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Servizi per l’impiego, non bastano i livelli essenziali

La riforma Fornero prevede l’introduzione di livelli essenziali anche per i servizi pubblici per l’impiego. Rischia di essere solo un marchio di qualità su servizi che però non risolvono il problema del collocamento dei disoccupati.

I livelli essenziali, meglio noti con l’acronimo Lep-Spi, dovrebbero rinnovare e riorganizzare i servizi pubblici per l’impiego. In realtà, l’applicazione della legge Fornero rischia di assegnare solo un marchio di qualità ai servizi erogati, senza incidere veramente nel collocamento dei disoccupati.

I BUONI PROPOSITI DELLA RIFORMA FORNERO

I servizi pubblici per l’impiego comprendono una serie di attività, messe in campo da vari attori pubblici o privati, finanziate da risorse pubbliche, con lo scopo di orientare, formare, accompagnare o collocare i soggetti alla ricerca di un nuovo lavoro.
Tali attività sono da ricondurre al diritto al lavoro riconosciuto dalla Carta costituzionale (articolo 4), sicché esiste un interesse pubblico alla messa in opera di una rete efficiente di servizi per il miglioramento dell’occupabilità dei disoccupati e per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Proprio sulla base di questo interesse pubblico, la riforma Fornero, utilizzando una tecnica già nota in altri campi dei servizi alla persona, ha introdotto anche nel campo dei servizi sociali al lavoro i livelli essenziali delle prestazioni, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, in particolare per rafforzare i meccanismi di condizionalità in materia di ammortizzatori sociali. (1)
I Lep fissati dalla legge 92/2012 intervengono solo indirettamente sull’incontro tra domanda e offerta di lavoro e consistono piuttosto in servizi di miglioramento dell’occupabilità. Riferimenti alla domanda di lavoro si possono ricavare solo implicitamente dalle disposizioni che impongono, da una parte, l’offerta a tutti gli utenti dei Cpi di una “proposta di adesione ad iniziative di inserimento lavorativo o di formazione o di riqualificazione professionale od altra misura che favorisca l’integrazione professionale”; e, dall’altra, ai beneficiari di Aass, una “proposta di adesione ad iniziative di inserimento lavorativo entro la scadenza del periodo di percezione del trattamento di sostegno del reddito” (articolo 3, Dlgs n. 181).
Ciò non toglie che le Regioni possano autonomamente scegliere di erogare servizi rivolti alla domanda di lavoro e, ove affidati a soggetti accreditati, fissare premi e sanzioni per il raggiungimento delle performance richieste. (2)

I SERVIZI ALLE IMPRESE, IL TALLONE D’ACHILLE DEGLI SPI

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In letteratura, l’incapacità di favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro è ricondotta all’assenza nei Centri per l’impiego dei servizi alle imprese. Infatti, sul versante datoriale i servizi per l’impiego assumono soprattutto un carattere burocratico, mentre possiamo individuare almeno tre punti critici per quanto riguarda l’assistenza nelle strategie di reclutamento aziendale. (3)

1. Nella maggioranza dei casi, la modalità di raccolta della domanda di lavoro presuppone che sia l’impresa a “manifestarsi presso il Centro per l’impiego”;
2. più della metà degli uffici non dispone degli strumenti per la gestione via web delle rispettive filiere della domanda e dell’offerta di lavoro, al fine di supportare i processi di matching;
3. l’organizzazione locale degli Spi ha sviluppato un approccio di natura “generalista”, nel quale si sommano attività diverse. La commistione di ruoli e il turnover elevato del personale costituisce la regola dell’attività quotidiana dei Centri, con evidenti limitazioni nella possibilità di dedicare figure professionali alle attività di contatto diretto con le imprese “fuori” dall’ufficio o di poter destinare quantità di tempo adeguato nell’attività di definizione ed esplicitazione dei fabbisogni professionali delle aziende stesse.

IL MARCHIO DI QUALITÀ SU SERVIZI INUTILI

Se non si dispone di informazioni precise sulla domanda di lavoro, risulta praticamente impossibile realizzare efficacemente l’attività di intermediazione. Senza un investimento nei servizi alle imprese, non è possibile conoscere quali siano le aziende che necessitano di manodopera con profili coerenti con quelli degli utenti in cerca di lavoro che si recano nei Cpi. Purtroppo, nel rinnovamento e nella riorganizzazione dei servizi per l’impiego previsti dalla riforma Fornero, il tema dei servizi alle imprese è completamente assente.
Una lettura attenta della legge fa sorgere forti dubbi sul fatto che la sola azione dell’individuare i livelli essenziali di servizio omogenei possa migliorare le prestazioni degli operatori pubblici o dei privati accreditati.
A ciò si aggiunge che la riforma non fornisce chiarimenti su come verrà assicurata la copertura economica della riorganizzazione e, soprattutto, “enfatizza” una prassi operativa già realizzata con il Masterplan del 1999, aggiungendo solo i limiti “temporali” entro i quali i servizi devono essere erogati. In sintesi, i livelli essenziali rischiano di certificare attività oggi già presenti, ma non sono in grado di garantire prestazioni migliori in termini di collocamento.
Premesso che senza adeguate risorse è difficile avanzare qualsiasi proposta, alcuni servizi rivolti alla domanda di lavoro si potrebbero certamente sviluppare. Ecco alcuni esempi:

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– marketing territoriale: dedicare una risorsa per ogni Centro per l’impiego, sempre la stessa, che si proponga direttamente alle aziende più attive nel territorio, con l’obiettivo di promuovere i servizi al lavoro;
– sportello apprendistato: un servizio destinato soprattutto alle piccole medie imprese, non solo per spiegare lo strumento, ma per aiutare l’impresa a definire il piano formativo e a trovare i soggetti per attuarlo;
– revisione sportello auto-imprenditorialità: non deve limitarsi a semplici consigli; l’utente, soprattutto se giovane, va accompagnato passo passo nella sua attività, dalla preparazione del business plan all’esplicitazione dei rischi di impresa al reperimento delle risorse.
– gestione autonoma degli incentivi alle assunzioni: nell’ambito di un patto di servizio da stipularsi con le imprese, dovrebbe essere concessa maggiore autonomia nella selezione e costruzione di pacchetti di incentivi adeguati alle esigenze e caratteristiche delle imprese che si rivolgono agli sportelli territoriali.

(1) A parità di risorse dedicate alle politiche attive del lavoro – fondamentalmente quelle garantite dal Fondo sociale europeo – agli standard minimi già fissati dal Dlgs n. 297/2002 (che modificava il precedente n. 181/2000), si aggiungono ora ulteriori Lep che riguardano servizi rivolti ai beneficiari di ammortizzatori sociali. Sono cioè individuate le politiche di attivazione che gli uffici devono offrire ai titolari di prestazioni economiche e che, se non rispettate, comportano la loro perdita.
(2) Si veda l’articolo: Leonardi M. e Giubileo F. (2012), Il collocamento dei soggetti svantaggiati, quali soluzioni, http://www.nelmerito.com (aggiornato a novembre 2012).
(3) Isfol,(2009), Monitoraggio dei servizi per l’impiego 2008, Roma. Il documento è disponibile al sito: www.lavoro.gov.it (aggiornato a settembre 2012).

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Treni e strade: se la Svizzera non è un modello

  1. Vincenzo Tondolo

    LA RETORICA AL CENTRO
    Nel 90% dei casi si entra nel mercato del lavoro attraverso amicizie, conoscenze e autocandidature, in quanto la selezione dell’imprenditore si basa sulla fiducia garantita da qualcuno. Alle agenzie private si rivolge il 3,5% delle imprese. I servizi pubblici saranno scadenti, come si arguisce dai poco originali commenti, ma qui si tratta di capire soprattutto come attrarre gli imprenditori in una rete che spesso è vista come filiale dell’ispettorato del lavoro. Il servizio alle imprese è importante quanto, se non di più di, quello ai disoccupati. Più che economici, i problemi derivano dalla mentalità degli stessi imprenditori e dal management (?) pubblico, al quale manca la reale capacità di conoscere le effettive esigenze delle imprese. Nell’ideale servizio alle imprese sarebbe centrale, ad es., il tema della Formazione. Ma quanti sono gli imprenditori davvero disposti ad investire in formazione in tempi diversi dall’esigenza immediata? Per contro, quanta volontà c’è da parte del gestore del Servizio Pubblico di conoscere le vere esigenze formative, considerata la predominanza degli enti di formazione alla continua ricerca di Fondi Europei? E’ più comodo scaricare sull’inefficienza pubblica, tanto al resto ci penserà l’invisibile mano del mercato.

  2. Vincenzo

    Ma mettere un bracciante o un mezzadro pugliese o siciliano alla catena di montaggio della Fiat o della Indesit tra anni 50 e 60 è stato davvero tanto più facile che impiegare oggi in un ufficio acquisti o logistica di un’impresa anche il più mediocre tra i neolaureati e neodiplomati comunque abituato a usare il Computer fin a bambino e tutto quanto lo accompagna? E la domanda che mi faccio di fronte al moltiplicarsi dei servizi di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro che, a quanto pare, non basta ancora. Non c’è Università italiana, o meglio non c’è Facoltà universitaria, che non nasconda, dietro le parvenze del suo Ufficio Placement, il suo piccolo ufficio Selezione. Tutte le grandi e medie imprese hanno la loro brava Banca Dati laureati e diplomati dove sono disponibili decine di migliaia di curricula dettagliatissimi inseriti dai giovani, spesso brillantii, in cerca di occupazione. E, oltre a quello del ministero del lavoro esistono, penso a Alma Laurea, un cospicuo numero di banche dati pubbliche di notevole qualità. Per creare occupazione ci vogliono buona economia e buona scuola (e l’accento va messo soprattutto sul primo termine) e al momento in Italia non esiste nessuna di queste due condizioni. E se non esiste buona scuola è perché ci si è messi , a partire dal nefasto ‘’tre più due’’ , sulla strada di una mediocre aziendalizzazione della scuola che sta moltiplicando in una serie di canaletti dispersivi le già scarse…

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