare i costi standard e rinegoziare i contratti. Ma ci vogliono anche azioni strutturali che investano sulle competenze dei funzionari pubblici.
L’Italia dovrebbe arrivare ad avere non più di 2.500 comuni. La proposta è del presidente dell’Anci. Ma si tratta di un obiettivo credibile? Finora, i tentativi di favorire le aggregazioni, storici o recenti, sono falliti. Coinvolgere gli enti più grandi, con tempi certi e sanzioni efficaci.