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Iup per un cambio di prospettiva nella fiscalità italiana

Un’imposta unica sul patrimonio, al posto di Irpef e altre imposizioni patrimoniali, produrrebbe molti vantaggi. La drastica semplificazione del sistema sarebbe accompagnata da una maggiore progressività e dalla riduzione di elusione ed evasione.

Per la semplificazione del sistema

Da molto tempo la riforma fiscale è al centro del dibattito politico ed economico del nostro paese. Sul tema sono stati prodotti accurati documenti (qui e qui) che evidenziano, quasi unanimemente, l’urgente necessità di “razionalizzazione e semplificazione del sistema tributario e revisione degli adempimenti dichiarativi e di versamento”.

I recenti interventi del governo sembrano concentrarsi su questi punti, impostando una graduale revisione dell’Irpef (aliquote e scaglioni) e dando spazio all’introduzione di soluzioni digitali, quali il potenziamento delle dichiarazioni precompilate. Viene inoltre promossa una sempre più ampia diffusione delle transazioni elettroniche, nella convinzione che possa efficacemente contrastare pratiche di elusione o evasione fiscale.

Qui si propone una prospettiva completamente diversa, ovvero l’introduzione, in luogo dell’Irpef e delle altre imposte patrimoniali esistenti, di un’imposta unica sul patrimonio (Iup), con soglia di esenzione correlata alla linea di povertà e aliquota del 3,7 per cento. Partendo dai più recenti dati disponibili, si mostra come una Iup così concepita non avrebbe effetti devastanti sul bilancio statale e potrebbe, al contrario, smobilizzare importanti risorse a favore di circa i tre quarti dei contribuenti italiani.

Gettito fiscale, reddito e patrimonio

Il caso di studio considerato prende come riferimento i dati sulle entrate fiscali dello stato del 2022 (tabella 1). Si ipotizza la copertura, per mezzo della Iup, di tutte le entrate dirette (tranne Ires) e delle entrate legate agli enti locali (inclusa Irap), per un totale di circa 315 miliardi di euro.

Il valore della soglia di esenzione viene fissato in 47 mila euro considerate le più recenti stime della Banca d’Italia sulla ricchezza nazionale e a piena copertura delle voci suddette, l’aliquota è fissata al 3,7 per cento. 

La tabella 2, derivata da un articolato dossier parlamentare, mostra la situazione del gettito. Su poco più di 40 milioni di contribuenti censiti in Italia, circa il 41 per cento ha un reddito inferiore a 15 mila euro; i contribuenti appartenenti a questa fascia generano un flusso Irpef, al netto di oneri deducibili e detrazioni, pari a circa il 3,6 per cento del gettito totale. La tabella mostra la situazione anche per ulteriori quattro fasce di contribuenti, caratterizzate da redditi via via crescenti.

Per stimare il gettito potenziale della Iup e compararlo con la situazione attuale, è necessario definire il rapporto tra fasce di reddito e distribuzione della ricchezza. Un aiuto viene da un recente studio che fotografa la distribuzione di ricchezza complessiva in relazione a sei percentili di popolazione, dalle fasce più povere a quelle più ricche.

La tabella 3 riprende, a sinistra, i dati disponibili; sulla parte destra, le sei fasce percentili sono state rielaborate tramite interpolazione lineare al fine di riassegnare la corretta quota di ricchezza alle cinque fasce di prelievo fiscale precedentemente citate. Con tutte le cautele del caso, i contribuenti della prima fascia risultano detenere una ricchezza superiore al rispettivo livello di contribuzione, presumibile conseguenza di un diffuso patrimonio immobiliare. Per la seconda fascia, il rapporto si inverte. Per quelle restanti le differenze sono limitate, in difetto o eccesso, segno di una sostanziale corrispondenza tra ricchezza e gettito fiscale.

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Stima dell’effetto della Iup

La tabella 4 mostra l’effetto della Iup. Più precisamente, a sinistra viene calcolato il valore del patrimonio medio pro capite (per fascia) e, al centro, l’imposta media risultante. A destra, a titolo di confronto, viene calcolata la corrispondente imposta pro capite a parità di gettito, utilizzando le proiezioni percentuali della tabella 2.

L’applicazione della Iup porta a una drastica riduzione dell’imposta media nelle prime due fasce di reddito, spostando “sensibilmente” il carico fiscale sulle fasce più abbienti. Tuttavia, l’imposta non risulta ugualmente punitiva per tutti questi contribuenti: manifesta i suoi effetti negativi in presenza di patrimoni particolarmente consistenti rispetto al reddito (più precisamente superiori a circa 15 volte il Ral), ovvero in presenza di ricchezza immobilizzata o accumulata che non ne genera di nuova.

Il cambio di paradigma

Le profonde disuguaglianze sociali che si sono manifestate nel corso degli ultimi anni hanno stimolato un rinnovato dibattito sulla tassazione della ricchezza, un approccio tanto antico quanto vituperato, principalmente per l’esistenza nel nostro paese di un patrimonio immobiliare diffuso. Invero, le imposte sul patrimonio esistono da molto tempo e sono utilizzate nel nostro come in quasi tutti i paesi avanzati. Tuttavia, anche quando caratterizzate da soglie di esenzione, vengono spesso proposte come integrative ad altre forme di tassazione diretta. Le ragioni sono principalmente legate a problemi di liquidità (i patrimoni non sono sempre facilmente monetizzabili) e all’idea che non sia strategicamente opportuno aggredire direttamente capitali potenzialmente produttivi, preferendo quindi una tassazione del reddito da lavoro e da capitale. Ma non vi sono dubbi sul fatto che una tassazione del reddito sia assai più difficile da accertare e che i capitali non siano spesso così produttivi come si immagina.

Una tassazione pura della ricchezza, sostitutiva di ogni altra forma di tassazione diretta, prefigurerebbe una più radicale semplificazione del sistema fiscale; inoltre, se ben attuata per mezzo di banche dati di pubblico servizio (catasto, anagrafe dei rapporti finanziari, Pra, Ran, Atcn) potrebbe fondarsi su una base imponibile certa e contribuire a una profonda automazione dei meccanismi impositivi. Come dimostrato da studi documentati, una Iup garantirebbe maggiore progressività nella tassazione (la ricchezza è più concentrata rispetto ai redditi) e porterebbe alla riduzione di un’accumulazione eccessiva di beni, in aderenza al dettato costituzionale.

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Se poi si guarda alla tabella 4, si può ipotizzare che circa i tre quarti dei contribuenti totali (oltre 31 milioni) trarrebbero un sicuro vantaggio dal cambiamento di paradigma.

I limiti legati a una fiscalità puramente patrimoniale sarebbero principalmente connessi ad alcuni elementi: difficoltà nella valorizzazione dei beni, elasticità della base imponibile e potenziale evasione, effetti economici indotti. Sul primo aspetto va osservato che banche dati di pubblico servizio e meccanismi collaudati di valorizzazione e aggiornamento (ad esempio per le aziende non quotate o per i beni immobiliari) già esistono e potrebbero essere risolutivi. Ovviamente, resterebbero numerosi i beni difficilmente assoggettabili a tassazione (contante, preziosi, opere d’arte); per alcuni potrebbe quindi essere ragionevole l’istituzione di apposite banche dati.

Più complessa risulta la questione della base imponibile, poiché una discreta elasticità è stata dimostrata in vari stati europei e poiché permangono elementi di competizione fiscale tra paesi che amplificano il fenomeno. Un approccio meno dipendente dalla residenza fiscale (ad esempio ancorato in qualche misura alla cittadinanza) potrebbe perciò risultare di estremo interesse. Inoltre, i fenomeni più preoccupanti di evasione sono stati osservati in relazione a particolari situazioni di esenzione: una loro radicale eliminazione sarebbe auspicabile e probabilmente sufficiente a limitare l’erosione della base imponibile e a garantire un gettito certo.

Per quanto riguarda infine la generazione di effetti economici indesiderati, potrebbe essere significativa solo nell’ambito di mercati molto ristretti. Di converso, l’applicazione della Iup darebbe nuovo valore al lavoro, favorirebbe un aumento della produttività e rafforzerebbe la propensione all’innovazione (proprio per l’effetto negativo dell’imposta sulla ricchezza immobilizzata o accumulata che non genera nuova ricchezza).

In sintesi, una Iup non solo aprirebbe la strada a una reale automazione e semplificazione dei meccanismi impositivi, favorendo una radicale rivoluzione dei rapporti tra stato e cittadini e riducendo i margini di elusione ed evasione, ma consentirebbe anche una vera pacificazione nazionale sul tema fiscale, la definitiva chiusura della stagione dei bonus, delle esenzioni e dei condoni, la tombale definizione del pluriennale contenzioso tra lavoratori dipendenti e autonomi. E qualora accompagnata da un’analoga revisione delle imposte indirette e societarie, potrebbe contribuire a un pieno rilancio di questo paese, a renderlo più vivo, più giovane, più felice.

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13 commenti

  1. Antonella Licata

    Faccio presente che attualmente paghiamo le tasse anche sull’IMU versata (impropriamente) ai comuni.

    • Enrico Grosso

      Corretto. Nell’analisi proposta IMU e IRAP sarebbero totalmente cancellate (così come l’IRPEF)

  2. FRANCO COLLAVO

    Analisi interessante, ma come potrebbero essere trattati gli immobili affittati che producono reddito e i relativi inquilini? ,gli affittuari potrebbero essere di condizioni economiche ridotte e o minime e avere anche loro delle problematiche reddituali?

  3. ugo r

    La prospettiva di sostituire il ginepraio del sistema delle imposte dirette attuale incentrate sull’IRPEF con una Unica Imposta sul Patrimonio comporta sicuramente tutti i vantaggi descritti in maniera chiara dall’Autore. Farebbe innanzitutto cessare magicamente la guerra civile fiscale in corso da anni.
    Inoltre, la Riforma auspicata non soltanto comporterebbe una vera semplificazione del sistema tributario in termini di capacità di determinare, accertare e riscuotere il quantum dovuto, ma sarebbe uno strumento di riparazione a posteriori all’ingiustizia fiscale operata negli ultimi cinquant’anni dalla evasione di massa alle imposte dirette da parte delle categorie di lavoratori autonomi, di imprese e in generale dell’economia sommersa che si rivolge a consumatori finali. Ciò in considerazione del fatto che i patrimoni altro non sono che la sedimentazione dei risultati reddituali annuali. Se rischi di doppia imposizione non sussistono per i patrimoni formati con redditi tassati, quanto più tali rischi sono da escludere in relazione a redditi sfuggiti sistematicamente a tassazione almeno a decorrere dalla Riforma del 1973…

  4. pal

    A me sembra una patrimoniale. E se invece si cominciasse (perchè nessuno lo fa) una vera lotta all’evasione fiscale ?

    • Enrico Grosso

      Corretto. Una patrimoniale SOSTITUTIVA di ogni altro tipo di tassazione diretta (ad es. IRPEF) e di ogni tipo di imposta sul patrimonio attualmente applicata (ad es. IMU). Con la differenza che mentre nel regime attuale non esiste modalità attuativa atta a contenere le varie forme di elusione/evasione nel regime proposto ciò sarebbe attuabile.

  5. E’ noto come il patrimonio in Italia sia di gran lunga meno tassato che altrove, a cominciare dal regime successorio. Ma la proposta si sostituire o quasi l’IRPEF con una patrimoniale creerebbe ingiustizie e anomalie. Se uno ha un reddito basso ma da sempre vive in centro di Milano, Venezia o altra città cara, potrebbe essere costretto a vendere e andare a vivere in periferia. Se ad esempio uno abbandona Venezia e va a Treviso, trova uno standard abitativo spesso di qualità a prezzo infinitamente più basso. Se avessi casa in via Solferino a Milano, dovrei trasferirmi in fondo a Viale Monza o via Padova?

  6. L’articolo è molto interessante! Diversi punti hanno catturato la mia attenzione. Ad esempio, il dato secondo cui su poco più di 40 milioni di contribuenti censiti in Italia, circa il 41 per cento ha un reddito inferiore a 15 mila euro; e il fatto che il 50% delle tasse venga pagato dal ceto medio. A differenza di altre nazioni, l’Italia non mostra enormi disparità sociali. Tuttavia, dalla Tabella 3 si nota che i percentili bassi detengono una quota minima di ricchezza, mentre i percentili alti possiedono oltre il 60% della ricchezza nazionale.

    Allo stesso tempo, il patrimonio immobiliare fa sì che i contribuenti della prima fascia detengano una ricchezza superiore al livello di contribuzione, mentre nella seconda fascia si paga in proporzione più di quanto si abbia. Spostare il carico fiscale sulle fasce più abbienti sembrerebbe ottimale, poiché mira a individuare la ricchezza immobilizzata o accumulata che non genera nuova ricchezza. Se consideriamo inoltre che circa tre quarti dei contribuenti trarrebbero vantaggio dal cambiamento di paradigma, e che l’IUP rafforzerebbe la propensione all’innovazione, molto necessaria nell’ambito italiano, la soluzione appare interessante per un’Italia più dinamica, giovane e felice!

    • francescomario

      Il sistema fiscale è oggetto di” lotta all’evasione” da settanta anni senza una vera svolta…..ma oggi l’informatica permette (rebbe) un salto di qualità basta volere.
      Non condivido l’impostazione della riforma in questi termini, ma preferirei una”riforma” operativa.Tutti gli acquisti di beni (auto, immobili, gioielli, elettrodomestici, arredamento,viaggi,biglietti aerei e ferroviari) non possono essere fatti con denaro contante , come gli acquisti all’ingrosso.Incentivare in tutti i modi l’abbandono del denaro contante. Infine, se vogliamo veramente una riforma fiscale, deve essere aggiornato il catasto, adeguate le rendite degli stabilimenti balneari, introdotta una tassazione anche per le case di proprietà e la tassazione di scopo ( sigarette (una maggiore tassazione), alcolici compreso il vino,zucchero e grassi, gomme da masticare ). Infine aumenti sostanziosi del CdS per le infrazioni legate all’uso di alcoolici e disostanze stupefacenti, per gli eccessi di velocità soprattutto nelle ore notturne.

      • francescomario

        Perfetto…..oggi abbiamo il 50% di detrazione spalmato in dieci anni, poi sarà il 36 e quindi il 30, benissimo come conseguenza aumenterà il nero.Bravi, bis 7+

  7. Marco

    Interessante la semplificazione ed il tentativo di tassare il patrimonio, ma la soluzione proposta creerebbe un vero terremoto.
    Lo studio è stato fatto solo dal lato dello stato, tramite medie, ma non si tiene conto delle infinite particolarità che ci sono tra i cittadini.
    Un lavoratore che ha speso poco per cercare di risparmiare, e che ha messo su un capitale in previsione di una vecchiaia più serena (spese per figli e nipoti, eventuali badanti e case di riposo, malattie, ecc…), con una tassazione al 3.7% rischia di aver prima pagato un bell’ammontare di tasse sul reddito e quindi passare a pagare tasse sul patrimonio che possono facilmente arrivare fino a 10 volte le tasse che pagava prima sul reddito. D’altra parte chi non ha pensato alla vecchiaia ed è in affitto, non pagherebbe niente di tasse.
    Come viene poi considerata la prima casa? Chi è riuscito ad acquistarla con grande fatica e magari ha ancora un mutuo da pagare, come fa a pagarci un 3,7% sopra ogni anno?
    Una casa in affitto oggi può rendere circa un 3% del suo valore. Tassarla al 3,7% cosa comporterebbe? Come varierebbe il valore delle case?
    Credo che una proposta come questa possa andare bene se si rimane entro una certa soglia, stiamo parlando di decimi di punto percentuale, e magari con incrementi diluiti nel tempo o incrementi in base al capitale crescente.
    Potrebbe essere utile partire con la sostituzione di tante piccole tasse, tipo bolli, registri, accise, ecc…
    Non è possibile stravolgere totalmente l’impianto fiscale.

    • Enrico Grosso

      Questo commento condensa in poche righe una serie di considerazioni tutte pertinenti e sensate e tramite queste giunge alla pratica conclusione che sia opportuno mantenere lo status quo o procedere per piccoli aggiustamenti. Si tratta di una posizione diffusa e assolutamente rispettabile che merita tuttavia qualche ulteriore precisazione.
      Sulle specificità dei cittadini.
      Corretta l’osservazione; ma non dimentichiamo che l’idea di inseguire le specificità dei contribuenti, comune nelle pratiche correnti, è esattamente la principale causa di un quadro fiscale disarmonico e sconnesso (facile oggetto di evasione ed elusione). Forse è giunto il tempo di ripensare radicalmente questo aspetto, a favore di regole semplici e non interpretabili.
      Sul patrimonio frutto di anni di lavoro.
      L’applicazione di un’imposta sul patrimonio con soglia di esenzione fissa ed individuale (nell’articolo 47.000 euro) ha esattamente lo scopo di prevenire la tassazione di ciò che può essere considerato, a tutti gli effetti, un patrimonio inviolabile. I dati mostrano che chiunque abbia un patrimonio inferiore a circa 15 volte il suo reddito annuo lordo (anche da pensione) potrebbe avere un vantaggio rispetto alla tassazione attuale; si tratta, necessariamente, di un compromesso che tende ad aggredire non una “ragionevole” previdenza ma un accumulo eccessivo di ricchezza.
      Sulla prima casa.
      In una prospettiva puramente patrimoniale la prima casa è certamente patrimonio e il suo valore (per la parte oltre la soglia di esenzione) deve dare origine a tassazione. Sempre in questa prospettiva, tuttavia, occorre rammentare che il valore di una casa soggetta a mutuo non è il valore di mercato ma la differenza tra valore di mercato e debito residuo. Con indubbi vantaggi dal punto di vista fiscale, in particolare per i primi anni che seguono l’accensione del mutuo.

  8. Ser

    Proposta interessante nella metodologia ma assolutamente folle per quanto riguarda l’aliquota proposta.
    Considerato che il rendimento medio di un buon prodotto azionario è il 7% annuo e di case e obbligazioni siamo vicini al 3% ci sarebbe una vera e propria confisca/esproprio proletario (giusto chiamarla con il nome corretto) del 50% nel primo caso e del 100% nel secondo!!!! Come al solito penalizzando chi ha risparmiato anziché sperperare! La solita ridistribuzione italica dagli onesti/oculati agli spendaccioni nullafacenti/che non dichiarano nulla!
    Alla fine creerebbe un’inflazione assurda nel costo degli affitti (che sarebbero aumentati per rendere positivo il rendimento del capitale immobiliare) e/o crollo del prezzo degli immobili con potenziale crisi bancaria/finanziaria e una vigorosa fuga di capitali all’estero.
    Duole ricordare che è il capitale che crea il lavoro e NON il contrario, e il capitale per essere impiegato deve rendere.
    In questo paese le tasse sono altissime e i servizi sono quelli che sono quindi è inaccettabile parlare di altre tasse senza prima aver tagliato il grasso in quel “mostro” che è la nostra spesa pubblica.

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