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Guerra economica alla Russia: scocca l’ora delle “sanzioni secondarie”?

Le sanzioni imposte dai paesi occidentali alla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina non hanno rallentato l’economia russa. Perché Mosca le ha superate grazie alla crescente prosperità dei “paesi terzi”. Sui quali potrebbero ora ricadere nuove restrizioni.

L’economia di guerra della Russia

Sono passati più di due anni dall’inizio della guerra tra Russia e Ucraina e dalla conseguente imposizione delle prime sanzioni occidentali sugli scambi internazionali del Cremlino. Più di un anno è anche passato dall’introduzione, da parte dell’Unione europea e dei suoi alleati, di tetti sui prezzi dei prodotti petroliferi.

In tutto questo tempo, dopo una forte crisi anticiclica nel 2022, la resilienza dell’economia russa ha sorpreso molti, comprese le stesse autorità di Mosca.

Secondo l’Ufficio statistico russo, il 2023 ha visto il prodotto interno lordo crescere del 3,6 per cento, cioè più di quanto sia cresciuta in media l’economia mondiale. I dati prodotti da Mosca vanno certamente valutati con cautela. Tuttavia, considerando che anche il Fmi ha rivisto la propria stima al 3 per cento, che l’economia russa sia cresciuta più rapidamente di quella globale non è poi così inverosimile.

L’industria del petrolio e del gas è stata in prima linea nel sostenere la resilienza economica di Mosca, fornendo valuta estera al Cremlino, ampliando l’orizzonte degli scambi e, in generale, spostando il centro di gravità economico della Russia verso l’Asia. Per mantenere un buon afflusso di valuta estera e al tempo stesso contenere le pressioni inflazionistiche dovute alla guerra, la politica monetaria russa ha gestito con attenzione il valore del rublo, alzando il tasso di interesse di riferimento al 20 per cento nei primi mesi della guerra, abbassandolo al 7,5 per cento alla fine del terzo trimestre del 2022, mantenendolo a tale livello tra settembre 2022 e giugno 2023, per poi cominciare a rialzarlo gradualmente fino all’attuale 16 per cento , valore che la Banca centrale russa vorrebbe tenere invariato almeno fino alla seconda metà del 2024.

Nonostante queste prospettive di stabilità, è abbastanza improbabile che la crescita sostenuta, che ha caratterizzato il secondo semestre del 2023, possa confermarsi anche nel 2024. In primo luogo, la spinta propulsiva della politica fiscale espansiva legata allo sforzo bellico si sta esaurendo man mano che la produzione industriale militare raggiunge la scala necessaria. In secondo luogo, la politica monetaria ha pochi margini di azione. L’economia di guerra ha provocato un surriscaldamento del mercato del lavoro, con un’occupazione totale che lo scorso anno è salita oltre la soglia dei 74 milioni, con l’aggiunta di circa 2 milioni di posti di lavoro, trainata principalmente dal forte aumento della produzione manifatturiera militare. Il concomitante aumento dei salari ha però creato pressioni inflazionistiche. Nel quarto trimestre del 2023 e nel primo mese del 2024, l’inflazione si è attestata nell’intervallo del 7-7,5 per cento, ben lontana dall’obiettivo annuale fissato dalla Banca centrale russa al 4-4,5 per cento. Il risultato è che eventuali tagli del tasso di interesse a sostegno dell’economia russa appaiono poco praticabili, sebbene il 16 per cento risulti essere troppo alto per molte attività economiche, a partire dal settore bancario e dai consumi delle famiglie.

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Ciononostante, anche scontando il possibile rallentamento imminente, la resilienza dell’economia russa ha deluso chi si aspettava che le sanzioni occidentali avrebbero indotto Vladimir Putin a più miti consigli. La delusione è figlia della sottovalutazione dei margini di aggiustamento offerti a Mosca dalla nuova geopolitica multipolare.

I paesi “non allineati” alle sanzioni

L’efficacia delle sanzioni, infatti, deve fare i conti con la crescente prosperità e sofisticazione finanziaria dei “paesi terzi”, quelli cioè che non impongono le stesse sanzioni di Usa e Ue, né vi sono a loro volta soggetti. Si tratta di ben 120 paesi, tra i quali spiccano grandi economie emergenti come Brasile e India, che nel 1990 producevano insieme solo il 25 per cento del Pil mondiale, ma che nel 2022 ne hanno prodotto quasi il 40. Questi paesi ospitano cinque dei venti centri finanziari più importanti del mondo e sono in grado di produrre tutto ciò di cui un esercito moderno può avere bisogno. Mentre durante le crisi finanziarie degli anni Ottanta e Novanta hanno spesso dovuto chiedere prestiti al Fondo monetario internazionale, oggi dispongono di sistemi finanziari solidi, che offrono valide alternative alle piazze occidentali. Così, mentre trent’anni fa “non “allinearsi” era praticamente impossibile, oggi non solo è possibile, ma può essere anche fortemente redditizio.

Arrivano le sanzioni secondarie?

Che cosa ci possiamo aspettare nel prossimo futuro? Ulteriori ondate di sanzioni per la Russia certamente. Tuttavia, ormai si è capito che questo tipo di sanzioni “primarie” fanno male, ma non abbastanza. Potrebbe quindi essere venuta l’ora di un’escalation delle cosiddette sanzioni “secondarie”, cioè imposte a chi, facendo affari con la Russia, permette a Mosca di mitigare gli effetti delle sanzioni primarie.

Come evidenziato dall’Economist, la tredicesima ondata di misure dell’Ue contro la Russia, concordata il 21 febbraio, punisce alcune aziende cinesi per aver fornito a Mosca armi e altre merci soggette alle sanzioni occidentali. In parallelo, Joe Biden ha annunciato che le banche straniere che regolano i pagamenti per tali merci saranno il prossimo obiettivo degli strali americani. Negli ultimi anni misure analoghe sono state applicate a molti attori problematici per l’Occidente, dagli houthi che minacciano il traffico del Mar Rosso ai coloni israeliani che costruiscono illegalmente in Cisgiordania e alle aziende che aiutano a rafforzare le forze armate cinesi. Quella delle sanzioni secondarie non è però un’opzione senza rischi: se, nel nuovo mondo multipolare, non riuscissero a mettere in riga i paesi non allineati, l’efficacia delle armi economiche occidentali potrebbe essere compromessa e i “re” occidentali potrebbero scoprirsi nudi.

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Il Punto

  1. Savino

    L’impressione è che le ricadute di tutte le vicende geopolitiche citate si riverberano soprattutto sul sistema capitalistico occidentale, che mostra con evidenza di non riuscire a restare a galla e di essere travolto dagli eventi, a causa di una dipendenza dalle materie prime altrui, di modelli industriali e commerciali non più competitivi come nei decenni passati e di un modo distorto di vedere la stessa globalizzazione che ha caratterizzato gli ultimi 20-25 anni. I report forniti da Draghi e Letta centrano le problematiche, in particolare dell’area UE, ma non basta annotare le criticità, occorre agire e cambiare direzione di marcia.

  2. Enrico

    Confesso di essere stato tra quelli che prevedevano un crollo dell’economia russa dopo le sanzioni. Invece abbiamo solo incoraggiato la Russia a puntare sul mercato interno e a rafforzare il commercio con Cina, India e altri “non allineati”. E eventuali sanzioni sui paesi che continuano a commerciare con la Russia può solo accelerare questo processo. Tra l’altro, questa deglobalizzazione, a favore dello stimolo alla domanda interna nell’ambito di aree integrate, corrisponde esattamente al “nuovo” modello di sviluppo proposto da Draghi per l’Europa.

  3. lorenzo

    CVD

  4. giorgio

    Il mondo e l’economia su scala globale è tendenzialmente multipolare ne è la chiara evidenza della inutilità delle sanzioni primarie o secondarie che siano nonché la crisi dell’ONU a trazione occidentale. Ora che la globalizzazione a noi occidentali non ci fa più comodo deglobalizziamo … furbi noi … proviamoci pure ma non siamo più soli ….

  5. Giuseppe Spazzafumo

    Forse sarebbe ora di smetterla di considerarci i migliori del mondo e di voler punire chi non si allinea al nostro modo di vedere le cose. Fossimo la maggioranza potremmo anche avere qualche valido motivo, ma non lo siamo.

  6. Daniele

    ”tra i quali spiccano grandi economie emergenti come Brasile e India, che nel 1990 producevano insieme solo il 25 per cento del Pil mondiale, ma che nel 2022 ne hanno prodotto quasi il 40. ”

    Mi sa che questo dato è leggermente sbagliato.

  7. Davis13

    sbagliare è umano ma perseverare è diabolico…

  8. Andrea Tacchi

    L’economia russa è dopata come i russi erano soliti donare i propri atleti. Si regge essenzialmente sulla produzione bellica e non come hanno scritto alcuni sull’avere spostato l’export energetico verso Cina ed India. Cina ed India non pagano il petrolio ed il gas russo quanto lo pagavamo noi Europei. Se Putin vuole tenere in piedi il paese è necessario che la guerra sia quasi “perpetua”. Finisse la guerra inizierebbero i guai economici per la Russia

  9. thafid

    I russi quando hanno ricevuti tutte le carte con tutte le sanzioni, si sono accorti che la carta era buona molto morbida paragonabile a una carta a 5 stratti scottex.
    Hanno allora deciso di fare buon uso di tale carta.
    Si sono puliti il p….re.
    Sono bravo! ho censurato autonomamente l’unica parolaccia nel commento, il resto è assolutamente tecnico scientifico.

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