Lavoce.info

Non è tutto profitto bancario quel che luccica

Si dice spesso le banche italiane attraversano una congiuntura particolarmente favorevole. È però probabile è che nei prossimi mesi i profitti si riducano. Meglio quindi evitare tasse straordinarie, ma anche la distribuzione di alti dividendi e bonus.

Profitti alti, ma due anomalie

È opinione comune che le banche italiane vivano una congiuntura particolarmente favorevole. La repentina salita dei tassi d’interesse ha permesso al margine di intermediazione di crescere enormemente. Lo stock di crediti deteriorati si è ridotto a un livello molto basso, pari a quello degli altri partner europei e non mostra significativi segni di accelerazione. Così i profitti hanno toccato valori che non si vedevano da anni, mentre il livello di capitalizzazione risulta più che soddisfacente. Tutto questo ha indotto i loro manager ad annunciare dividendi, buyback e bonus molto alti e alcune forze politiche a proporre una tassa straordinaria sui loro profitti.

Eppure, le banche italiane presentano un paio di anomalie che meritano qualche considerazione e che per certi versi le accomunano a molti istituti americani in difficoltà e ai problemi che hanno dovuto affrontare.

La prima anomalia riguarda la dimensione dei titoli pubblici domestici detenuti. A fine febbraio le banche italiane possedevano titoli nazionali per 327 miliardi di euro, pari al 9,2 per cento del totale del loro attivo, contro una media degli altri paesi dell’area dell’euro del 2,7 per cento. Il possesso di una grande quantità di titoli pubblici domestici, che per altro ha da sempre caratterizzato il sistema bancario italiano, è foriera di due potenziali debolezze. Da un lato può nascondere perdite occulte se, come è probabile in questa congiuntura, i titoli sono stati acquistati negli anni di bassi tassi d’interesse e messi in bilancio come held to maturity, cioè con l’impegno a detenerli fino a scadenza. Dall’altro, espone il sistema bancario a un rischio di tasso se lo spread sui titoli italiani dovesse per qualsiasi ragione salire. È il cosiddetto diabolic loop, cioè il circolo vizioso tra rischio sovrano e rischio bancario a lungo studiato dalla teoria economica e particolarmente temuto dai nostri partner europei.

Leggi anche:  Bce ancora in cerca di un assetto operativo

In termini di perdita potenziale sui titoli nei portafogli delle banche, l’ultimo Rapporto sulla stabilità finanziaria della Banca d’Italia, dopo averci ricordato che i principi contabili Ias/Ifrs impongono agli intermediari finanziari di indicare nei loro bilanci una stima di tali perdite, cerca di valutarne l’impatto sul sistema italiano. In particolare, con un linguaggio che Manzoni avrebbe definito come latinorum, si legge: “Con riferimento al portafoglio in essere alla fine di dicembre del 2022, l’impatto stimato delle unrealized losses sul CET1 ratio (…) ammontava in media a circa 200 punti base, a fronte di un CET1 ratio del 15,3 per cento. Meno del 2 per cento del complesso delle unrealized losses, tuttavia, faceva capo a banche con un indice medio di copertura della liquidità su un orizzonte temporale di un mese (…) relativamente contenuto”. Come per dire che le banche italiane hanno in pancia circa 45 miliardi di perdite latenti, pari a oltre due anni di profitti. Una cifra significativa che, tuttavia, non dovrebbe intaccare la stabilità del sistema, ma al limite affliggere solo pochi istituti di piccole dimensioni. Ogni ulteriore aumento dei tassi d’interesse, poi, potrebbe trovare un’importante, anche se decrescente, copertura nel margine di intermediazione. 

La dipendenza dai fondi Bce

La seconda anomalia del sistema bancario italiano ha a che fare con la raccolta. Al di là della distinzione tra depositi assicurati e non assicurati, che nel caso delle banche americane ha giocato un ruolo molto importante, ciò che colpisce nel caso italiano è la sua dipendenza dai fondi a più lungo termine raccolti dalla Bce. Come mostrato dai recenti dati pubblicati dal Fmi nell’ultimo numero del Global Financial Stability Report, non solo le banche italiane sono state le principali beneficiare del programma di Tltro (Targeted Longer-Term Refinancing Operations), ma sono anche le uniche per le quali i fondi raccolti dalla Bce sono superiori ai loro depositi presso la banca centrale al netto della riserva obbligatoria, cioè al loro eccesso di liquidità (vedi figura 1).

Leggi anche:  Il destino di Unicredit-Commerzbank si gioca tra Berlino e Francoforte

Così, sempre dalla Banca d’Italia, apprendiamo che alla fine di marzo il rifinanziamento in essere delle banche italiane attraverso il Tltro ammontava a 318 miliardi, di cui circa il 45 per cento in scadenza entro giugno. Pertanto, nei prossimi mesi le banche italiane dovranno raccogliere maggiori fondi sui mercati obbligazionari o indebitarsi presso la Bce con finanziamenti a breve di natura ordinaria. In entrambi, i casi i costi della raccolta tenderanno a salire e il margine di intermediazione a diminuire. L’effetto è destinato a rafforzarsi nel tempo poiché con tassi d’interesse in crescita, i depositanti sono sempre più tentati a spostare i loro risparmi verso investimenti più remunerativi, quali i titoli di stato, le obbligazioni private e i fondi monetari.

In definitiva, è molto probabile che nei prossimi trimestri i profitti delle banche si riducano anche se per il momento la loro stabilità non è messa in discussione. Tuttavia, è meglio che in questa primavera nessuno, né le autorità fiscali che non dovrebbero tassare troppo le banche, né i manager che non dovrebbero distribuire troppi dividenti, buyback e bonus, faccia la cicala, per non ritrovarsi a dover ballare questo inverno, come ci ricorda la favola di Esopo.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  I profitti eccezionali delle banche? Non resteranno a lungo

Precedente

Due misure al posto di una: come cambia il sostegno contro la povertà

Successivo

A scuola d’estate si impara meglio

  1. Lorenzo Bini Smaghi

    Non bisogna confondere una valutazione relativa con una assoluta. Il fatto che il sistema bancario abbia recentemente registrato utili superiori a quelli degli anni recenti non significa che tali utili siano “eccessivi” e debbano essere soggetti a tassazione straordinaria. Per tale valutazione bisognerebbe fare un confronto con gli utili registrati in alti settori (ad esempio energia, manifatturiero,…) in base alla redditività del capitale e confrontato con il costo del capitale. Tale confronto mostra che il sistema bancario registra una redditività inferiore alla maggior parte degli altri settori e, diversamente da questi, inferiore al costo del capitale investito. Una maggiore tassazione dei tale redditività rispetto ad altri settori creerebbe una distorsione che penalizzerebbe l’erogazione del credito all’economia reale.

    • Roberto Convenevole

      Bini Smaghi fa solo in parte un ragionamento corretto. Cerchiamo di ricordarci che siamo economisti e che, come diceva Claudio Napoleoni, l’economia politica non è una scienza naturale (come la Fisica o la Chimica) ma una scienza sociale che deve confrontarsi con la Storia delle società umane. Inoltre, come ci spiegò Carlo M. Cipolla la moneta di puro credito è una moneta Scritturale il cui costo di produzione può essere zero! Continuare a credere che la Banche siano soltanto intermediarie di risparmio, ci porta fuori strada. Negli anni Settanta del secolo scorso le banche italiane con i loro alti tassi di interesse hanno distrutto un bel pezzo di Industria manifatturiera. E da lì inizia il nostro declino. Nel Risultato lordo di Gestione delle imprese industriali (dati ISTAT sul Valore Aggiunto) sono infatti compresi gli oneri finanziari versati alle banche. Se volete fare confronti di redditività tra settori, dovete anche tenere conto di questi meccanismi redistributivi. L’interesse è infatti una Tassa sul profitto, come diceva Schumpeter. Il discorso è dunque complesso e cerchiamo di attrezzarci per farlo in maniera scientificamente corretta.

  2. Roberto Convenevole

    In passato l’ex ministro Giulio Tremonti ha più volte spiegato che la contabilità ordinaria delle imprese “fa stato contro lo Stato”. Traduzione: le imprese fanno quello che vogliono con i bilanci pur di non pagare le imposte. Come dargli torto? La mia banca, che credo sia il secondo gruppo italiano, a Natale del 2010 ha chiuso un accertamento dell’Agenzia delle Entrate versando 500.000.000 euro (cinquecento milioni)! Ricorderete Fiorani, il banchiere del bacio in fronte al Governatore Fazio (popolare di Modena) che, incappato in un controllo fiscale propose al funzionario dello Stato la somma di 700.000 euro per chiudere gli occhi. il funzionario rifiutò con atteggiamento eroico giacché quella cifra rappresentava per lui almeno 15 anni di stipendio, essendo esentasse! L’eventuale tassa sugli extra-profitti bancari può essere utilizzata per l’edilizia studentesca. Vale a dire a favore del ceto sociale che rappresenta il futuro dell’Italia. Certamente si dovranno prima determinare i profitti normali delle banche da inizio secolo. Ciò può essere fatto con i dati ISTAT degli Impieghi delle banche e della loro Remunerazione.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén