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Assistenza agli anziani: la riforma c’è, va messa in pratica

Il Parlamento ha approvato la legge delega per la riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti. Il progetto di cambiamento è condivisibile, ora si tratta di tradurlo in pratica. Decisivi i decreti delegati e le scelte sulle risorse.

Una lunga attesa giunta al termine

Il Parlamento ha approvato la legge delega per la riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti, prevista nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. L’Italia si dota così di una riforma del settore, attesa dalla fine degli anni Novanta, mentre all’estero simili provvedimenti sono già stati introdotti da tempo, ad esempio in Austria nel 1993, in Germania nel 1995, in Francia nel 2002 e in Spagna nel 2006. Ovunque lo scopo è stato il medesimo: modificare strutturalmente i sistemi di welfare, ideati quando gli anziani non autosufficienti erano molti meno di oggi e metterli in condizione di rispondere alla loro sempre più diffusa presenza.

La riforma rappresenta un caso di ascolto della società civile da parte delle istituzioni, che ha accomunato il precedente e l’attuale governo. All’inizio il provvedimento non era previsto nel Pnrr e vi è stato introdotto a seguito delle richieste delle organizzazioni del Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza, che rappresentano la gran parte della società civile coinvolta nell’assistenza e nella tutela degli anziani nel nostro paese. Successivamente, il dialogo con le istituzioni è proseguito: il testo della legge delega recepisce numerose proposte elaborate dal Patto.

La costruzione di un settore unitario

La delega definisce l’impostazione complessiva della riforma, la cui traduzione in indicazioni puntuali sarà realizzata dal governo attraverso i decreti delegati, da promulgare entro gennaio 2024. L’impianto si fonda su due grandi obiettivi, uno dei quali consiste nel costruire un settore unitario, mentre oggi l’assistenza pubblica agli anziani è suddivisa in tre filiere ben poco coordinate: le politiche sanitarie, quelle sociali e i trasferimenti monetari dell’Inps. Ne derivano lo spezzettamento delle misure disponibili e una babele di regole e procedure da seguire, che disorientano anziani e famiglie. Inoltre, la frammentazione esistente limita la possibilità di fornire interventi appropriati. Il testo approvato, invece, introduce il Sistema nazionale anziani non autosufficienti (Sna), al fine di programmare, realizzare e monitorare in modo integrato l’insieme dei servizi e degli interventi del settore. In concreto, l’uso delle diverse risorse per la non autosufficienza sarà pianificato congiuntamente dai vari soggetti responsabili, a ogni livello di governo: stato, regioni e territori. Tramite lo Sna, si vogliono creare i presupposti per assicurare agli interessati risposte unitarie e appropriate.

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Se attraverso lo Sna l’unitarietà viene cercata a livello di sistema, con la revisione dei percorsi di anziani e famiglie lo si fa a quello delle singole persone. Viene, infatti, rivista la pletora delle valutazioni delle condizioni degli anziani, che determinano gli interventi da ricevere. Oggi ce ne sono troppe (5-6) e non collegate tra loro, duplicando così gli sforzi degli operatori e rendendo assai complicato il percorso delle persone coinvolte. Con la riforma, le valutazioni si riducono a due soltanto: una di responsabilità statale e una di competenza delle regioni. E contrariamente a quanto accade oggi, le valutazioni sono collegate tra loro.

La definizione di nuovi modelli d’intervento

Un altro problema del settore risiede nel ricorso a modelli d’intervento solo in parte adeguati alle specificità della condizione di non autosufficienza; modelli, si badi bene, che hanno queste caratteristiche per il loro stesso disegno istituzionale. Si vuole, dunque, progettarne di nuovi a partire dalle effettive esigenze degli anziani e delle loro famiglie.

Ad esempio, si introducono servizi domiciliari pubblici appositamente ideati per gli anziani non autosufficienti, che in Italia non esistono. Sono servizi di durata adeguata alla condizione di non autosufficienza, che può estendersi per anni, mentre attualmente vengono erogati perlopiù per 2-3 mesi. E sono interventi domiciliari capaci di rispondere alle molteplici esigenze della non autosufficienza grazie alla possibilità di fruire di una pluralità di servizi medico-infermieristico-riabilitativi, di sostegno nelle attività fondamentali della vita quotidiana dell’anziano e di affiancamento ai familiari. Adesso se ne ricevono in genere di un solo tipo.

Un altro esempio riguarda l’indennità di accompagnamento, che viene trasformata nella prestazione universale per la non autosufficienza: non più un contributo economico di 527 euro uguale per tutti, bensì importi graduati in base al fabbisogno assistenziale dei diversi anziani (nella logica di dare di più a chi sta peggio). Inoltre, s’introduce la possibilità di decidere se percepire il contributo senza vincoli d’uso, come oggi, oppure se impiegarlo per ricevere servizi alla persona (da badanti regolari o da soggetti organizzati);_quest’ultima opzione comporta una maggiorazione dell’importo per sostenerne l’utilizzo più appropriato.

Gli obiettivi della riforma sono cruciali per il paese nel suo complesso, ma se si considerano le diverse realtà locali il loro rilievo cambia, data la notevole eterogeneità territoriale italiana. Per ognuno degli interventi previsti, di conseguenza, lo stato indica solo pochi elementi qualificanti e ogni territorio compie poi i passi necessari per adeguarsi. In tal modo non vengono chiesti inutili cambiamenti ai contesti che, in tutto o in parte, già possiedono i requisiti necessari.

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La spesa pubblica per l’assistenza agli anziani, pari all’1,3 per cento del Pil, è decisamente inadeguata nel nostro paese, in particolare nei servizi alla persona. Lo dimostrano tonnellate di studi e di dati che analizzano i bisogni insoddisfatti presenti in Italia, così come le comparazioni con gli altri paesi. Pertanto, per dare concretezza alla riforma saranno necessarie ingenti risorse, valutabili – a seconda delle stime – tra i 5 e gli 8 miliardi annui. Sinora, non è stato possibile affrontare la questione perché, come tutte le riforme del Pnrr, anche questa non poteva prevedere incrementi strutturali di spesa corrente. Ora, però, è arrivato il momento di farlo.

Buone intenzioni rimaste sulla carta, il rischio da evitare

La delega prova ad affrontare i nodi sostanziali dell’assistenza agli anziani, valorizzando le conoscenze provenienti dall’esperienza italiana e internazionale. Il progetto di cambiamento delineato, dunque, pare condivisibile. D’altra parte, esiste il rischio di andare ad allungare il già corposo elenco di riforme rivelatesi semplici liste di buone intenzioni rimaste sulla carta.

Tre saranno gli snodi decisivi. Il primo consiste nel sostegno politico, dato che nella prossima legge di bilancio il governo sarà chiamato a decidere se e quanti fondi dedicare alla riforma. Dipenderà dall’orientamento del governo Meloni: infatti, si scrive risorse, ma si legge priorità politiche.

Il secondo snodo riguarda la complessità tecnica. È la prima volta che si prova a realizzare una strategia nazionale per l’assistenza agli anziani. Le amministrazioni centrali, dunque, sono chiamate a elaborare indicazioni su una materia tecnicamente molto complicata e della quale si sono sinora poco occupate. L’esito del processo non è scontato. Infine, ci sono i rapporti tra gli attori. La riforma coinvolge diversi ministeri (innanzitutto Welfare e Salute), le regioni e i comuni. La capacità, e la volontà, di questi soggetti di costruire insieme nuove politiche per gli anziani è tutta da verificare.

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Partire dai dati per riformare il Rdc

  1. .Scaccabarozzi Umberto

    Il rischio è di staccare dal SSN il Sna trasformandolo in un ghetto gestito da coperative di operatori privati in quanto le cifre delle ingenti risorse auspicate per finanziare il sistema difficilmente verranno trovate dallo Stato.Nel migliore dei casi la gestione verrebbe affidata alle associazioni tipo VIDAS e analoghe che si occupano dei pazienti terminali.Il vero punto critico di tutta l’assistenza territoriale,fatto salvo il finanziamento,è che i MMG si riappropino del modello Primary Care :devono ritornare a trattare ambulatoriamente una serie di malattie,tra cui la cronicità e le sue conseguenze,imparando a lavorare in équipe con medici specialisti (il geriatra) e personale infermieristico in studi associati col supporto di personale amministrativo. Così si favorirebbe anche il minor afflusso nei PS (un terzo degli astanti sono anziani) e la deospedalizzazione(occupazione del 40% dei posti letto di anziani). E’ ormai indispensabile un nuovo curriculum formativo del futuro medico. Umberto Scaccabarozzi

  2. Mauro

    È troppo, chiedere al Governo di fare rispettare i requisiti e diritti dei più fragili ? L’ attuale sistema socio sanitario, discrimina i cittadini. Ha accesso al ricovero in RSA, solo chi ha soldi. Il ricovero non è una libera scelta, per molti diventa indispensabile per sopravvivere. Tutti i malati affetti da gravi patologie cronico degenerative fisiche/psichiche, finiscono per necessitare di ricovero, con assistenza specifica, H24 (trattamento ad alta intensità sanitaria). Per legge, vanno agevolati, non trattati come clienti alla ricerca di una camera, sono pazienti, non limoni da spremere ! Le RSA, non possono trasformare tutte le richieste di ricovero, in domande di ricovero privato. A chi ha particolari requisiti, va garantito il ricovero in regime convenzionato. In ogni caso, le RSA devono essere obbligate a scorporare dalle rette, la quota sanitaria perché è un onere del SSN non del malato. In Lombardia, ad esempio, pesa per il 58%, sul costo della retta, fosse scorporata, buona parte dei cittadini, volendo, potrebbe permettersi di scegliere liberamente di farsi ricoverare in regime privato ( contratto diretto in solvenza). Un conto, è compartecipare, pagando la sola quota sociale/alberghiera, (il 42% del costo delle rette in Lombardia) altro conto, farsi carico del 100%. C’è grossa differenza tra il versare 840 euro al mese e versarne 2000 ! Sarebbe più facile da sopportare anche per i Comuni, tenuti per legge a contribuire. Spetta alle ASL che sovrintendono alla Direzione sanitaria delle RSA, il compito di agevolare i ricoveri nel rispetto dei requisiti soggettivi, fermo restando che tutti i pazienti cronici, over 65, hanno diritto al ricovero in RSA, coperto al 100% dal SSN,
    in caso di bisogno. Spetta alle ASL, contrattualizzare il posto letto nella RSA prescelta dal cittadino, convenzionandolo con il sistema sanitario nazionale/regionale. Non spetta ai malati, alle loro famiglie stipulare un contratto oneroso, vincolante, salvo non scelgano spontaneamente, il ricovero privato che deve essere sempre una libera scelta, non l’unica soluzione di ricovero proposta dalle RSA, indistintamente a tutti.

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